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venerdì 16 giugno 2017

Tornano

Maiale inglesi allietano.


Triclinio emiliano nella notte infuocata nel retro della Solita.
Gestione familiare, menu turistico, consumo autistico, vesto pantaloni della tuta senza mutande per dar sfoggio di forma, calzo infradito sensuali, ecco il maschio bisex che vive col suo tempo e con la performàns.
La piccola Troiatea scoscia vogliosa in braccio al Maxmanzo che la palpa ovunque, ma tanto sono assieme e io mi introito ripensando sognante alle grandi tette a campana della maialainglese molto attempata, ma non per questo smorzata, certamente non annacquata, sicuramente alcolizzata, sempre ubriaca, ingorda di cazzo e sborra, troia tritatutto, culo aperto come un garage col telecomando, ah che nostalgia delle belle monte animali notturne nel capanno di Manlio, che corpo quel maschio, Manlio Bagni Marittimi, che vorrei vedere che fossero Bagni Montani, in spiaggia a Zirvia, che bella la breve Vacanza Taziale all’insegna del trash sgocciolante come scolo di marinai busoni, alcool a fiumi, marocco e maria a ruscelli, tanfo di ascelle e piedi sudati nell’angusto anfratto di legno marcio, groppi di corpi viscidi e mugolanti nel buio bollente, che nostalgia, che saudade, quand’ecco che nello scorrere vacuo ed identico delle parole inutili trionfa un concetto, secco, pregno, spiazzante, acuto, degno di pausa riflessiva.

“Oh, ragazua, guardate che comunque tornano i peli, mi spiace”.
“Cioè?” – risponde malauguratamente lo Zack gazzettaro ancora immerso nella Rosa.
“Cioè la passerina rasata non va più, adesso va la pelosa” – sentenzia, malfermo sui suoi neuroni, il Saaaarti.
Sono anziano, non ci sto più dietro.
"Ohè bambolo, ma checcazzo stai dicendo? ‘Va – non va’, non è mica una cravatta la figa, veh!”
“Epure…” – conclude il modenese dall’aria scheggiata come un parabrezza sotto un cavalcavia.

Che meraviglia.
Seduti al caldo torrido di una pseudofrasca notturna, una coppia lercia si struscia come incestuosi cuccioli di pechinese e a me si imbarzottisce la Minchia Randazza e Rampazza, guardando il collo del piede della sozzetta, così intarsiato di vene, così celato (seppur a me molto noto) dalle fetide ‘spadrille’ arancione uovo.

Ma se invece di favellar di fica, mi chiedo pragmaticamente suino, la si andasse tutti a montare da qualche parte, ma magari anche qui, sul tavolino, in mezzo ai bicchieri, aspirandola come una ciotola di patatine rancide condivise in gruppo assieme all’ennesimo Negroni che tanto giova al cor e ai naviganti non intenerisce nulla, tantomeno la Minchia Zampogna?

E invece no, si favella di peli, di porno e di figa, raccogliendo persino un non richiesto "a me fa schifo pelosa" della giovine virgulta di cazzo randello, come se avesse iniziato a rasarsi alle elementari, rimanendo per questo ignara del fatto che la donna viva in mezzo alle gambe è pelosa, talvolta pelosissima, talaltra meno, e che il pelo non fa “schifo”, è pelo, è sesso, è odore è sugna genitale.

E sento l’esigenza intima di richiederle un pompino, ma é assieme al Maxotango e non oserei mai, ma mai mai, sicchè aspetto che La Leggenda Del Manzo Bevitore vada all’appuntamento con la sua rumorosa pisciata, per sussurrarle all’orecchio sceneggiatura, coreografia e pornografia che ho scritto a pugno scorsoio per noi e lei si morde un labbro (boccale), sorridendomi febbricitante di voglie da cloaca mefitica come i suoi luridi piedi deliziosi.

La madam inglese sarà ritornata all’ovile brexit? Nel capanno di Manlio regnerà il silenzio?
E la Tea schifosamente arrapante ammicca in mia direzione, pur essendo nuovamente sulle ginocchia di Maxcalì dalle mille mani che sembra distinguere solo tettine inesistenti e birre medie.

Come se quelle tettine di pietra necessitassero di massaggi rassodanti.
Come se quel Maxetilico necessitasse di fica.
Persino se fuori moda, come l’altro Etiluomo ha saggiamente e coltamente sottolineato.

D’altronde, se non sono i Sarti a saper di tendenze, no?
Dio che cazzo di voglia troia.
Andrò a puttane, pelose o depilate, non importa.
Quel che importa è la salute.

