Che poi la colpa è stata mia, devo ammetterlo. Stappa di qua, mixa di
là, fuma qui, bevi là e ci siamo messi a tavola, verso le dieci, che avevamo
già in dotazione un quattro americani a testa, quasi un litro di Pinot grigio e
una cannuccia aromatica leggera.
E a quel punto, immersi nella levità della spensieratezza, la Domellier
ha aperto un Greco di Tufo che, devo ammetterlo, era commovente. Mangia qui,
mangia là, tutto delizioso che è bravissima, ci asciughiamo anche il Greco. Ma
mancano ancora i gamberoni al forno con le verdure e allora che si fa? Fiano di
Avellino come se piovesse. Stappa e assaggia e la Domi la mi si disinibisce e la
mi attacca a parlar di cazzi.
Dell’estetica dei cazzi per la precisione.
E mi sostiene una teoria davvero interessante che condivido. Con la
pornoboccavagina mi dice che il cazzo (che pronuncia ka-tzo, in maniera cruda ed erotica) o è bello bello, oppure è
subito brutto. Mentre la figa (che a un certo punto le chiedo di pronunciare fika perché mi eccito di più e lei esegue) rimane
bella anche nelle varianti meno belle.
Credo di avere reso lo spessore della conversazione sul far della
mezzanotte.
Sul tavolo l’iPhone andava di countdown e giusto un quarto d’ora prima
della mezzanotte la Domitilla ha iniziato ad armeggiare col secchiello, il
ghiaccio e la Veuve, perché dovete sapere, cari miei, che lo Champagne NON VA
IN FRIGO KA-TZO! Dalla temperatura ambiente va posto in un secchiello pieno di
ghiaccio per dieci minuti e QUELLA è la temperatura di servizio. Ka-tzo.
Annuisco per non contraddire la strafighissima alcolista e procedo col
taglio del pandoro che dispongo con cura maniacale su un piatto, preoccupato di
incorrere nelle sanzioni della Domiprecisa.
Ed arriva la mezzanotte, tre, due, uno, bum, buon anno, che da lontano
le truppe alleate sconfiggevano il nemico a colpi di mortaio. Slinguata allo
Champagne e poi a tavola di nuovo, che bisogna mangiare il pandoro e poi l’uva
che porta quattrini.
Son lì che spezzo il pandoro e noto che la Domitorbida mi guarda. Le
chiedo che c’è, divertito, perché era veramente fuori asse. E lei, sublime e
spiazzante mi dice, senza moine porno, ma con candore lurido: “Non mi schizzi un po’ di cremina sulla mia
fetta?”.
Che soddisfazione. Quando la Domi mi va in dimensione alcolica si
corrompe.
Sono fiero di averla immaialata, inscrofata, introiata e depravata
pervertitamente.
Rispondo che certo che sì e mi scuso per non averlo fatto subito. Mi
alzo abbassandomi la cerniera dei pantaloni, sfoderando la biscia e cominciando
a menarmelo davanti a lei, che mi guarda con gli occhiettini alcolici e sozzi.
“Che ka-tzo bellissimo che hai
amore.” e rimane compostamente
seduta a guardare mentre io meno rapido la minchia osservandole le cosce nude
che spuntano da sotto il vestitino. E il pensiero di vederla mangiare la fetta
cremata, seduta a tavola, sorseggiando Champagne, spinge in brevissimo tempo il
pasticcere che è dentro di me a produrre la ghiotta farcia con la quale
impreziosire il noto dolce natalizio.
Poi ripongo la biscia, mentre la figona sfodera un sorriso abbagliante
e la Domi Night ha inizio.
Primo morso, mugola, deglutisce, beve un goccio di Champagne e grufola “Delizioso… pandoro alla sborra calda appena
fatta…” e ride. Ride e parte di ridarella alcolica, chiedendomi se le macchio
anche il caffè, dopo. Non mi sono mai divertito tanto. Contagiosa.
E sexy da spezzare la schiena.
Ma che bell’ultimo dell’anno.
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