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domenica 7 luglio 2013

Puttanate

Porsche 356 speedster
"Stasera non dirmi che lavori fino a tardi che non ci credo" e cazzi tuoi se non ci credi, ma non è che non te lo dico perchè non ne avrei, ma per due ragioni semplici, di cui la prima ha a che fare con una necessità umana di parlare con un umano e la seconda è legata ad una necessità fisiologica di svuotare i coglioni, specie dopo aver rimorchiato stamattina dal fruttivendolo tale Monica, quarantenne single sensualmente appena sciupata, con i pinocchietti e le infradito e la maglietta volutamente tenuta alta a scoprire la pancia e un dettaglio, di cui la brava Monica è certamente al corrente, dato da due sensualissimi, quasi pornografici, buchi depressi sulla schiena appena sopra la cintura.

Quindi no, stasera non lavoro Domi.

Certo che mi sto razzolando il mio bel harem eh: la signorina Elisa, la Domi Reloaded e adesso questa bella fattrice con cui tutto è da costruire, ma considerata la rapidità dell'aggancio, qualcosa mi dice che non sarà molto oneroso. Ed è che non c'ho tempo manco per scorreggiare, altrimenti razzando nel rusco, come si dice qui da noi, sai quante ne salterebbero fuori.

E così si siede tranquilli sotto la pergola del ristorantino tranquillo. Io e Audrey Hepburn de noantri che stasera, così, per dare un po' di brio alla serata, indossa due sandali fottimifottimi tacco trentasei con (ma guarda un po') uno smalto Rouge Noir Chanel di stesa recente, oserei dire mattutina. Perfettamente agghindata, tensostruttura Capelli con la sua bella agibilità rilasciata dal geometra del Comune di Domiziopoli, tutto a norma.

"Ma senti" le chiedo in un momento di immotivata curiosità "ma come mai 'sta cosa degli anni '50?" e lei attacca il Revox spiegandomi che è socia di un circolo di lettura e cultura letteraria americana, dove si leggono i libri di Miller e allora ecco che nota tutti si calano nella parte degli americani del tempo, chi più e chi meno e poi c'era questa ragazza che invece ci dava dentro di brutto e si sono conosciute e lei le ha consigliato un sacco di negozietti e poi quest'anno c'è un ritorno e un paio di neuroni sani del mio cervello si sono alzati in piedi, si sono tolti le cuffie e mi hanno citofonato di sotto mandandomi affanculo e dicendomi che loro quella roba si rifiutavano di trasmetterla e io non ho potuto certo biasimarli e ho detto loro di mandare il memovideo dei buchi della schiena della Monica ed ho sentito un "Ohhhh là, si ragiona" in coro di due.

"E poi vuoi che ti dica?" domanda che prevederebbe anche l'opzione "no", ma da convenzione di Ginevra è ammesso solo il "sì" per cui io ho detto sì e lei mi ha ghiottamente confessato di avere comperato una Porsche 356 speedster del 1950 che attualmente è in carrozzeria per un maquillage (anche le macchine fanno maquillage, l'ho scoperto ieri sera) e che presto sarà pronta a completare quest'icona degli anni cinquanta della bassa.

E si ritorna e guido con lei di fianco che a un tratto random solleva il culo e si toglie le mutande e me le strofina sulla faccia facendo delle moine da Marylin in calore e io annuso e sento solo profumo, lo stesso che sentivo in macchina, cioè il profumo che si era messa, ma ho emesso un "Mmmh" esortativo e così il sandalo è saltato e i piedi nudi si sono appoggiati a larghezza ginecologica sul cruscotto, sublimi ed immortali, mentre lei, languidamente bagascia, con la sinistra mi carezzava il braccio guidante e con la destra faceva fare ginnastica prechiavistica alla rasatissima passera bulimica.

Mentre la stavo pistonando come un V8 GMC, sortendo sudore, muggiti, grugniti, barriti e bramiti di varia natura, le ho leccato il già leccatissimo ed inodore e sterile piede di destra e mi sono sentito punto dalla vaghezza di approfittare di cotanto scompiglio uterino per approfondire un altro tipo di sonda e così ho schiacciato la chiocciola, ho messo il cambio su S sport e ho cominciato a grugnirle bavoso una serie di vaccate luride, tanto per condurre la mente verso il più maleodorante dei cessi pubblici e poi, dopo averle paventato un paio di eventualità oscene che le hanno portato il reattore ficale al novantacinque percento della potenza, ho preso a chiederle con finta morbosità erotica quanti cazzi si è fatta e si fa mettere e  dopo avermi risposto con sincerità apprezzabile che non sono mai tutti quelli che vorrebbe farsi mettere, ha lentamente cominciato ad allentare i cordoni della borsa dei segretuzzi, snocciolando questo e quello, divertita dal fatto che ad ogni racconto io mi mostravo parossisticamente ingrifato, anche se più interessato alle verità del retrobottega domiziano.

Ruota libera. Una liberatoria ruota libera snocciolante ogni cosa e mentre le allungavo nel culo senza molte cure il mio stanco pezzo di carne di porco crudo, la deliziosa cultrice dell'America anni cinquanta mi confessava che, dopo aver provato con me le delizie del retto, non è più riuscita ad esimersi dall'esigere da ogni manzetto random da cui si è fatta montare, una ispezione accurata alla fogna merdosa, così, per rivivere i brividi impareggiabili che solo il mio cazzo imperiale sa darle.

Ma che puttana.
Dopo averle glassato i piedi come da rituale ufficiale, ci siamo docciati e a brucia capello le ho chiesto: "Si può sapere a distanza di tempo perchè cazzo mi hai mollato?".
Ed è risultato evidente che la bella rossa aveva già contemplato la possibilità che sgorgasse quel quesito e, avendo avuto un'intera settimana di tempo, ha impalcato ardita una risposta condita di parzialissime verità oggettive e di non verificabili questioni psicologiche intimistiche che suona, in estrema sintesi, come un "Non mi sentivo all'altezza delle tue aspettative, mentre Massimiliano mi metteva a mio agio, a quell'agio consono alla mia età".

Ma che puttana e che puttanate.
In ogni caso io i coglioni da svuotare una volta alla settimana ce li ho e lei è assai più figa della signorina Elisa.
La svolta è nei buchi della schiena della mia quasi coetanea Monica.

Ma che puttanate.
E che puttanazza, 'sta Domi.




E che sexy i buchi della schiena della Monica. Ora vado a dar loro un tributino shakerato.

lunedì 1 luglio 2013

Curve di inviluppo

Bonjour. Anche se di bon non c'è uno straccio di minchia.
Il lavoro? Precipita come un TIR carico di merda di Carrara in un dirupo, sbattendo di qua e di là, al punto che venerdì ho richiesto l'intercessione dell'Uomo che mi ha riportato a casa un sintetico e laconico "Dice che se vuoi mollare è ok, anzi, ma non vedi un euro."
Bene no?
Quindi delle due l'una: o mi sbatto giù dal ponte di Calatrava, che farebbe anche tanto radicalchic, oppure tento di raddrizzare ciò che non si raddrizzerà mai, lavorando inutilmente sedici ore al giorno sette su sette.
E sin qui il pezzo sarebbe completo, non fosse che c'è del peggio.

Venerdì sera finisco alle undici e vado a prendermi un panozzo da portarmi nell'inutilmente fichissimo appartamentino e mentre attraverso il parterre de rois dei fichetti locali, una mano mi afferra il braccio e una voce nota pronuncia il mio nome, che è Tazio.
Mi giro e davanti a me trovo la rivisitazione in chiave 2013 di Audrey Hepburn, capelli rossi molto strutturati, abitino giallo smanicato, scarpine sling back chanel blu, deliziose vene che impreziosiscono il collo del piede, insomma, una figa da lavanda gastrica.