Un Negroni per tutti, please.
Alla Salute.

domenica 28 maggio 2017

Nella vecchia porcilaia


"
Nell’ex stalla dei maiali 

tre uomini gioviali
han legato sulla tola
la bella ragazola
con la benda nera agli occhi.

“Che fai e non la tocchi?” 

– somaro di un sandrone -
mosì che la strapazzo,
la scaldo e poi ci sguazzo
finendo senza meno
a ficcarle dentro il cazzo.
"

Che poesia, alla luce della lampadina di design minimalista, quell’opera che tutti abbiamo avuto una volta nella vita, “Legata a un filo” è il suo nome, ve la ricordate?
Ma che bell’odore di maschi sudati e di fica, di cazzi e di ascelle, di umido, essenze sublimi che ravvivano il vecchio odore di porco di quella casettina di mattoni e lamiera.

La porta aperta dà sulla campagna pregna di tanfo di liquame, parente stretto dello stesso liquame che ci tinge l’anima di merda pervertita.
“Sbattila” grugnisce il giovane tormentando quelle tettine irte  e gonfie, ed il bell’edile arrapato, peloso sul petto come un tappetino del cesso a pelo corto, affonda il cazzo nelle carni tremule della nuda ed oscenamente gaudente giovinetta ginecologica, che mugola dimenandosi, ben legata alla tavola sulla quale anni addietro si era adusi a confezionare salami, svuotare interiora calde, sgambare prosciutti, arrotolare pancette, sguazzare nel sangue che “el mazador di ninin” aveva inevitabilmente sparso.

Ma stanotte no, niente sangue, no. Solo manzi sudati, alcolizzati e fumati che condividono le loro verghe erette con la ninfetta porno che si dimena dal piacere, succhiando due cazzi, mentre il terzo la trapana nella oramai indecentemente esperta fichetta rasata.
“Nel culo no!”, eh no!, nel culo no giovine, cosa credi, che siam qui a truccar le scimmie? nel culo no, ‘mo nononono, ci mancherebbe contessina, scusateli, son ragazzi.

E il giovine la sbatte con forza e passione, mentre l’edile mi affianca, fraterno, e io lo cingo nel sudore intenso e viscoso, ghignando con lui su quanto sia elegante, colto, culturale, amichevole e persino pedagogico, trombare la troietta tutti nudi nella stalla e il contatto col suo corpo mi fa tirare il cazzo come un argano kazako e allora, dai, vieni, che le mettiamo in bocca ‘sti due tronchi di sequoia e la giovinetta sugge, rantolando da suina, che bella benda nera che c’hai troietta, adesso la macchiamo di un bianco un po’ opaco, tanto lo so chi siete, froci porci puttanieri, ah sì lo sai puttana? sì lo so, uno è Max e l’altro l’ho visto al bar ma non so il nome, succhia puttana, sfregaci le cappelle, stupendo Max, godo come una porca, mi ti farei maschione, lui ride di traverso, ombroso e virile, che due froci che siete, tu sfrega e fatti chiavare, zoccola ansimante, daimo Zack sfondala, tanto lo sa chi sei, grugniti sordi, scricchiolii di legno marcio, mani, dita, capezzoli durissimi, pelle d’oca sulle cosce, son Max, eccomi qui troia, ti chiavo, sì chiavami! ti voglio porco!, e il suino affonda nella fossa mentre Zack le spruzza in faccia il suo carico di sborra.

