Intensa domenica di bozzetti, disegni, prove, scelte colore, ridisegni, esperimenti, idee, ma se facessi, no meglio di no, così assomiglia troppo alla roba di, eccoci, eccoci, sì così, c'è da lavorarci, ma mi piace, con sotto la giusta musichetta, caffettini, caldino, fuori è merda, bene così, poi skype con la Skiz, oh guarda qua cosa dici, dico che, hai ragione, come stai?, benino dai, reggi che fra qualche giorno salgo, ti amo, anche io, poi si fanno le quattro e mi rompo i coglioni e dico che basta e chiudo la baracca che son qui dalle nove e scendo, sereno, rilassato, dinoccolato, molto fico, anzi bellissimo.
Scendo e svolto a sinistra, che la Mirzidis l'ho parcheggiata laggiù e l'occasione mi porta davanti alla vetrina del Vomit Paradise dove, stranamente, le tapparelline sono giù e la luce dentro è accesa e allora busso, ma poi mi pento, metti che è dentro con qualcuno, metti che dentro invece c'è la Sognasugna che non la voglio incontrare nemmeno se mi pagano e mentre mi pento e mi dolgo si apre la porta e mi si para davanti la Siusycleaning, in una mise davvero bizzarra, Crocs, leggins, camice azzurro e capelli arrotolati col forchettone sulla sommità del cranio, come è di moda servire gli spaghetti oggi, che me lo dice sempre Alessandro Borghese.
"Vieni dentro che ti faccio un caffè" e la guardo e cedo, ispirato dal trend ultracool del momento che vede Razzo Cambrillo in testa alla hit parade degli sturbi del momento, con la spazzona segaiolopompinara albanese e quel camice mi ricorda pure un role play di una notte con la Frank e mentre lei scula verso l'apertura del banco la placco e con la voce di Freddy Kruger le dico che io, adesso, mi vado a fare un giretto di dieci minuti e quando torno la voglio trovare solo col camice spazzone addosso e guai se si rinfresca anche solo un lobo auricolare e lei si intorbidisce e dice che va bene e io, col cazzo già scappellato, esco e passeggio, nell'umido padano autunnale e conto i secondi come un paranoide in piena crisi e chi dice che poi, alla fine, io non lo sia per davvero.
Va detto col suo nome, va detto senza poetica licenza volta a definire l'entità con parole gentili, va detto con la crudità propria del momento erotico bizzarro, va detto senza vergogna, va detto con chiarezza nitida che la Susy puzzava, puzzava di sudore, di piedi, di culo e di fica pisciata, puzzava intensa, le ascelle africane acide, puzzava intensa, quasi soffocante, a tratti rivoltante persino per me, feticista del puzzo di femmina, puzzava di bestia e di stalla e il cazzo mi tirava talmente da colorarsi di viola e abbiamo chiavato come animali, nudi, nel bar vomitevole, le ho leccato ogni luogo puzzolente, fottendola come meritava e come sognava, piegandola ovunque, dietro al banco, sul banco, sui tavoli, per terra, ficcando come un maglio metalmeccanico maschio, sbattendo come l'onda quando il cielo è scuro, impastando le carni maiale, sbavando con lei, condividendo saliva, gocce limpide di cazzo, muco filante e dolcissimo, viscido sudore fetido tra le dita dei piedi, sborra e umori anali.
Suprema chiavata.
***
Nudi, al tavolino in pole position, sorbiamo un caffè.
Lei siede come se fosse vestita, le gambe accavallate, il piede divino che penzola e le dita che, qui e lì, si muovono in una ola spontanea.
Non parliamo di nulla, che è un compromesso fantastico.
"Che programmi hai?" le chiedo accendendo una Marlboro.
"Devo pulire qui, che sono indietrissimo adesso" sussurra quasi umana, fiaccata.
"E dopo?" incalzo che non so nemmeno io il perchè.
"Vuoi che prendiamo due pizze e le mangiamo da me?" mi chiede pleonastica.
Perchè no.
A me la pizza piace molto, d'accordo.
continui a darti del bastardo senza un reale motivo. la realtà è che cadiamo tutti, chi più chi meno, in queste trappole sofistiche a scatole cinesi per cui "ci si aspetta che l'altro" e non sappiamo più riconoscere un gesto spontaneo e gratuito.
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