"Ohi Domi, come stai?"
"Io bene Taz e tu?"
"Una merda, grazie"


E succede tutto in timelapse. In un susseguirsi di rapidissime scene vedo lei che silura gli amici, vedo me che trangugio un panino di merda, sento lei che mi chiede, sento io che rispondo fondendomi nei suoi laghi oculari, sento lei che mi dice "Cazzo in Africa…" e sento il mio, di cazzo, che si scappella quando la sente pronunciare la parola "cazzo".
Poi la scena cambia.

Cambia e sono nudo su di lei che è nuda. E le sto leccando i piedi odorosi di cuoio sudato e respiriamo rumorosamente entrambi.
Piedi da sega continua, smalto rosso brillante, unghie leggermente cresciute, fica rasata al paradosso, capezzoli irti come i colli a cui la nebbia piovigginando sale, poche le parole, molte le azioni. Ci leccchiamo come due Calippi Mannari, ci ingurgitiamo, ci trangugiamo e le allungo la Fava Transgenica nella fica morbida, fottendola e guardando nei suoi occhi il calore della femmina animale che va formandosi e lei grugnisce torturandosi i bei seni,m abbandonando Audrey fuori dal letto e mantenedovi all'interno Domi la Troia, che mi piace quanto Audrey.

Fammi mangiare La Cula, Grantroia Stileimpero, perchè la tua è LA Cula, sublime e arrazzante e ficco nel buchino la lingua e la Domiculea si allarga le chiappe spaziali, premendo la faccia sul letto, scomponendo la tensostruttura chiamata capelli, grugnendo assertiva una vasta seria di "sì" gutturali e poi a un tratto, mentre mi nutrivo di buco del culo dilatato, la Zoccolamascheratadaragazzaperbene grugnisce sotto voce un "mettimelo nel culo" degno di sei nobel, tre master, un telegatto e undici grammy del porno.

E io eseguo.
Ficco la superminchia nel buco odoroso tra urletti di dolore e pugni sul letto, "Mi fermo?", "NO!!!!" e allora ok, ti farcisco il culo di cazzo e tu godi mica per finta, cazzomerda, che spingi all'indietro ogni volta che io pistono in avanti e non smetti di strafugnarti la sorca che alla fine della monta ce l'avevi stupendamente arrossata.

Minchia Domi, ma c'avevi una famona brutale che te lo sei fatto infilare persino nelle orecchie, stupenda regista di quest'orgia a due terminata con una sega coi piedi che definirei a dir poco sacra, con sborrata generale e autoleccata di dita per non sprecar nulla che in tempi di crisi guai.

***

Ore cinque del mattino. Giaciamo osservando il muto soffitto, sudati come due maiali.
Era da tanto che non chiavavo così tanto e per così tanto e, soprattutto, godendo così tanto.
Che figa, cazzomerda. La Domi.

"Dormi qui?"
"Va bene"


Ecco.
Curve di inviluppo, nuovi guai all'orizzonte, sprofondo ancora, sognando l'Africa.

venerdì 10 febbraio 2012

Anal Intruders vs Space Invaders


Invade.
Invade lo spazio della mia gioiosa casellina di posta elettronica, tanto netta e tanto linda. La invade con una moccolosa e catarrosa email che gorgoglia di ‘n’ pronunciate come ‘b’ causa congestione nasale da pianto, perché la sento che piange mentre scrive, mentre mi scrive l’ennesima mail in cui, con dilettantistica abilità linguistica, tenta sadicamente di assuefarmi alla convinzione che devo, devo io, io Tazio, concordare sulla strabiliante giustizia dell’atto che lei, lei Domiziana, ha perpetrato ai danni della mia stabilità emotiva senza alcuna sostenibile, né tantomeno incontrovertibile, motivazione.
Mi supplica, nella stretta interlinea 1em, con un font monospace a K 0%, di dirle che è vero, che ha fatto bene, che sono pernicioso per la salute di ragazze per bene e io apprezzo la doppia lettura poiché, inspiegabilmente, termina con il medesimo quesito.
Il quesito che si formula attraverso la domanda “Dimmi cosa devo fare?”.

Ebbene, io sono un signore d’altri tempi, un signore di quelli che non ce ne sono più, o che forse non sono nemmeno mai esistiti e quindi non posso esimermi dal fornire, cavallerescamente, la risposta che mi viene richiesta.
“Dimmi cosa devo fare?”.

E rispondo.

Domi,
seppur trovandomi in una notevole difficoltà nel suggerirti cosa dovresti fare per gestire con abilità questa situazione complessa, della quale a me sfuggono totalmente le ragioni del tuo atteggiamento ex ante e, di conseguenza, vedo ridursi l’angolo di visuale su qualsivoglia considerazione ex post, vorrei tu accettassi una proposta di comportamento che risulta al di sopra delle circostanze, sebbene non ne sacrifichi la contestualità.

Il mio suggerimento è, tutto sommato, semplice. Non lavarti, non indossare biancheria intima e inserisciti nell’ano quel grazioso buttlpug che ti ho donato a suo tempo. Infila nella borsa i sabot più da meretrice che possiedi e poi vieni qui, a casa mia. Fumeremo della marijuana, berremo dell’alcol, guarderemo un film porno e poi avremo rapporti sessuali in natura ed ancor più contro natura, sino a che i nostri sensi non ne risultino esausti. Al termine riporrai le tue calzature nella borsa, rivestirai i (pochi) indumenti con cui sarai giunta sin qui e riprenderai la via del ritorno, pesantemente arrossata nelle parti genitali ed anali.
Proverai, a quel modo, un gonfiore diffuso, a tratti piacevolmente doloroso, che perdurerà sino al mattino successivo. Ed in quel momento, ma solo in quel momento, ti porrai il quesito a caldo, ti interrogherai chiedendo a te stessa se i bizantismi arcani, che al momento risultano comprensibili forse solo a te stessa, valgano il prezzo dato dal rinunciare a quei gonfiori e a quei dolorini piacevoli di cui, Domiziana diciamocelo, hai una necessità sfrenata che non vuoi ammettere e, per questo, reprimi con vigore in nome di ideali di cui non conosci nemmeno forma e confini.
Forse questa prova sarebbe terapeutica e spero apprezzerai la mia disponibilità, seppur dolente lungo altri versanti, a contribuire ad un’evoluzione costruttiva della stagnazione cerebrale che ti affligge.
Fammi solo sapere la data e l’ora e ti accoglierò con il riguardo che meriti.

T

mercoledì 8 febbraio 2012

Senza tregua


Cinque chiamate, che ho mandato tutte per non risposte. Poi, alla sesta, prima che mi collassasse il cervelletto, ho risposto. Una Eleonora Duse dai toni contriti mi risponde all’altro capo, in palese contrasto con la nervosa rabbia con cui mi ha martellato tutta la mattina.

“Ciao, come stai?”
“Un po’ preso, dimmi”
“Se disturbo chiamo in un altro momento”
“Se ho risposto vuol dire che ora posso”
“Ma sei incazzato perché ti ho chiamato?”

Vedete, io sono una persona instabile, se volete molto instabile, se volete anche patologicamente instabile, ma vorrei mi fosse concesso il rispetto della mia non comune intelligenza, poiché si può essere instabili, deviati, ma non necessariamente coglioni ed io, consentitemelo, mi ritengo instabile, ma non coglione per niente. Ed allora, in virtù di questa mia convinzione, seppur opinabile, ma in ogni caso mia e pertanto indiscutibile, esigo e pretendo di non essere preso in giro.
E a tal riguardo ho tracciato una breve premessa alla Domi, chiedendomi di perdonarmi per la non totale amabilità del mio odierno umore, aggiungendo che, in ogni caso, prescindendo dall’umore, ritengo possa essere comune a molti nella mia situazione il rimanere diciamo, stupiti?, da una telefonata ricevuta dalla donna che li ha lasciati in maniera assolutamente tranchant e inappellabile e, in virtù di tale sommessa premessa, le chiedo il permesso di porle una domanda in assoluta franchezza di modi e contenuti.
E lei mi concede, signorilmente, l’opportunità di porla.
E io, franco nei modi e nei contenuti le chiedo: “Domi” con pausa rassicurante “posso chiederti che stracazzo vuoi dai miei martoriatissimi coglioni?”