Ingloriosi bastardi di merda, intortatori di fogna, adulti insani con pruriti da cinghiali al Viagra, stolti distorsori della virtù giovanile, ma che sesso Max nudo col cazzo duro, lo abbraccio da dietro mente pompa la pupa e gli piazzo la minchia dura sullo spacco sudato del culo peloso e con la mano gli strozzo la base dell’umida minchia, onesta, né grande, né piccola, ma dura di marmo e lo abbraccio sudato mentre gode e pompa chino e lo incito osceno, seguendo il suo corpo maschio incollandogli il mio e niente lo ferma mentre fotte ad aratro esavomere, che la pupa gli piace, si piacciono, si pigliano da prima, in segreto, e sortisce il suo orgasmo, un altro gran troia!, ma quanto sborri stasera!, dai Max, sfondala, ma lui si sfila di brutto, scacciando la mia mano, per segarsi veloce e irrorarle una gamba, vai Taz, puniscila tu!, spaccala in due! dai spaccami bastardo! e io fotto la troia alcolizzata, fumata e giuliva, dal sorriso febbricitante per il  gioco da adulti malati e dopo un po’ di colpi profondi le schizzo il mio seme nell’ombelico pirsingato, ma che pozza, ma che bello amisgi luridi, l’hai fatta rivenire Taz!, mo che sporcacciona che sei, ma ti chiediam dei soldi vè e ridono scemi e sereni, la campagna liquamata, i maschi di merda, slegatemi maiali, tanto lo so chi siete, che mi scappa una pisciata da scoppiare, se no vi piscio addosso! che eventualità golosa e arrapante, ma i verri urlano fuori!, fuori a pisciare!, il buio, il corpo nudo, sudato, accucciato animale, lurido di sborra e sego umano che sibila la piscia senza pudore, schizzandosi un po’ i piedi, dopo dormi da me, sì e mi bacia slinguandomi e sa di cazzo e sborra, odore d’erbetta accesa, passa animale, tò, la giovine che ride oscena e picchia i pugni sul petto dell’edile che la limona aprendole le chiappe rosse di sfregamento sulla tavola e si ride, lo sapevo busone che eri tu, la voce la conoscevo, ‘sta minchia pure, ma anche quella Taz, mi brucia la paperina sai?, dopo ti schizzo dell’altra cremina, e mi lecchi la bua? e se la strizza oscena e sguaiata, sozza lolita troia amorale, drogata, alcolizzata e molto ben integrata, si ride e si bestemmia, anche lei, che sesso, tutti nudi, sgrullandoci, luridi, deviati, demoni corrotti, ma com’è che cominciata?, ma che cazzo ne so, son fuori di legno da stamattina, anch’io!, ma tutti!, ride, ride, ridiamo, ridiamo idioti, la vita è bella così, sì dai e si ride.

Che domani è domenica.


martedì 2 maggio 2017

Er barcarolo va.

Ma tu guarda che tempo dimmerda, ma taci che sembra gennaio, scolta‘mo Maxenzio, ma chi è quella donzelletta laggiù in fondo alle sedie e lei ride e lui ride, ma checcazzo ne so, mi risponde sincero e schietto il condottiero di tutta la fica che può, adesso che Tetteinsolentidaquantosongrossechepurestansusenzaausili gli ha chiesto il divorzio e ravana di sotto per fottergli anche la casa, ed allora io invito la donzelletta ad unirsi al gruppetto alcolicissimo pur essendo le undici e zerosette e lei si unisce, giovine carne non bella di viso, ma appetitosa di corpo gazzelleo e come ti chiami tesora, mi chiamo Ancheossute e berrei un Negroni o due, ma tu puoi chiamarmi Tea, ma ti chiamo eccome e quant’anni c’hai o Tea? ne ho fatti diciotto, tranquillo, non c’è la galera e Maxalcolico ride dibbrutto, ride troppo, che l’ebbrezza gli offusca la mente e poi si incaglia in una discazzagione con l’Umbe sulla Juve e la ravafancazzacoglionea e io circuisco come superba serpe adamitica la giovin EvaTea, offrendole il secondo Negroni e parlandone con il fascino alcolico, ma controllato, di un bell’uomo, ma che dico bello, stupendo maschio alfa quale solo un maschio a sfumati tratti culattone come me sa essere, ma senti, ma dimmi, ma lo bevi un terzo Negroni? massì perché no, senti dicevo, ma se ci facessimo una gita rilassante con la mia barca sul fiumone grossone, ma mi pare che butti male Tazio, cosa dici? ma dai che ci facciamo due giri di elica fino all’isola che non c’è e ride e rido e ride, ridi, ridi, pollastrella culea, che vedrai che CirmoloDalTroncoErotico ti piazzo in qualche orifizio ancora in rodaggio, mia OrifizioTea, ma senti Tazio, ma mi sa che sono sbronzetta sai, ma allora andiamo, che magari se piove ci ripariamo all’isola di ‘sto cazzo e ci beviamo qualcosina sulla mia ultrafornitissima barca del cazzo, massì Tazzo Alcolico, speriamo non ti ritirino la patente, sai che c’è ClitoriTea, io non ce l’ho e ride e rido e ridi, ridi, ma dai che ci facciamo l’ultimo giro che poi lascio trecento euro di conto alla cameriera e ci incamminiamo, con le tue clarkettine fetide e il jeansetto strizzafemori che chissà se ero sobrio se ti avrei arpionata, ma si va, si va, si va.

