Se io dico una cosa, no,
non intendevo ciò che ho detto. O meglio, lo intendevo se la Concia è d’accordo,
viceversa sono guardato con lo sguardo di “poverino, su, su, che vedrai che la
disfunzione cerebrale guarisce e torni a dire cose assennate”.
E io mi spezzo un po’ il
coglione, che lo sapete che sono tendenzialmente calmo e meditativo, ma quando
sopraggiunge il lontanissimo limite sbotto con un “perbacco”.
D’altra parte, chi pare
avere una mente sanissima e una pazienza sconfinata (con me) fatica ad
intendere che questo non-rapporto
non può evolvere in un non-rapporto2.0, ma può solo regredire in un
non-rapporto0.0 e che io, dal mio cinquanta per cento di compartecipazione,
sono proprio a zero, nada, nisba, niet, ciao.
Che due coglioni, di cui
uno spezzato.
Mi smazzo una giornata
dimmerda qui nel capoluogo di provincia taziale e poi guido come uno sherpa
sino a Taziopoli e poi entro nella tazhaus e squilla il parlafonofissile (che
lei lo sa a che ora ci sono, cazzomerda se lo sa) e lì mi squaglio, mi demolecolarizzo,
sublimo in un fumo acre e verdastro subendomi ore di telefonata inutile perché anche
se lei è convinta che siamo ancora assieme, io sono convinto che invece no, ed
è un bel problema ragazùa.
Perché, contrariamente a
qualsiasi buonsenso, lei crede che parlando e parlando e parlando e parlando io
mi convinca del contrario.
Ma da oggi quindici di
settembre del duemilasedici, la tazioclasse è finita e la taziodisponibilità
esaurita, tant’è che le ho messaggiato testè che se non la fa bastevole sin
qui, io ho i messaggi e le registrazioni (e come si fanno? Boh) e la querelo
per stalking.
Fine.
Evaffanculoporcamerda.
No?
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