Ma la franchezza non è apprezzata, laddove si respira la rarefatta aria dell’Olimpo.
E con uno stizzito e rabbioso “Scusami se ti ho chiamato non lo farò mai più addio” ha chiuso.
Proseguiamo, adesso.

Furioso


Mentre bevo il caffè con la Betta Regular controllo il telefonino.
Ieri sera alle undici e ventitre, mentre mi esibivo in cam con la mia partner, c’è stata una chiamata persa.
Una chiamata della Domi.
Ecco, vedete, io corro il rischio di lasciar intendere di essere una bestia senza intelligenza in questi casi.
Ma è più forte di me, vengo sopraffatto dall’ira.

Perché non vi è nessuna ragione al mondo, nessuna, nemmeno un lutto, poiché io al di fuori di lei che appare inequivocabilmente viva non conosco nessuno che io sia messo a parte di alcunché.
Per cui, questi sprazzi di comunicazione notturna io li conosco. Si chiamano fottuto egoismo di merda. Si vede che si è verificata una microsfumatüra nella sua coscienza e quella microsfumatüra urtava il suo senso di estetica correttezza ed allora pronti, tac, chiamare quel coglione patetico, possibilmente per farlo incazzare e portarsi a casa la conferma che sì, che si è proprio fatto bene a mandarlo affanculo.

sabato 28 gennaio 2012

Approfondimenti estremi

Seguendo un preziosissimo consiglio datomi da Federica stamattina in chat, alle ore 13:00 sono partito alla volta di Domiziopoli, non annunciando il mio arrivo, con la ferma intenzione di setacciare la questione Domi per ottenerne un profilo sostenibile razionalmente, qualsiasi fosse il risultato, positivo o negativo.

Non sono stato accolto a braccia aperte, com’era prevedibile, ma ho comunque ottenuto la facoltà di parlare essendo ascoltato. Ho premesso che la mia presenza a casa sua era volta ad ottenere istruzioni circa quello che stava succedendo. Ho precisato che dette istruzioni, una volta ottenute con chiarezza sufficiente ad essere capite da me, sarebbero diventate acquisite: in altre parole, non sarebbero state soggette a nuova discussione nei tempi a seguire da parte mia, fatto salvo che lei stessa non sentisse la necessità di sostituire le istruzioni con nuove istruzioni aggiornate, rivedute e corrette.
Abbiamo adottato le procedure della qualità, in buona sostanza.

Bene. Ho allora proceduto a porre una serie di quesiti in merito a quanto sta verificandosi, ma più nello specifico mi sono premurato di chiedere che cosa dovrebbe succedere nel tempo di sospensione che lei mi richiede, che tipo di evento fosse in grado di dirimere il dilemma in merito alla mia possibilità di essere amato o meno. Ho ottenuto un’escalation di precisazioni, nel senso che dapprima le risposte erano evasive, ma incalzandola si sono fatte via via più precise, sino a giungere in statu quo.

Ed eccone la sintesi.
Mi accusa di aver interpretato il nostro rapporto con esagerata esuberanza, ponendola in disegni futuri dei quali lei non si è mai posta questione né necessità, invadendo il suo spazio vitale con i miei ingombri, invadendo persino la sua città, andando addirittura ad abitare a duecento metri da lei, frequentando i suoi amici e la sua compagnia. Troppo, tutto troppo e troppo in fretta. La cosa le genera ansia, senso di soffocamento, pressione, poiché attualmente lei non è in grado di disegnare il futuro con me, mentre io sembro avanti dieci anni, parlando di primavera, limoni, vacanze e mare e lei non si sente a suo agio.

Benissimo, dico. Benissimo se non fosse che a) queste motivazioni non sono le stesse di domenica scorsa e b) non abbia mai espresso un minimo di disagio o dissenso nelle cose che dicevo e facevo, ma al contrario era concorde e addirittura “felice” e c) rimarrebbe comunque ferma la democratica libertà, anche per me, persino per me, di cambiare città e casa sino a che Domiziopoli non diverrà un feudo e lei la feudataria. Ma non era la polemica il mio obiettivo ed allora ho posto un quesito più articolato, nella consapevolezza che la risposta potesse essere oggettivamente difficile, cosa che invece non s’è poi verificata.
Ho chiesto di effettuare un’ipotesi nella quale io NON mi trasferisca, NON la monopolizzi, NON faccia progetti sul futuro, NON mi introduca nella sua cerchia di amici (che poi, oh, a una cena sono andato eh) ed ho chiesto se, con quel quadro mutato, l’ansia andrebbe dissipatandosi e lei, in tali condizioni, fosse disposta a rimettersi con me ed ho ottenuto un lesto e rapido no. Motivazione del no? “Perché è finita Tazio, è fi-ni-ta, abbiamo avuto una storia di due mesi scarsi, sono successe delle cose e per me è finita.”
E se è fi-ni-ta cosa stiamo aspettando? Che tempo le serve? Non importa, avanti.

Istruzione numero uno: è finita. Su questo non ci tornerò mai più, come da premessa. E da promessa. Sottolineo che lo scopo di questa visita è, dal mio punto di vista, raccogliere il maggior numero di elementi utili a costruire giorni futuri totalmente diversi da quelli infernali appena trascorsi e lei concorda. Me ne attesta il dovere, prima che il diritto. Ed allora pongo un altro quesito. Chiedo se c’è qualcun altro. E mi viene risposto di no in maniera assai poco convincente ed allora scavo di più, motivando l’insistenza come perseguimento di quel diritto/dovere di cui sopra che ci ha trovato incidentalmente concordi e timidamente compare una situazione leggermente difforme dal no iniziale: si vede con un amico, ma sono solo amici e non è successo niente. Sai a me che problemi se anche fosse successo qualcosa. Ma incalzo, perché di amici con cui non è successo niente ne ha trecendosedici e io, francamente, non capisco che cosa distingua quell’uno dagli altri trecentoquindici.

Ed allora, per esasperazione, ma anche perché controllava l’orologio di continuo, quindi per fretta, mi rivela che questa persona la conosce da anni, che si sono sempre piaciuti e incrociati quando lei stava con qualcuno e lui no, poi lei si è mollata con il numero tre, ma lui si era appena messo con una donna e poi, prima di San Silvestro, egli ha interrotto i rapporti con quella donna e lei, ha iniziato a sentirlo e adesso lo frequenta, ma non è successo niente, nemmeno si sono detti che si piacciono.

Bene.
Acquisisco anche questa istruzione. E faccio verbalizzante sintesi.
Le dico che è una disonesta e falsa, ma glielo dico con calma, senza sbottare. Le dico di considerarsi totalmente libera e per sempre e le chiedo di non riservare a questa persona le menzogne che ha riservato a me. Poi, mentre tentava di avviare una mini arringa difensiva, la interrompo dicendole che andavo.
E sono tornato a casa.
Inutile commentare e rivedere le frasi e gli anacoluti, poiché tutto è di una chiarezza cristallina.

Lunedì darò disposizione al commercialista affinché contatti il proprietario di casa per proporre una transazione sulla penale, considerato che ci sono entrato una volta con Max e che la polvere che c’era sta ancora nella medesima disposizione che aveva quando ho ricevuto le chiavi.