E piove.
E ci rintaniamo sotto coperta dopo esserci incagliati in un banco di sabbia vicino all’Isolotto del Cazzobarzotto, le fetide clarkette morte sul pavimento assieme ai calzini, jeans sbottonato che stringe, t-shirt bianca corta che scopre il piercing e i chiodini anche se è stagione di piopparelli, rollo il cannone dopo altri novantasette Campari sulle note di una musica loungeambientwetcunthardcock, accendo che chi l’arrizza la impizza, la passo alla tacchinella e mi tuffo a succhiarle le ditina dei piedini, 37 poverina, chissà che male e lei ride e io godo della pelle polverosa tra le dita salate, ‘mo no che puzzzzano Tazzzzio, dai, scemo, geme molle e sbronza, ma lascia fare che mi fan tirare il cazzo, ma davvero, ma giuro, vediamo, ecco, guarda e ride, non ci posso credere! ride scemetta l’inculanda, ma che sberla di cazzo cìhai? ti fa schifo? puzza? chiedo infastidito, mentre lei gracchia roca “non credo” e si tuffa a fauci spalancate sulla cappella, tirando due o tre succhioni fatti ben benino e poi molla per comunicarmi “non puzza, sa di cazzo, buono, mi piace…” e giù a succhiare e mi spoglio un pochino e si spoglia un pochino, fichetta implume e liscia come il culo di un bimbo, ma vieni che ti assaggio, FicaTea e lecca e succhia che la barca dondola e la minchia birillola e la fica sbrodola e canna e canna e lecca e succhia che l’inibizione va affanculo per direttissima e sento a un tratto tanto tanto tanto caldo sulla cappella randazza e la Tea mi diventa santa ImpalaTea da Col Prepuzio località Frenulo, sedendosi a gambe larghe con cautela sul Baobab della Pace e si libera anche della magliettina e comincia a sculare di reni, ritmica e soave, elegante e sinuosa, con l’ascella molto importante e umidiccia, che goduria fetida, dosando le misure ciclopiche del maschio maturo con quelle imberbi della fossetta delle Troianne e lenti, ma inesorabili, chiaviamo alla marinara o alla fiumaiola che dir si voglia.

Senti Tea dalle Culatte Marmoree, ma parlando d’altro mentre ti chiavi il mio pezzo d’artiglieria controculea, se ti dico pillola tu cosa mi dici? niente, zero? zero, ma che bello, sto chiavando a pelle una similminorenne, senza avere nemmeno una di quelle gommine, sapete, quelle che sembrano un cazzo, ma invece salvano la vita, ma dai Tazio, tu mi dici e io mi tolgo e ansima come il primo porno che ho visto in vita mia che avevo bucato i sedili della fila davanti, massì certo, ti togli e saggio col dito la superfice sessuale di quel buchino di culo-delizia e lei mi sorride con gli occhi sbarrati ansimando “non ci pensare nemmeno” e allora la schieno, con una chiave articolare degna del miglior Antonio Inoki dei tempi d’oro e mi abbandono al rollio della barca e della sua linguetta sbarazzina pompinea e le irroro il cavo orale con la medicina lattiginosa che converte ogni femmina base in una versione CTA, CazzoTazioAddicted.
“Fammi venire, fammi venire” ella pigolea con la sua vocina querula e nemmeno il tempo di affondare la bocca vorace e cannibale su quella sorchina gioiosa che ecco giungere irriverente e impetuoso, sgraziato e animale, l’orgasmone urlante con rollio di bacino in controtendenza al rollio dello scafo.

Che signor primero de majo, amisgi, all’insegna della coscienza matura e adulta, dei principi sani e robusti, dello svago con nulla, come ai tempi in cui bastava un cazzo duro e una fica umida per far domenica, che salubrità, che pulizia, che valori, che bacino snodato.

Tutto questo per arrivare a chiarire cosa?
Per chiarire questo: ma se si naviga su un fiume, si tiene la destra verso il mare e la sinistra verso la sorgente o il contrario? E poi ancora: se all’ormeggio si sbatte centosettantaquattro volte con la poppa contro la passerella (sempre lei, sempre lei di mezzo, accidempoli) e si riesce a guadagnare il fermo macchine solo dopo che due robusti ragazzotti a suon di bestemmie mi hanno aiutato a fissare la gomena alla bitta insultando tutta la parte femminile della mia famiglia, ci si può definire già un vecchio lupo di mare?

O un semplice maiale di fiume?
Mah.

