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lunedì 1 giugno 2015

Amore mi scappa la cacca che me la sto facendo addosso

 Sabato tardomeriggiale

Sabato tardissimo pomeriggio, avevo appena schiacciato un pisolo ristoratore quando, d’improvviso, il campanello suona e il citofono mi riporta alla mente i tempi andati.
“Cicciammore sono io la Ade, fammi salire che mi sto cagando addosso” e la locuzione non era intesa a metaforizzare uno stato di paura, ma riferiva proprio ad un incontenibile stato di riempimento fecale del tratto finale del tubo digerente, per cui apro con lusingato entusiasmo.

La furia sale correndo, figa come non mai, salutandomi appena, cercando con parossismo la porta mentre scandivo, inascoltato, un meccanico “DAVANTI-A-TE- E’-LA-PORTA-DAVANTI-A-TE”  e poi la vedo svanire rumorosa nel cesso, finalmente.
E da lì la odo scaricare la cagata impetuosa che la tormentava, mentre accanto alle rudi scorregge sonore e aggressive, proprie di un camionista ceco che si alimenta di soli wurstel, crauti e birra, è stato con estremo piacere che ho udito la voce soave della Poetessa dell’Ano declamare bestemmie crudeli utili a rafforzare il concetto che se non faceva presto si sarebbe cagata addosso di lì a un secondo.

Che utile che mi sono sentito.

Poi scrosci di sciacquone, getti di bidet, profumo di bagnoschiuma, richieste di permesso d’uso del mio asciugamano e, alla mistica fine, una donna stupenda, nuda sotto e vestita sopra, con in mano gli indumenti mancanti e i sandali, compare sull’uscio che richiude dietro a sé e mormora sorridente “Grazie Cicci, ti devo la vita, non la tenevo più più più… se vuoi puoi incularmi, adesso, che sono vuota come una zampogna e sento anche di più il cazzo.”
Che son parole di sopraffina fattura letteraria, se ci pensate, una sintesi estrema dei Grandi Classici del Novecento e che solamente uno stolto avrebbe sprecato adducendo ragioni di tempo scarso e così io, che stolto non sono affatto, l’ho ingroppata sul letto come la scotta di una vela in mano a un babbuino, allungandole prepotente, ed a secco (dettaglio oramai ininfluente nella Ade, dato l’abuso del suo muscolo anale) tutto il cazzo duro che mi aveva fatto pietrificare con la sua laida troiaggine scatologica, aprendole il culo come meritava e necessitava, sbattendola come una bandiera sotto il Maestrale Tarellare di forza Ventitre, godendo di quella Femmina Suprema che in cambio di un cesso per cagare si fa scopare l’intestino con tutta la golosa violenza dell’impalatore.

E veniamo urlando come scimmie catarrine e mi pregio di spruzzare il mio preziosissimo sperma sulle natiche erotiche della catarrina femmina che ne pare lusingata e/o inorgoglita, a giudicare dai guizzi bovini di lingua e i gorgoglii gutturali.

“Che bella l’inculata appena dopo aver cagato Cicci” mi confida rimuovendo le tracce spermatiche con cura, come se io non mandassi a memoria i tremila clisteri che le ho somministrato proprio in vista di sodomie ben dilatate.

“Ci rimane sempre da provare la mela amore” sottolineo preparandomi le cose per il post doccia.
“Mmmh la mela… maialone… ma lo sai che da quando me lo hai detto non riesco a togliermela dalla testa?” incalza soddisfatta del richiamo della memoria, mentre la mia preoccupazione principale è come riuscire a  togliergliela dal culo, qualora strani contrazioni intestinali dovessero bloccarne la fuoriuscita.

Preoccupazioni apparentemente opposte, ma in realtà perfettamente identiche.
Grande metafora del vivere.
(Sottile questa eh, sottilissima)

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