L’argomento Domi è archiviato. Ho un gatto vivo nello stomaco, ma ha ragione lei: si è trattata di una storiella scopaiola di due mesi, colpa mia che l’ho sopravvalutata. Ma adesso basta. Non basta dire basta al dolore, ma è sufficiente dire basta alle mortificazioni ed alle umiliazioni inflitte senza nessun motivo di sostanza. E’ l’ennesima farabutta presa per il culo, se non smetto di infilarmici, mi conviene incominciare a dire che mi piace, per salvare la faccia.

L’unica cosa di cui sono felice è di non aver fatto saltare l’appuntamento con la Nica per questo chiarimento.
E’ quanto.
Grazie di avermi convinto Fede.

Out of control

Sarà stata colpa della foto del blog. Non lo so. Ma mi ha preso una voglia di lei da far male. Asfissiante, soffocante, irrimandabile necessità di leccarla. Di assaporarla, di annusarla. Mi sono fatto una sega, ma non ha avuto nessun effetto lenitivo.
E allora l’ho chiamata.
E le ho sbrodolato, con la voce bruciata del mattino, le ho sbavato le mille voglie sozze di lei che ho.
La sentivo respirare intensamente, senza dire una parola. Le ho descritto dove erano le dita della mano destra, cosa toccavano, lo stato in cui era ciò che toccavano, dove si infilavano.
Le ho detto dove avrei voluto piantare il naso, cosa avrei voluto annusare, che odore volevo.
Senza pietà, senza pietose allusioni, senza eufemismi.
Crudamente fuori controllo.
Le ho grugnito quanto non riesca a togliermi dagli occhi di quando se la spalanca per farmela leccare, passandosi le mani sotto le cosce come un’attrice porno, sollevando i piedi in aria e poi le ho grugnito di cosa farei ai suoi piedi e dove mi infilerei il suo magnifico alluce e ho sentito un sospiro che conosco, che conosco molto bene.
E ho continuato. Continuato. Continuato.
E mentre le dicevo che progetti avrei su di lei e su quel dildo a due teste l’ho sentita sussurrare “vengo”.
E sono venuto anch’io in un rantolo isterico e l’ho sentita venire cantando, soave.

“Non ce la faccio più Domi a starti lontano”
Silenzio.
Silenzio.
Silenzio.
“Devi darmi del tempo, Tazio, ti prego”

E ho pensato a quelle dita eleganti che ora sapevano di figa.
Spero che la Nica mi faccia molto male, stasera.

mercoledì 25 gennaio 2012

Ri Drin Drin

Ri drin drin
E ma che bella giornata. Alla faccia delle mie regolette del cazzo.
“Ciao”
“Ciao”

E poi silenzio. Io odio chi ti chiama per stare in silenzio. E’ una cosa assurda, allucinante.
“Cosa vuoi dirmi Domi?”
“No niente è che prima veramente non ce la facevo a parlare, scusami ancora”
“Sì, sì, l’avevo capito, nessun problema”

Silenzio. Silenzio. Silenzio. Silenzio. Silenzio. Silenzio. Silenzio. Silenzio.
“Domi, mi sembra assurda ‘sta cosa. Stiamo qui al telefono e non diciamo niente, è frustrante.”
“Hai ragione, sì, scusami, ciao, scusa, ciao”
“Ciao”


C’è un medico che legge?

Drin drin

“Ciao come stai?”
“Ciao, insomma, tu?”
“Insomma. Ti avevo mandato un messaggino stanotte, forse non lo hai visto…”

L’ho visto, l’ho visto. C’avevo un banano d’avorio commovente tra le mani e me lo hai rammollito.
Speravo glissassi e capissi, ma invece vedo che no. E allora avanti.

Sì l’ho visto.”
“Ah. Allora vuol dire che sei incazzato con me…”
“Incazzato non è la parola esatta, Domi. Sono a pezzi, psicologicamente e anche fisicamente. E poi sono anche molto disorientato e ansioso, ma questa è una faccenda che me la devo sbrigare da solo.”
“Io volevo dirti che mi dispiace da morire Tà, che ci sto malissimo anche io, ecco volevo che tu lo sapessi che nemmeno per me è facile questa cosa e…”

E giù a singhiozzare.
Ecco.

Allora io mi chiedo una serie di cose, perché davvero non ci capisco un cazzo. Una mi ama, poi a Natale non le manco più, perché la presso sotto un profilo sessuale e questo la soffoca. Poi va a Roma, torna, mi vede dopo qualche giorno che è tornata e mi molla perché non sa se mi ama. Io prendo le chiappe e mi tolgo dalle ghiandole, poi questa mi manda un messaggino a cui non rispondo e allora alza il telefono e mi dice che le spiace da morire e che ci sta malissimo. E mi singhiozza nell’orecchio.
Cosa cerca? Cosa vuole? Chiediglielo, mi dico.
E glielo chiedo.

“Domi, ascolta, non piangere e ascoltami. Mi hai chiamato per dirmi che ci stai male? Vuoi la mia benedizione e che ti dica che non devi starci male e che hai fatto bene a mollarmi? Ti rendi conto che è una cosa strana, vero?”
“Ma nooooo, non è per quello e che ci sto davvero male, devi credermi veramente”
con la vocina strozzatissima.
“Ti credo, è che c’è un problema. Io sto andando fuori di testa e temo di non riuscire a fornirti della comprensione affinché tu stia meno male, lo capisci vero? Sono indaffarato a lottare con la piovra gigante che mi hai mollato addosso, capisci la situazione?”

Singhiozzi strappa cuore.
Dopo un bel minuto di pianto dolente, mi dice “Tà ti richiamo dopo, adesso non ce la faccio, scusami, scusa” e in un singhiozzone da scannatoio chiude.

Bella giornata oggi.
C’è un bel sole e fa anche meno freddo.
Anche se è mercoledì, a mezzogiorno vado a farmi due seppioline in umido, quasi quasi.

domenica 22 gennaio 2012

Venticinque minuti

Freddo polare, arrivo che lei è già lì. Espressione dolente, segni di sofferenza sul volto teso. Mi siedo accanto a lei. Mi guarda imbarazzata e poi mi chiede di poter parlare per prima. Permesso accordato.

Tutto in un fiato.
Concetto semplice.
Inattaccabile.

Si tratta di una situazione che ha radici natalizie. E’ da quel momento, un mese fa, che la Domi sente con crescita progressiva che se non ci sono non le manco. Il culmine ha iniziato il suo rush domenica scorsa, quando le ho chiesto il giochino dei collant senza mutande. Ha provato fastidio. Ha provato il desiderio di essere altrove. Poi è partita per Roma e non le sono mancato, mai. Anzi. Al punto di aver forzatamente aggiunto un giorno non richiesto alla permanenza. Al punto di essere venuta a sapere di dover uscire con le amiche e di non aver provato nessun disagio nel sapere che non mi avrebbe visto dopo una settimana, ma al contrario ha provato il sollievo di vedere le amiche. E a quel punto ha colto la palla al balzo, ma se ne scusa eh, se ne scusa tantissimo. La festina di laurea era per diluirmi nell’eventualità che io avessi insistito per vederla. Un mese di decadimento progressivo, durante il quale ha realizzato che forse dipende da valori diversi e passioni diverse: per lei il sesso non ha l’importanza che ha per me, ad esempio. E si rende conto di essere inadeguata alle mie esigenze e questo la mette a disagio. Poi ancora: io sono monopolizzante e lei ha tanti amici e dirmi che non ci vediamo per vedere gli amici la mette a disagio, ma d’altra parte non vederli mai la mette a disagio con loro. Perché lo vengo a sapere solo ora? Ma mentre formulo la domanda mentale lei mi dà la risposta e si scusa per non avermene parlato prima, ma data la delicatezza della cosa, dato che si parla dei miei sentimenti che rispetta e vuole trattare coi guanti bianchi, desiderava essere certa di ciò che provava e ora, purtroppo, lo è e, pur avendo sbagliato le mosse, è lì a parlarmene. Si affretta ad aggiungere che potrebbe essere un periodo di scoglionamento dovuto al lavoro e in questo senso mi implora con garbo e accorata cortesia di affrontare in maniera adulta la cosa, di non scomparire nel nulla incazzato, di mantenere il contatto, per aiutarla a capire, per cercare di capire meglio cosa le stia succedendo, per capire se mi ama o no. Ah.