Che bacino snodato, comunque. Un poema.



lunedì 3 aprile 2017

Stock


Devo andare a Bologna, oggi.
Fine settimana di ruspante veridicità, consumato tra i fumi dell’acol e quelli dell’erbetta spinella, nel retrobottega dalla Solita, anche se il clima è ancora un po’ acerbo per le nottate oudoor.
Mi sto appendendo alle mie antiche radici, senza resistenza, senza tensione, senza l’ansia di dover dire che son sì lì, ma con la mia testa potrei essere a New York.
Tranquillo, sbracato, ubriaco e fatterello per tutto il week end, con il mio gruppo di sodali da cui ne manca uno, ceco temporaneamente.

La figa.
Ohi mo ben, mo sì, la figa. Te Umbe taci che ce l’hai, ma la figa, sentenzia il Saaa-arti, quella vera vera, è solo dell’est. E siccome tutti sappiamo il perché, il festone dei “puttaniere” gli è arrivato per corriere espresso.
“Ma poi clalà l’hai sentita?” – “Sì” – “E ?”- “Lasen mo nder”.
E noi lasciamo andare, ordinando un’altra bottiglia di Stock84 con coppetta da tiramisù di ghiaccio.
Il problema è che non lascia andare lui e attacca ‘na solfa al povero Zack, che resta pro tempore, che la Kulova lo aspetta al Gar[b]age.

Allora soffio al Max “E tu, tu come sei messo con quella lì?”
Sospensione, pausa” – “Sì ma lei dov’è adesso?” – “Boh non ne ho idea” – “Ma dormite ancora assieme?” – “Ma no, da mesi, io dormo giù nel mio studiolo”.
Basta non mi interessa altro, smetto di chiedere, smette di dirmi, ci appassioniamo al Saaa-arti che spruzza minchiate che noi alimentiamo come benzina sul fuoco, a cazzo, senza senso. E lui ci riflette pure.

La figa.
Sono in astinenza da un tempo che non so contare in tutta la mia vita.
Un po’ perché i porno e l’autarchia compensano e, nelle serate nere, QUEI porno in particolare, quelli ricci.
Un po’ perché mi rompo i coglioni. In un attimo.
Meglio lo Stock84, l’erbetta e un’umanità normale che mi fa sentire non malato.

Devo andare a Bologna, son già le sei e ventotto, che poi trovo la nebbia e il casino.
Max voleva venire con me, ma deve fare una guaina a Pescalosso.
Vado da solo, tanto ci metto poco.
Tagliatella dal Lanterna e poi torno.
E avanti col giro.
Buona settimana a tutti.




sabato 18 febbraio 2017

Ermeneutica della fica ed altri deliri

Ma senti, ma tu di farti una famiglia ci pensi, cioè sì, certo, afferma il Sa-aaarti che va a puttane stradali tutte le sere perché il pompino straniero della buona notte lo rilassa, beh, dico io, io non ci penso o meglio ci penso e mi reputo fortunato a non averne una, ma perchè, chiede il Max con in mano il ventiquattresimo limoncello, perché ci sono già io a deludere le mie attese, non ho bisogno di supporti, tantomeno generati da me, sei un cinico del cazzo Taziun, mi risponde buttando giù quel simil catarro giallastro, boh, dico io, mi avete chiesto e vi ho detto, no, per me è importante invece, dice il verginale Umbe che ha già mari di progetti nel cassetto, con protagonisti lui e la sua nubenda inviolabile, ma poi arriva tale Letizia, nuova cameriera e, quando va via, il Sa-aaarti commenta “bella figa, al che il Max dice ma figa o fica? e il Sa-aaarti sentenzia: figa, è solo il Taz e i porno che la chiamano fica.

Momento.
Il Professor Tazianti si sente chiamato in causa.
A mio avviso la realtà dei fatti è che si dice fica, poiché probabilmente il lemma deriva da ficcare, con esplicito riferimento all’atto della penetrazione. Ma allora siamo tutti dei salami al mondo che la chiamiamo figa, fiigona, figata eccetera, incalza l’incolto Sa-aaarti. Forse sì, dico io, magarie perchè il fico maturo che si spacca e ricorda la fregna, ed in dialetto lo si è storpiato con fig, fico.
E allora quando si dice che un uomo è un figo? Anche lì, incalzo andando a braccio senza il benché minino riferimento, la storpiatura nasce da un’ipotetica azione che questo bell’uomo, irresistibile appena meno del sottoscritto, compie nell’organo femminile: lo ficco dentro. Il suo ampio agire, poi, lo identifica col suo atto, da cui ficco, fico.

