Efelidi sulle spalle raccontano di sole e d’estate.
Seni a goccia, appena appassiti, increspati di scuri capezzoli irti, estrusi, calchi
positivi, piccoli peli che sfuggono allo sguardo di chi cerca, banalmente e
senza cultura di sapore, l’insieme noto. Ventre caldo, rotondo, globoso, a
tratti molle, mamma mi prendi in braccio, il tuo ombelico è talvolta pubblico,
la tua pancia è quasi sempre privata. Vello pubico denso, reciso sommariamente ai
bordi per mere esigenza di contenimento canonico, ma non per volontà di
comporre la bambola implume che ricalca stereotipi porno anonimi e altrui.
Gambe tornite, la cui bellezza sensuale sfugge irridente al tempo che,
cannibale, vorrebbe sterminare ogni traccia di sesso, che invece si amplifica,
spicca di reni, si erige e scende sui tuoi piedi sconvolgenti di erotismo
animale, memoria di sandali e sere e vuoti maschi affamati che tu hai irretito
mostrando la parte per il tutto, la nudità delle dita che è nuda come saresti
tutta tu se giacessi con loro, dettagli promettenti, campionario elegante, se
tanto mi dà tanto, pensaci vuoto maschio da monta, pensa a ciò che stai
perdendo, oppure a ciò che stai per avere, ma lasciami annusare, voglio il tuo
sudore che non ha sesso, che è uguale su di me e su di te, ma su di te diventa
ghiandola, secrezione, ormoni, intimità fisiologica, frattaglie sconvolgenti,
sangue, sangue di donna singola ed irripetibile, che se tanta seducente beltà
ci ha abituati a sillogismi che portano a profumi ed essenze, il tuo odore mi
ricorda che tutto il tuo insieme prezioso, unico, entusiasmante, è fatto per l’accoppiamento
animale, che non ha antipasti, né assaggi, né aromi distratti e dissimulanti,
ma solo odore, di femmina in calore, di sudore, di sporcizia sfuggita allo
sterminio chimico che il costume sociale impone, sporcizia superstite che
diviene attrazione fatale ed in quel caso, in quel caso, io mi devo accoppiare
con te, senza deroghe né indulti, né ragioni poetiche o spremute di sentimenti banali,
perché devo entrare nel tuo corpo facendo aderire la parte di me che è fatta
per compensare il vuoto che è in te e mi guardi e sorridi, come faresti al
signore laggiù che ti chiede una cosa, ma tutto cambia e ti entro dentro annusandoti,
cercando di leggere antiche mappe che solo tu e qualcun altro sapete leggere e
sento che sei la porta di un mondo vastissimo di cui sono conscio di non voler
sapere nulla, perché ne ho paura e tu sei schiva e restia a raccontarmi
cosciente e diretta quale meschinità umana ti attanaglia e ti piega e fa di te
la bestia uguale a me e io voglio fare altrettanto, voglio solo giacere con te
mentre fuori il tempo promette prigioni di ghiaccio che ci limitano nelle
scelte e nella libertà di vincere la claustrofobia dell’inferno che abbiamo di
dentro ed allora scappiamo, scappiamo accoppiandoci e fumando droghe orientali
che promettono scappatoie serene rimanendo seduti sul posto che ha incisa la
nostra forma deforme e l’unica cosa banale, stupida, inutile che mi viene da
dire è che sei bellissima e mi seduci disarmandomi.
Ma tu lo sai già.
E a me non rimane che leccarti le lacrime.
Sconvolto dal pensiero che quelle lacrime escono da ghiandole interne
al tuo corpo.
oh, mica l'avevo vista la foto all'inzio, non me l'aveva caricata.
RispondiEliminaMa la Nica è sui 40, right?
ps:mon capitain sai sempre cogliere le sfumature più malinconiche della realtà, ma le trasformi in poesia, tu.