Tutto in venti minuti. Venti minuti di mio assoluto silenzio e di suo assoluto concitato monologo con lo sguardo fisso a una fontana di pietra davanti a noi. Al termine, silenzio collettivo.
Cinque minuti di silenzio collettivo in cui lei non mi ha chiesto niente ed io non avevo niente da dire.

Mi sono alzato col mio bel magone peloso in gola e ho detto solo: “Se non c’è altro io andrei allora.”
Non ho ottenuto nessuna risposta e, quindi, sono andato.
Svoltando ho visto che piangeva, ancora seduta sulla panchina.
Mi ha sbrecciato il cuore vederla piangere, ma non sono tornato là.
Era l’ultima cosa che le serviva, che io tornassi là.
Per cui sono andato alla macchina
E lì ho pianto anche io, con tutta la discrezione e la dignità di cui sono stato capace.
Era un gran pezzo che non piangevo, ma lo so fare ancora.

Questa è una gran brutta botta.
La peggiore da tempo.
La peggiore.

Tempo di chiarimenti e di decisioni da prendere

Bene.
Il week end della bestia è pressoché terminato. Inutile girarci intorno o ammantare di chiavi di lettura mitiganti, perché era esattamente quello di cui avevo bisogno: donne sessualmente disinvolte e dall’appetito vorace. Patologicamente vorace, in un caso, ma d’altra parte la Nica è affetta esattamente dalla mia stessa patologia, l’ipersessualità.

Cosa rimane ora? I cocci, inutile girarci intorno. Abbiamo spaccato tutto, abbiamo frantumato qualsiasi cosa fosse stata impalcata sino a giovedì.
Per cui ora, con l’età e l’esperienza che mi ritrovo, direi con rara finezza manieristica che è troppo tardi per rimettere la merda nel culo del cavallo.
E quindi, su quei cocci, occorre ragionare in maniera sensata.
E occorre che mi ponga dei quesiti. Seri.
Il tempo di Hello Kitty è passato.

Prima domanda: mi sento in colpa?
Sì, mi sento in colpa. Mi sento in colpa di aver accettato di provare a diventare il Tazio che non sono: fedele, moderato, addirittura anelante la monogamia. E’ stato un errore colossale, specie considerando che la Domi è straordinariamente figa ed è tutto quello che si vuole, ma le manca la marcia in più a letto, che è la marcia più importante, più importante per me. Ed io questo lo sapevo. E sapevo benissimo che non mi sarebbe potuto bastare, ma ho accettato ugualmente il tentativo pur di non perderla. E invece queste cose non tengono, perché l’agguato è dietro l’angolo, basta un nulla che si reagisce per ciò che si è e non per ciò che si vorrebbe essere. Quindi questa è la mia colpa. Non le scopate, ma questa.

Seconda domanda: cosa non va nella Domi?
Non lo so con esattezza. Ma qualcosa c’è. C’è ed è evidente, perché alla luce del giorno, in questa mattina in cui, libero da istinti impellenti, posso pensare con minor incazzatura al suo atteggiamento, mi sento sempre meno spinto a pensare a leggerezze ed egoismi, ma piuttosto ad una sorta di esigenza di non vedermi. La stanchezza ingestibile (era venuta a casa da Roma in tre ore di treno, mica da Los Angeles in quattordici eh) la cena con le amiche (cielo! Che smemorata!), la festa di laurea (mi conosce abbastanza per sapere che non ci sarei mai andato), insomma una ridda di tante piccole “scuse” che mi avrebbero quasi matematicamente tenuto lontano, ma avrebbero altrettanto matematicamente indotto un’attenzione ad un atteggiamento palesemente anomalo.
E oggi pretendo la resa dei conti, su questo.

Terza domanda: sono innamorato della Domi?
La risposta onesta, sincera, adulta è che non lo so. Ma non perché sono incazzato o chissà che cosa. Ma perché faccio un’analisi precisa della situazione. La stimo, mi piace, è intelligente, dolce, graziosa, la adoro, ma tutte queste cose rimangono frammenti isolati, manca una amalgama che vada costituendo un rapporto d’amore vero. Ho sempre la sensazione che dietro a certi silenzi o a certi sguardi si celi una sconfinata prateria di sua esclusiva proprietà il cui accesso non mi è consentito. Mancano dei pezzi e questo, unitamente alle innaturali aspettative che ha su di me, non mi consente di rilassarmi. Forse questo, dopo due mesi, era il momento adatto ad un’evoluzione, uno scatto in avanti, un rinsaldamento fatto di fiducia e maggior conoscenza, perché io e lei non è che abbiamo solo ficcato, ma ci siamo confrontati, raccontati di tutto, misurati su tutto. E quindi mi attendevo quel passo in più, quello sblocco, quel riposizionamento più indulgente ed invece è successo il contrario, è successa una fuga repentina ciascuno nella sua tana, con un raffreddamento del nucleo del reattore. Perché di questo si è trattato.
E l’acqua sul nucleo non sono stato io a gettarla, devo tenerlo bene a mente.

Quarta domanda: è l’inizio della fine?
Ci sono fortissime probabilità, sì. Devo dirmelo, anche se questa cosa non mi piace proprio per niente. Ci sono fortissime probabilità in quanto nessuno dei due si è stracciato le vesti per cercare di affrontare assieme questo mistero di cui solo lei è a conoscenza. Ciascuno ha avuto ben presente i blocchi che l’altro ha e ciascuno ha desistito prima ancora di provarci. Ci sono fortissime probabilità perché io ho il viscerale rifiuto verso atteggiamenti da sedicenne e non sono disponibile a questo tipo di cose, io ho quarantadue anni e pretendo che una trentenne con disagi o crisi decida di parlarmi subito, anziché nascondersi dietro a cazzate stagne alla “non ci vediamo perché mia mamma non vuole” senza appello e senza replica.
Ci sono fortissime probabilità perché io non sono più disponibile ad essere un altro e ad essere accettato solo se divento un altro. Perché se è così, ci si deve trovare un altro.
Lo dico su di me, ma è una riflessione che vale anche per me su di lei.

Quinta domanda: che grado di verità le riserverò?
Non sono certo il tipo che si fa la scopata illecita e poi corre dalla morosa a vuotare il sacco per sciacquarsi la coscienza, promettendo dolente ed in lacrime ciò che non potrà (e non vorrà) mantenere.
Le riserverò l’assoluta verità su come vivo il nostro rapporto, sulle aree gelide, le praterie inviolabili e l’assenza di progresso e la tiepida passione. Avrà tutta la verità in merito a ciò che penso relativamente al suo atteggiamento. Per il resto, per le verità per lei dolenti su ciò che è successo in queste ultime due notti, non ritengo di doverle dire nulla, poiché non sono state notti guidate dalla Domi, ma guidate da quel Tazio che ho dissennatamente disconosciuto in nome di un Tazio che non esiste e mai esisterà.
Sono, in altre parole crude e chiare, affari miei e solo miei.
Rimane inteso che se la linea con cui lei deciderà di condurre il nostro imminente confronto è basata esclusivamente sulla pruriginosa necessità di sapere cosa ho fatto in queste due notti, io glielo dirò, motivando con precisione il perché, rinforzando il concetto che ho commesso il dissennato errore di creare un Tazio inesistente che venerdì mattina è morto ed in suo luogo c’è il Tazio vero che non ha più nessuna intenzione di nascondersi e di raccontare di essere qualcun altro.
Ma se la linea sarà questa, credo che il confronto andrà diretto in cassazione, per me.