“A vag a cà” dice il barcollante Max con un sorrisetto e una paccona sulla mia schiena.
Umbe si alza, saluta,e lo segue. Io e il Sa-aaarti ci guardiamo.
“Ce ne facciamo una in due?” propongo in un soffio.
“Nden” dice il Sa-aaarti, alzandosi.

E siamo andati a puttane stradali.
Pompino a due cazzi, come si conviene agli ermeneuti.

martedì 14 febbraio 2017

Lasagne al ragù di carne umana.


E li ho chiamati tutti io, li ho chiamati. Come direbbe il Saa-arti.
Sì, nel sabato taziale, al Centrale, seduto a tracannare americani come una fogna alcolizzata.
Prima il Max, poi Virus, poi Sarti, poi Umbe, poi Zac.
Titolo dell’sms: Tazio vuole gli sputi in faccia, alla Solita, ore 13:00, offre lui.
E l’Umbe mi risponde a scatto con un faccino emoticon che sorride e mi chiede se deve avvisare anche il Costa.

Il Costa??
Questa è troppo e allora lo chiamo, sì il Costa è qui, si fa una settimana ogni tre all’incirca, ma non lo sapevi? E come cazzo faccio a saperlo se nessuno mi caga, o Umbe della Malora, c’hai ragione è che è un casino, ma hai fatto bene sai a convocarci tutti, davvero sai?

Davvero, so?
E come cazzo faccio a saperlo che nessuno mi caga?

Speravo in un clima da OK corral, ma invece i guasconi erano grigi, né neri, né rossi.
Erano tesi, impauriti, silenti, quasi rassegnati. Però, mi son detto, se non c’avevano voglia, potevano non venire.

E ci sediamo.

Attacco la pappardella, che tanto c’ho in corpo sei americani, un prosecco e una canna e tutto mi viene fluido, fluido e scorrevole come il pus. O il catarro.  Parlo, parlo, parlo, racconto, specifico, evito di parlare delle fregne che NON dovrei conoscere e parlo e parlo. Poi taccio e mi bevo un bicchierozzo di rosso. E aspetto. Perché ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Sempre.

E così, a turno, come fossimo all’ONU, ciascuno fa il punto.
E mentre tutti parlano, guardo il Costa, pieno di tatuaggi, la barba lunga da hipster, i capelli ciuffanti di sopra e rasati ai lati. Incrociamo gli sguardi, ma son sguardi miti, tranquilli.

E mi rincuora che non solo il Tazio vive le sfighe, ma anche il resto del mondo: il Max invischiato in un matrimonio terribile sull’orlo della separazione. Il Saaa-arti mollato da quella psicopatica che ha addirittura cambiato residenza, correndo dietro ai coioni di un mantovano (non volante) che non si capisce chicazzè. Zac che ha mollato la tipa e adesso sta con una russa figa ultraterrena, probabilmente mignotta da soldi anche dico io, che fa la bartender all Gar[b]age. Si salva l’Umbe che pare che tutto vada bene sentimentalmente, ma di merda lavorativamente, mentre il Costa.

Il Costa è un enigma.
Che fai a Praga Costantì?
Bah, nzomm, c’ho na società che gestisce cose, robe di spettacolo sai, poi facciamo ang i video seccapita, showbizn nzomm.

E come te la passi? E faccio il segno dei soldi, ma è ovvio che se la passa interessantemente, visto che viaggia con un Lincoln Navigator nero lungo 30 metri, che manco Trump.
Bah, nzomm, potrepp anch andare meglio.

Cioè? Arrivare alla Solita con un traghetto della Tirrenia? E si ride. E non si capisce che cazzo fa, si capisce solo che parla correttamente in ceco e in inglese (correttamente come l’italiano o veramente correttamente, sì che l’ominide sia passato da nessuna a lingua parlata a una balcanica? Bah) e misteriosamente pare che una settimana ogni tre torni in Italia con l’astronave e bazzichi Bologna e anche Milano, oltre che qui.

Non chiedo per pietà della Cuggina, anche perché non me ne fotte un totale cazzo, ma l’Umbe per prenderlo pel culo fa emergere che con quella vetturetta ecologica raggiunge anche la Calabria Saudita, a volte.

Non indago.
Mangio, sapori antichi, la Marghe non c’è, ma anche lì non indago,  una roba alla volta.

Già sin qui non è stato poco.
No.


No, no.