Bonjour, è lunedì e fa un freddo maiale.
Prima c’avevamo un marzo che sembrava una fine aprile, ora c’abbiamo un
aprile che sembra una fine settembre. Ma un mese che sembra esattamente quel
che è pare brutto?
Il cielo non promette niente di buono, è lunedì e stamattina devo pure
vedere un tizio che non c’ho cazzi.
I programmi della Squinzy non sono noti, perché lei al contrario di me
non pianifica tutto il giorno prima. Perché lei non soffre di ansia e non è
costretta a pianificare per abbattere il senso di incertezza che, negli
ansiosi, ha un effetto devastante.
Domenica amabilmente pigra. Mi si attaglia la molle pigrizia domenicale
in una bella casa con una bella figheira. Ma alla bella figheira, si attaglierà
tutta questa pigrizia molle? Penso di sì. Non vi è nessuna prescrizione
insormontabile, se non le fosse piaciuto l’avrebbe detto.
Ore 21 circa. Scende con acetone e cotone, ai piedi le infradito
bianche. Io sono sul divano, che guardo non so cosa. Anche perché non è che lo
guardo, mi perdo semplicemente nelle immagini. Lei si toglie i jeans. Indossa
mutande. Sì, mutande. Non perizomi o tanga acrobatici, ma semplici mutande,
fatte come le mutande. Mutande verdi, con un elastico stampato a fiorami. Da
quelle mutande verdi si intravede la macchia scura dei peli e, quando si gira,
lo spacco del bel culetto sodo. Si accoccola in posizione yoga e comincia a
togliersi lo smalto dalle unghie dei piedi. Erotica. Sensuale. Seducente.
Quando ha terminato, raggiunge scalza la cucina, sempre in mutande.
Getta il cotone e ritorna.
Fa caldino, ho acceso un ciocco, ci stava.
Torna e siede accanto a me. Alzo un braccio e lei ci si infila dentro.
Svaccata.
Continuiamo a guardare, poi la sua mano scivola nelle mutande verdi.
Delizioso. Accenno a dedicarmi all’esigenza, ma lei mi blocca con un sorriso.
No, nessun aiuto, non ora. Ora vuol fare da sola. Osservo le dita che si
muovono nel tessuto sottile. La sento respirare. Non la tocco, la tengo solo
abbracciata.
Perché la capisco. Capisco benissimo. La capisco perché anche a me,
spesso, forse sempre, prende quell’esigenza di fare da solo. Se qualcuno mi
guarda è anche meglio, ma anche se non c’è nessuno va bene. Viene sussultando e
poi si succhia le dita. E si gira su di me, palpandomi, quasi a dire “scusami, ero impegnata, ma adesso sono
tutta per te”.
No, non c’è bisogno. Voglio solo annusarti le dita. Per ora.
Ed all’improvviso ho sgrossato.
Perché le cose più complesse, spesso sottostanno a regole semplici. Sto
tanto bene con lei perché è lei, non perché è piombata in una sacca virale
della mia solitudine, riempiendola. Oppure perché mi ha tirato per i capelli
mentre intraprendevo l’ennesima corsa all’autodistruzione. Non sarei stato a
mio agio con nessun’altra e non ci sarei stato con nessun’altra. Lei mi ha
fatto sentire ancora sano, forse sarebbe meglio dire non completamente guasto.
Lei non si è dedicata all’analisi forensica dei miei malfunzionamenti, ma sta
bene con i miei funzionamenti regolari e anche con alcuni irregolari. Quindi
questo è. Senza trascinarmi od arrampicarmi chissà dove. Sto tanto bene con
lei. Mi rende felice stare con lei. Mi rende sereno. E non voglio aggiungere
null’altro, perché (e qui ci sta eccome) non me ne frega un cazzo di aggiungere
proprietà alla situazione.
E poi non mi chiede mai “A cosa
stai pensando?”.
***
Il pompino è sopravvalutato, secondo me. La Chiara concorda, ridendo,
facendo scivolare le dita sullo scroto, poi più giù, perineo, ano e poi su,
riprendendo la lisciatura dell’asta. Poi obietta solo su un dettaglio. Mi dice
che sì, che la sega è di minore isolamento perché, come in questo caso,
consente dialoghi intimi e dona piacere. Ma mi confessa che, spesso, sarebbe istintivamente
propensa ad una soluzione mista: con la mano sino in fondo, ma al momento della
venuta, con la bocca. Chiedo se la condivisione ex post del fiotto con il
produttore del fiotto medesimo è cosa che rientra nella sua istintiva
propensione.
Lampeggia con gli occhi, sorride, mi dice “certo, è molto eccitante” e mi bacia.
Che ragazza d’oro, la Chiara. Oh sì.
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