Sì, ci sono fortissime possibilità che finisca.
Ma io non sono mai scappato davanti alle cose orribili e non scapperò nemmeno di fronte a questa.

Quattordici e trenta al parco, solita panchina.
Ha risposto con un laconico “ok”.
E’ tempo di chiarimenti e nessuno ne verrà fuori indenne.

venerdì 20 gennaio 2012

Precipitazioni

Poco fa mi ha telefonato. Chiedendomi che programmi ho per domani. Io ho risposto la verità, cioè che domani a mezzogiorno vedo una persona per pranzo (quello che ha chiuso l’agenzia), perché voglio parlargli di lavoro e che, quindi, non so minimamente a che ora mi libererò, che è un’altra verità. Ma la verità, si sa, è dannatamente sfavorita rispetto alla menzogna. Per cui mi sono sentito rispondere che sono un permaloso vendicativo e che non le sembra il caso di sostenere questo atteggiamento. A quel punto le ho chiesto con franchezza, con estrema, drammatica e risoluta chiarezza se per caso non mi credesse. E mi ha risposto con estrema, franca e assoluta chiarezza che no, non mi crede. O meglio, è assolutamente convinta che il pranzo sia forzatamente stato creato per vendicarmi di stasera e domani sera.
Ho fatto leva su me stesso sino allo sforzo sommo per mantenermi calmo.
E le ho risposto che domenica urgerà una chiacchierata molto seria.
E lei ha concordato, stizzita e nervosissima.
E abbiamo chiuso freddamente.

Dopo dieci minuti mi ha richiamato, per sibilare con noia stizzita che “Senti non vado domani sera, ok, è meglio che parliamo e poi in questo stato non ho lo spirito per andare ad una festa”. Che bastardo eh? Rovino gli spiriti della festa.
“Mi dispiace, ma io ho preso un impegno per domani sera. Parleremo domenica.”
 

“Ah! Hai fatto presto a trovarti un impegno. Bene, bene, sono contenta che nonostante l’incazzatura tu abbia trovato da uscire. E se ti chiedessi di disdirlo come ho deciso di disdire io?”
“Ti risponderei che mi spiace, ma mi sono preso un impegno e ci parleremo domenica.”
“E’ una donna vero?”

“Di cosa stiamo parlando Domi? Cerchi la rissa?”
“Figuriamoci, è una donna di sicuro. Divertiti.”
Click.

Due cose sole.
La prima è che Giovedì prossimo Flamingo. Cascasse il mondo, io giovedì sera sono al Flamingo.
Perché io me la voglio chiavare la Giuliana e me la chiaverò.

La seconda è che adesso vado a casa, mi faccio un paio di clisteri e una bella doccia, mi metto l’anello al cazzo, mi fumo una cannetta, mi rilasso e vado a prendere la Nica.
Col telefono spento.
Queste sono le due sole cose che mi viene da dire in questo momento.
Buona serata a tutti.

Nessun problema, scherziamo

Bon après-midi a tout le monde.
Ieri sera alle 20.10 ero sulla banchina domiziopolese a piè fermo come un ussaro della morte. Dalla porta dell’argentea freccia è scesa la Domi avvolta nei suoi fagotti, trascinante un trolley. Stanca morta. Raggiungere la stazione a Roma è stata un’avventura epica dalle tinte drammatiche.
Siamo andati a mangiare in una pizzeria affollata al parossismo, dove la disorganizzazione ha spinto il tempo totale di permanenza a ore una virgola settantacinque. Un’ora e tre quarti per mangiare una merdosissima pizza nel puttanaio. Durante la cena, tra le tante cose, mi ha anche detto che questa sera sarebbe stata impegnata con una cena tra donne, programmata da tempo, di cui lei stessa si era dimenticata, ma che via sms le amichette stesse le hanno rammentato sul far del ritorno ferroviere.
Nessun problema, scherziamo.

All’uscita della pizzeria, circa alle ventidue, la Domi strafatta mi comunica la necessità di andare a casa e buttarsi a letto che non ne poteva più e si vedeva anche dalla faccia.
Nessun problema, scherziamo.

E così alle ventitre e trenta ero anche io nel mio lettino a recuperare l’infausta nottata precedente.
Nessun problema, scherziamo.

Oggi a mezzogiorno e mezzo, mentre mangiavo un boccone da solo all’Osteria Quellanuova, di ritorno da una proficua mattinata di incontri di cui forse vi darò notizia più tardi, mi chiama la piccola Domi.
Mi chiama e mi dice che domani sera è invitata alla festa di laurea della sorellina di una sua amica che si è laureata ieri.
“Ti dispiace Taz? Se vuoi posso sentire se puoi venire anche tu”
“Ti prego no, non ti disturbare, la festa di laurea della sorellina della tua amica non posso reggerla”
 “Ah. Ma era per stare assieme che se no noi quand’è che ci vediamo …?”
“Domenica, se non hai impegni”
rispondo io, pentendomi dell’inciso mentre lo dicevo.
“Ecco lo sapevo, ti sei incazzato”

Brutta scelta di frase, Domi, pessima. Specie quando stanno già girandomi i coglioni.

“Guarda Domi, sino ad ora non sono ancora incazzato come potrei, ma per regola complessiva, sinossi generale diciamo, evita per sempre di pronunciare la frase “Ecco lo sapevo, ti sei incazzato” perché, forse per leggerezza linguistica, non ti rendi conto che stai affermando che, mentre avveniva lo svolgersi di una tua azione volontaria eri già certa che l’azione medesima avrebbe procurato la mia incazzatura e, nonostante tale certezza, hai dato comunque corso all’azione. Sostituisci la frase e usane una più elegante del tipo “Non avrei mai immaginato che ti incazzassi” la quale ti pone in una condizione ignara e quindi in grado di forzare l’interlocutore a scusarti di default. Ferma questa premessa, ti ribadisco che non mi sono incazzato e ti invito ad andare con serenità assoluta ad entrambi gli impegni che non c’è nessun problema, scherziamo.”

E con cordialità e saluti, abbiamo concluso la conversazione.

Pago il conto e torno in studio e, passeggiando, rifletto un attimino.
Sei stata per tre sere a Roma, quello è lavoro, manco si discute un solo secondo. La quarta sera ritorni e non stiamo assieme perché sei stanca, comprensibile, deve essere stata una giornata d’inferno. Stasera hai una cena programmata con le amiche e ok, vacci, scherzi, l’amicizia sopra a tutto sempre. Ma domani sera la festa di laurea la potevi pure saltare, secondo me. Anzi, mi sarei proprio aspettato di essere più allettante della festa di laurea della sorella della tua amica, in mezzo a un nugolo di ventiquattrenni ubriachi.
Ma non importa, è giusto che ciascuno amministri il suo tempo secondo quelle che ritiene le proprie priorità.

Io di mio ho un piccolo problema che va risolto.
Ho toccato il quinto giorno di astinenza e credo che l’ultimo in vita mia fosse quando mi imbottivano di psicofarmaci. Ho ben conservato, al caldo del mio scroto, un pieno carico di sperma che sono certo donerebbe il sorriso a qualche cultrice del genere. Accanto a questo pieno carico, ho una voglia di chiavare che mi trema la palpebra di sinistra, per cui nessun problema, scherziamo.

Ho davanti a me il mio parlàfono e adesso mi ci metto di sbuzzo buono e la prima che dice che sì, che stasera esce con me, sarà una donna che mi conosce bene e che sa che con me non si esce per parlare della drammaturgia tedesca del dopo Prima Guerra Mondiale, ma per chiavare, fottere, ficcare, scopare, montare, inchiavardare ed ogni genere di sinonimo afferente all’atto della copula animale.
E io stasera chiaverò quant’è vero iddio. 
Perché sono talmente carico che fino a quattro sono in grado di mandarle tutte a casa col bruciorino.
Mi sento molto performante, sì.

