“Sono tanto stretta, mi devi promettere che se ti dico che mi fa male smetti”
“Promesso”E spalmo i miei speciali lenimenti preventivi e i lubrificanti pro attivi. E mi rilasso all’idea di metterci molto.
E ci metto molto, ma poi finalmente, sento il caldino e vuol dire che sto entrando.
Che bel sederino, la Ale. Ed è vero, eh. E’ strettissima lì. Credo mi sia diventato duro sino alla nuca.
Piano, pianissimo. Bisogna anche dare un po’ di tempo al lenimento miracoloso.
Che bello l’effetto lucido lì nel mezzo e sull’uccello. E la vena mi si gonfia come una camera d’aria e l’uccello si scurisce di sangue.
Pianino, pianino, pianino.
Centimetro dopo centimetro. Ma no. Millimetro dopo millimetro.
In mezzo a mille strette contrazioni e pulsazioni.
La Ale con gli occhi chiusi e i capelli sparsi. La boccuccia aperta in un’espressione di sofferenza interiore, ma non dice che le fa male.
Pianino, pianino.
Finché è tutto.
Il mio pube contro le sue natiche muscolose. Capisce e scivola sulla pancia.
Mi chino e la bacio. Le chiedo se le fa male.
Ruzzola un “no” in estasi sospesa.
Muovo piano all’indietro e poi in avanti piano. Aumento l’estensione, ma rallento la velocità. Sudo dalla tensione e dalla concentrazione.
Dentro, poi fuori, sempre più esteso, ma pianissimo.
Chiedo se le fa male.
“Sei bravissimo” rantola quasi sbavando sul cuscino, quasi fosse l’ultima frase prima di spirare.
Ah Sandrina, quante soddisfazioni mi dai.
Hai accettato di provare a prenderlo nel culo, preoccupata, quasi certa di sbottare un ahi all’inizio, pronta a passare ad altro e invece eccoti qui. Piatta di pancia sul letto mentre ti allungo e ti accorcio ‘sto fior di cazzo ligneo nel budello odoroso, che quasi non contrai più e io è quel momento che aspetto, per iniziare a chiavarti come dio comanda.
Lentamente.
Facendo sgocciolare qualche aiuto nel mentre.
“Ti piace?” – “Sì…”
Ma pensa.
Accelero, ma con moderazione. Respirazione accelerata.
La mano sporcacciona scivola sotto e comincia ad accarezzare la bernardina implume.
Masturbati, amore.
Accelero.
Un gemito.
Non chiedo. Misuro tutto dalla velocità con cui le dita stropicciano quella carnina tenera.
Accelero.
Accelero.
Sono in velocità di crociera, quella che mi fa godere bene, intensamente, quella che può aprirmi la voragine.
La Sandrina gode, non c’è dubbio.
Gode e dopo un bel po’ che la inculo, comincia a venire, nessun dubbio, le piace.
Sussulta e dice ahi, poi sì, poi ahi, ma sussulta lei, si fa del malino delizioso da sola.
E allora io mollo. Pregiudizi, preoccupazioni, remore e scrupoli. Non accelero, ma mantengo. E sento la corsa di dentro, che corre liquida e pizzicorina, che sale e vengo e lei sorride con gli occhi chiusi e io vengo mentre lei contrae sorridente, che ha capito il giochino, oppure lo sapeva, e quando mi sente sussultare, contrae e sorride.
Poi scivolo fuori lentissimo. Lentissimo.
E quando la cappella sguscia e il muscolo torna a chiudersi, quella ‘a’ sorridente è una soddisfazione.
Cado steso, si gira.
E’ raggiante, luminosa.
Mi succhia i capezzoli e con la mano corre là a giocare con la mia cappella inzaccherata.
E dopo un po’ bisbiglia.
“Non ti diventa mai molle e piccolo… si rammollisce un po’… ma resta grosso… e se ti tocco la cappella così… qui… in un attimo ricomincia a tornarti duro… senti qui… è bellissimo… ti tira… senti come ti tira di già… “
E mi sale di sopra, infilandoselo dentro, cominciando a galoppare di bacino, stesa su di me.
Delizioso.
E indolore.
In tutti i sensi.
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