Che bel sedere, che bel sedere, che bel sedere, che bel sedere che c'hai e non riesco a smettere di dirtelo e di accarezzarti lieve quella pelle calda e liscia, mentre mi ipnotizzo dalla perfezione dell'immagine del mio cazzo venoso e lucido di umore appiccicoso che scivola dentro e fuori dalla tua fica mentre tu sorridi e emetti un "ahhh" di sollievo nel sentirmi nelle orecchie e nella fica, che bel sedere, che bel sedere e chiavo lento, scivolandoti sulla schiena per morderti il trapezio carnoso interrotto da quella plica sensuale e tu aspiri aria tra i denti mentre io affondo i miei, di denti, nella tua carne gustosa e scivolo dentro e fuori, duro come un masso, sussurrando che adoro chiavarti, perchè è dannatamente vero e il senso di colpa mi affligge, perchè dovrei violentarti trattandoti come un buco in cui sfogare il mio cazzo affamato e invece mi piaci, mi piace fondermi in te, mi piace il tuo odore di femmina, il tuo sapore, il tuo respiro, le tue reazioni dell'esatta intensità e nell'esatto momento in cui le vorrei, se potessi comandarle da me, ma poi, in fin dei conti, non le comando forse?, che bel sedere, che bel sedere e mi dici di scopartelo, mi dici che mi vuoi sentire nel sedere e io sguscio dalla viscida frittella di carne per infilare quasi senza sforzo il tortellino carnoso che cede, si apre, si schiude, mi strozza, lo forzo, tu mugoli addolorata e poi sfoci in un "sì" cupo e deliziato, un cupo sì di sollievo nel sentire che l'asta d'acciaio si infila risoluta nel tuo tenero intestino e stringi ritmica sentendo di più, facendomi sentire di più e incularti è la summa, l'arrivo, il traguardo, la corona, il trono, il soglio perfetto da varcare schiacciandoti sulle lenzuola che stringi tra le dita e le unghie mentre io mi assesto nel tuo retto con delicatezza assoluta, svangando e allargando quel buchino odoroso che diviene bucone bollente ed elastico e quando sento che l'aderenza è quella di un guanto di vitella, comincio il cammino profondo e la timida ritirata e guardo le tue unghie conficcate nelle lenzuola azzurrine a cui ti aggrappi persino con il morso dei denti che stringono in un sorriso estasiato ad occhi morigeratamente chiusi, mentre godo del calore del tuo budello erotico e ti palpo ovunque sussurrandoti che mi piaci da impazzire, che è vero, che è dannatamente e pericolosamente vero e tu forse ne godi più di quello che del paletto che ti conficco nella delicata morbidezza del tuo ano, sorridi, mugoli, ti aggrappi, mordi e il piacere ci scioglie come cera alla fiamma e spingo a fondo, facendoti mugolare, ti chiedo se godi e mi stordisci con un sì gutturale ed afono e io premo, sino in fondo, nei meandri, negli antri irrorati di sangue, negli anfratti glassati di feci del tuo tenero budello e abbandono i processi di relativizzazione delle circostanze e di paragone critico delle opportunità e dell'agire e ti chiavo felice, stoltamente gaudente, scriteriatamente attratto dalla tua carne bollente e liscia, vomitandoti nelle orecchie, con registro linguistico garbato e cruda scelta dei lemmi, che t'avrei aperto il culo appoggiata alla macchina del caffè, a pomeriggio, mentre tu in controcanto mi confessi che mi avresti fatto venire coi piedi, seduti al tavolino maestro e io spingo e tu gridi sorridente e gaudente a ogni colpo, supplicandomi di non venirti nel culo, poichè vuoi ingoiare il mio seme, proprio così, me lo dici con tanta delicatezza romantica che mi provochi una scossa ferale, mortale, terminale, inopponibile e ti scivolo fuori dal culo facendoti male e ti giri di scatto, non ti curi da dove proviene quel cazzo rampante e lo ingoi affamata, dritto in gola, fondo da sforzo di vomito e io vengo e tu affondi le unghie nelle mie cosce e mi scopi la minchia con la più calda e stringente delle gole e io schizzo, nel tuo esofago, sussultando, per poi togliertelo dalla bocca e baciarti profonda a suggellare che lo sforzo supremo di ingoiare la mia minchia insaporita dal tuo culo più fondo deve divenire condivisione estrema e assaggio il tuo sapore amaro e il mio sapore dolce, abbracciati in ginocchio, stretti nell'odore e nel sapore proibito e poi crolliamo, separati, sudati, ansimanti, assorti e storditi.
"Vai a Londra venerdì?" mi chiedi in un soffio.
"No, scende lei domani sera, sino a lunedì" ti rispondo asettico come un bollettino meteo.
Accendi due sigarette e fumiamo, stesi, ammirando il soffitto, affiancati come pali del telegrafo.
Che ci faccio seduto su questa polveriera, su questo attraente arsenale atomico, che ci faccio?
Faccio il maschietto, ecco cosa ci faccio.
Spero di rinsavire.
Domani sera, magari.
Sì.
Davvero romantico.
RispondiEliminaB
accidenti, mi hai fatto commuovere, uffa.
RispondiEliminaanch'io commossa, indecente tazio, che potenza. provarti!
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