Ma tranquilli eh, nessun problema, scherziamo.

giovedì 19 gennaio 2012

Resistere, resistere, resistere

Alle ore 20:10 la Domitilla poserà la sua sublime e sconvolgentemente sensuale pianta del piede sulla banchina della stazione di Domiziopoli. Sarò lì a farmi calpestare da lei, grato del suo ritorno, avvenuto giusto ai limiti della mia umana sofferenza.
Ho resistito a di tutto questa settimana. Stimoli esterni, stimoli interni, stimoli fisiologici. Persino la doccia è stata un atto di autocontrollo. Tutto.
Poi oggi la Bettaporno ci ha messo sopra la briscola definitiva. E io ho solo detto che andavo a menarmelo, ma invece ho resistito. Menandomelo senza venire.
Resistere.
Resistere.
Stasera la inondo, non vedo l’ora.
La affogo.
Resistere.


Giovedì

Bon jour.
Un nebbione gelato da far paura. E un freddo da far increspare lo scroto.
Stamattina sono davvero a pezzi. Davvero davvero. Sarà che stanotte è stata una tragedia: ho dormito pochissimo, ma di quell’insonnia bastarda, di quella che tu sei a pezzi e lei ti tiene sveglio.
E sì che ieri sera non ho fatto niente di tossico.
Ho sentito la Domiziea per una mezz’ora abbondante e poi mi sono messo a fare scatoloni.
Proprio un virtuoso, meritavo il riposo, non la punizione del vizioso.

Sono uscito dallo studio alle venti e trentacinque e ho fatto prua alla Solita. Niente compagnia per la cena, ieri. Mi sono fatto un bel piattone di lasagne al forno e del pollo arrosto, poi ho pagato e sono andato a casa. E ho telefonato alla mia Piedina Sudata. Che era incazzata come un cobra dagli occhiali. E c’aveva pure ragione. Una settimana di pellegrinaggio a Roma a non concludere nulla, ecco come il management affronta la crisi, sottraendo le truppe alla trincea. Vabbè, inutile parlarne. Oggi lei insubordina ed ammutina. Esce dall’albergo con il bagaglio, va alla sede del dolore, fa il minimo indispensabile e poi tenta di vincere la giungla d’asfalto e si porta alla stazione dove sale sul primo treno del cazzo che la riporta a casa. Vaffanculo le riunioni del cazzo, ha ragione, le ho dato il mio massimo sostegno. I coglioni avrebbero la pretesa che rimanessero lì sino a domani pomeriggio. Venerdì pomeriggio. Ma dove vivono?

Alle dieci e mezza ci siamo salutati e io ho messo su un po’ di jazz ed ho iniziato a svuotare un mobile.
Facile. Facile al punto che ho svuotato anche il secondo ed il soggiorno, a parte il gruppo TV-stereo-diavolerie, è impacchettato. Sostanzialmente rimangono i miei vestiti e alcune cose in cucina. Poi c’è un mare di roba in garage, ancora negli scatoloni da quando sono venuto qui, ma se è necessario quella roba la porto nella brughiera.

Alle due e un quarto mi sono fatto una doccia e mi sono girato una cannetta leggera, pensando che il virtuosismo è davvero eccellente nel Tazio 2.0 . Dall’orifizio del mio pene non esce altro che urina, da domenica sera. Niente masturbazione, niente chiavate clandestine, niente di niente.
Sono tirato come una pista di coca, c’ho i coglioni che scoppiano, ma io niente. Faccio qualche carezza alla Fava Gigante, quando si erige, ma basta.
Incredibile eh?

Ma poi mi chiedo, ma perché?
Boh.

Bon jour.

lunedì 16 gennaio 2012

La gaiezza

La mia Piedina Odorosa è a Roma.
E’ partita stamattina, con la morte nel cuore, perché questi giorni romani non le recheranno gaiezza, no.
E’ partita stamattina, con la morte nel cuore e i vibratori nella sacca, perché d’accordo che i giorni non le recheranno gaiezza, ma almeno che le sere gliene rechino un po’.
E’ partita stamattina, con la morte nel cuore, ma con l’iPad tra le mani, che mi ha spedito settemila messaggi nelle tre ore di viaggio, tessendomi concetti di ricerca della gaiezza e io l’ho pregata di non tornare a casa con delle malattie veneree e lei mi ha chiamato Stronzo.

E’ partita stamattina, con la morte nel cuore e tra poco, dopo cena, guadagnerà la gaiezza vibrante.
Le ho chiesto se è conscia che l’iPad ha una telecamera e mi ha detto di sì, facendo il faccino :P

Lo so è da bastardi, lo dico in partenza.
Ma c’ho una voglia di andare a troie che lascia fare.

Inadeguatezza latente

Domenica pomeriggio, inizia ad imbrunire.
Ti fai il bidet e poi torni. Ti chiedo di indossare i collant senza mutande e basta. E’ una piccola prelibatezza guardarti con i collant senza mutande. I collant neri ti fanno un culo da perdita dei riferimenti spazio temporali.
Poi dopo un po’ ti infili il maglioncino nero e il maglioncione verde, perché senti freddo alle tette.
Ma sotto resti coi collant senza mutande e io non perdo occasione per palparti. Ti grugnisco che mi fai ingrifare senza mutande e ti chiedo se ci sei mai uscita, qualche volta, senza mutande e mi rispondi inappellabilmente di no e io piango dentro di sofferenza per cotanta cassazione.
Ed allora  mi chiedi.

“Tà dimmi la verità, io sessualmente sono un po’ suora vero?”
“Intendi dire una ninfomane onanista con tendenze lesbiche e depravazioni sadomaso in chiave sacra?”
“Ma dai, scemo, intendo dire poco porca”
“Ahhhhhhhhhh, poco porca… ma allora mi sa che il riferimento con la suora non sia indicato, sai?”
“Ma cheppalle, dai fai il serio”
“Ok serio allora. E seriamente ti rispondo con una domanda: quello che fai a letto con me, lo fai forzandoti per darmi piacere, oppure ti viene naturale?”
“No, niente forzature. Quello che facciamo, anche se spesso nuovo per me, mi viene naturale”
“E allora sei una bella porca, altro che: sei entrata nel mondo del porno, hai una collezione di vibratori di discreto livello, ti piace se scopiamo non lavati… non ti definirei ‘freddina’, sinceramente… “


Silenzio, continua ad imbrunire. Siedo sul divano e tu stai stesa con la testa sulle mie gambe.
Ti masturbo sui collant, mi piace da morire. Sento che ti si inturgidisce il cazzetto e te lo dico.
Respiri più profonda, con gli occhi chiusi e le gambe aperte.

Ti masturbo e penso alle origini della tua domanda.
Perché hai pensato di essere poco porca?
Perché io sono un ipersessuale? E quindi un ipersessuale deve accompagnarsi con una ipersessuale?
E ancora: è un disagio non essere ipersessuale stando accanto a un ipersessuale?
Diventerà un problema?
O lo è già?

Respiri con la bocca aperta, gli occhi chiusi, il viso rivolto verso di me.
Stai godendo, tranquilla, senza scosse, senza torpedini impazzite che ti sbattono di qua e di là.

Non so gestire la cosa, devo ammetterlo.
E mentre ci penso, tu vieni, reclinando la testa all’indietro, gli occhi chiusi, la bocca aperta, il bacino che sussulta ed ondeggia.

Devo essere attento, più attento.

Al parco

Ieri pomeriggio siamo andati a passeggiare al parco. Com’è anni settanta andare a passeggiare al parco. Adoro andare a passeggiare al parco, col freddo, con la Domi intabarrata, chiacchierando.
Abbiamo parlato di Dio,della morte, della famiglia e del futuro.
E sono argomenti che li ho tutti introdotti io. Stupefacente eh?

E’ stato istruttivo, rinfrescante, riscaldante, corroborante, confortante.
Una volta congelati, siamo andati a prendere un punch all'arancio.
Poi, ubriachelli e ridarelli, siamo tornati a casa.

Due soldi di normalità possono rendere felici.
Sì.

domenica 15 gennaio 2012

Porno

Un’idea estemporanea, un last minute, un’improvvisata, una cessione ai bassi istinti, una provocazione.
La qualità Sony HD semipro al servizio delle tue dita dei piedi, della tua bocca che mi succhia la cappella, nitida qualità che supera quasi la risoluzione dei miei occhi, nitida qualità che ti fa diventare una porno attrice e io ne sono fiero, sia di ciò che fai nel campo di inquadratura , sia della fiamma che inizia ad ardere timida nel tuo utero, timida come timida sei tu, per poi ingrossarsi e divenire fuoco, perché il porno che ci vede protagonisti ci piace, ci fa capire quant’è meraviglioso vederci e mostrarci, quant’è seducente enfatizzare questo o quello, quant’è amplificante l’idea di essere di potenziale pubblico dominio, ci esalta prendere coscienza che, così come ci eccitiamo vedendo emeriti sconosciuti, altri emeriti sconosciuti potrebbero eccitarsi vedendo noi e, anche se questi fotogrammi rimarranno nell’inviolabile segreto delle nostre case, siamo tentati dalla potenzialità che potremmo esprimere se solo lo volessimo e questo diviene stimolo ad osare, a mostrare a spalancare, a dilatare, a richiedere questa o quell’inquadratura per poi rivederci, subito, eccitandoci, ricominciando a scopare mentre sul brillante monitor scorrono i fotogrammi crudi della nostra anatomia genitale e della nostra nudità e ci troviamo affamati di noi stessi, perché il porno casalingo è la più alta delle forme di masturbazione di coppia, la più elevata espressione del sesso disadorno e basico e mi confessi di eccitarti mortalmente se ti inquadro in closeup mentre fai la troia per l’obiettivo, perché tu diventi e sei troia e lo ammetti, così come ammetti che sarebbe eccitante che vi fosse un operatore a riprenderci, lasciandoci creare, inventare, modulare e modellare posizioni, parole e orgasmi, liberi dal vincolo tecnico che rallenta e comprime lo sbavare dei sensi, ma ne vale la pena per quel dopo nel monitor, ammetti che arriveresti a farti riprendere da un estraneo, meglio se un’estranea, mi dici, riportando quella esigenza di soldiarietà femminile che capirai, lo capirai presto, che nel porno non serve.

Poi abbiamo mangiato del sushi take away davvero buono, seduti per terra sul tuo caldo parquet, ancora nudi.
Poi abbiamo buttato i cartocci e bevuto un caffè. Nudi.

“E’ difficile da usare?” mi chiedi guardandola.
“Una stupidaggine” ti dico sorseggiando “ti insegno”. E in un minuto sai tutto.
Poi mi guardi e mormori.
“Voglio un video tuo in cui ti masturbi e ti vieni sulla pancia”
E sperando che cederai alla tentazione di mostrarlo a qualche tua amica, comincio a segarmi.

Il full HD della Sony è imbattibile.

sabato 14 gennaio 2012

Appunti disordinati e schizofrenici di un venerdì sera comune e, per questo, straordinario

E poi c’era questa tipa, l’Anto, che é alta un metro e ottantacinque ed è un’appassionata di sport e forma fisica che quando s’è tolta il golfino, che faceva un caldo sahariano in quella taverna, c’aveva le vene grosse sugli avambracci depilati e le puppole dei bicipiti e a me fa un sesso malandrino. E’ bionda a caschetto arruffato e due occhi che sembra la Camusso, di ghiaccio.

Saverio, il padrone di casa, è uno di quegli sfigatoni single imperiali tutto figa in odore di frociaggine inespressa, col maglioncino figa, la casina figa (casina, c’ha una casa pazzesca, altro che) tutta in ordine e i denti bianchissimi figa, magrissimo figa, abbronzatissimo figa, tintissimo figa, che tutte se lo coccolano e lui è cordialissimamente freddo e scostante e, insomma, a me mi sta sul culo, ma anche alla Anto ho capito.

La Lizzy, invece, è proprio fighina fighina, piccolina, scurina, morettina, capelli quasi a spazzola, occhi verdi e un sorriso che ti compra e mi piace una cifra, sarà anche che ieri sera c’aveva il vestitino fantasia anni settanta senza calze e questo le vale un nobel da solo. La Lizzy è la morosa di Andrea detto Endi, che assomiglia ad Alessandro Borghese ed è un cazzaro sfasciato molto, ma molto, simpatico.

La cumpa mi scatena l’amarcord.
C’avevo sedici anni quando mi sono ingroppato la Monica che era la bruttina della cumpa dell’epoca. Non se la filava nessuno perché era bruttella, grassottella e tutti temevano di essere presi per il culo. Ci ingroppammo in una vecchio ricovero attrezzi agricoli abbandonato, una domenica pomeriggio di giugno. Era pelosa scura folta e la figa sapeva di talco. Ho avuto la certezza di aver assaporato un quid in più, perché dai racconti dei miei amici che si facevano le fighefighe, queste bambolotte rognavano nell’intimità, facendo le preziosine.
La Monica invece si spogliò completamente nuda senza pensieri di sorta e ci masturbammo tutto il pomeriggio.
“Sai che te rispetto a Claudio ce l’hai grosso il doppio? E poi te vieni e ti ritorna duro subito, lui veniva una volta e poi ciao, se ne parla domani”.
Claudio era stato il suo fidanzato per un anno e aveva la patente. La Monica aveva delle bellissime tette grosse, perfette. E all’interno dei sandaletti con le roselline lasciava l’impronta scura di sudore del piede. Rimanemmo fidanzati segreti per ben un mese.

La Domi mi dice che, secondo lei e la Roby, la Anto è lesbica, che non la vedono mai e poi mai con un uomo. Poi mi dice che devo andarle proprio a genio perché la Anto è famosissima per le sue serate autistiche.  Le chiedo se era la Roby quella che si fece i due amici in campeggio e la Domi ride e mi dice di sì. Non avevo dubbi, la Roby ce l’ha scritto in faccia che è uccellaia pro. La Anto me la chiaverei, comunque, e se non sono proprio rincoglionito patocco, penso che anche lei mi chiaverebbe. Però è sicuro, quella è bisex.

Alla Monica piaceva da morire farsi leccare la figa e a me piaceva da morire leccare la figa, sicché facemmo con gran facilità una società al volo. I pompini lei, invece, li faceva dimmerda perché non sapeva dare una continuità ritmica. Si fermava, mollava lì l’uccello e mi accarezzava la pancia. Pessima. Di mano era migliore e così, dicendole che preferivo essere smanazzato, abbiamo superato l’ostacolo.

Tornando indietro ho iniziato a masturbarmi in macchina e la Domi si è eccitata. Ci siamo infilati in una stradina di campagna e abbiamo scopato come due forsennati. La Mini è scomodissima per scopare. Era meglio se andavamo via col mio ferro.

La Monica non aveva dei bei piedi, ma io glieli leccai lo stesso, però lei temeva il solletico e così dovetti smettere di leccarglieli.
La Domi era senza smalto, ieri sera, però aveva il perizoma e gliel’ho messo dentro spostandolo appena, che a lei piace e anche a me piace quando il perizoma umido mi sfrega sulla pelle del pisello.
La Anto deve avere un culo d’acciaio e deve essere uno spettacolo nuda, con tutti quei muscoli.
Che bella la vita della cumpa, però.
Secondo me la Anto si depila.
Ho voglia di menarmelo.