Erano le venti e trentasette.
Seduta sul divano, col dito indice a far da calzascarpe per quelle
ballerine elastiche. C’aveva scritto Abercrombie Est 1892 sulla T-shirt blu.
“Senti Tazio, volevo chiedevti un
favove: è un pvoblema pev te se nel weekend vengo qui a lavovave?” mi
chiede.
No. Non è un problema. Cioè sì, lo sarebbe. Ma non lo è. Ok. Fatti dare
il doppione dalla Betta, domani.
Sono ancora imbambolato, devo dire la verità.
Erano le venti e stavo chiudendo, ma poi ho visto la luce e sono andato
di là.
“Cosa fai ancora qui?” le
chiedo.
“Viovdino i pvovini, pevchè c’è
qualcosa che non mi convince” mi risponde.
Perché è così, lo so bene. Si prende una tramvata dalla persona con cui
si è assieme da tanto, che mai ci si sarebbe aspettati una tramvata da lui/lei e,
a quel punto, per sopravvivere bisogna riempire gli spazi lasciati dalla
dipartita della carogna estinta. E, generalmente, ci si infila a tutto vapore
nel lavoro. E così la Giogia, che metabolizza questa vedovanza da circa un
mese. Non che me l’abbia detto, intendiamoci. Lo so perché tutti, prima o poi,
vanno a confidarsi dalla Betta. La quale, quando occorre, mi fornisce le
istruzioni per l’uso di atteggiamenti che appaiono, a volte, bizzarri ed
inusuali.
“Queste secondo me sono le
migliovi” mi dice con un sorriso algido scorrendole su Bridge.
Sarei in ritardo, dovrei farmi la doccia, ma mi rompe mortalmente il
cazzo mollarla frettolosamente qui rimarcando che non ha una vita e che è sola
ovunque, vita e lavoro. E così ci sto, guardo i provini e poi chiedo di quell’altro
lavoro e lei mi dice che ha fatto degli sviluppi e andiamo di là.
E’ brava, cazzo. Veramente brava. Ha fatto delle cose veramente fighe.
“Quella macchina è mostvuosa, una
figata da pauva” mi dice osservando i bianchi e neri sul tavolo.
E mi dice le sue perplessità, la ascolto, poi un piccolo mignolo sfiora
il mio grande indice, il mio naso odora il profumo di donna a fine giornata,
così materno e avvolgente, la mia mano viene guidata con decisione sullo
scultoreo fianco nudo, occhi azzurrissimi si fondono nei miei e poi tutto
subisce un’accelerazione centrifuga di mille G, mi trovo con la maglia
sollevata e una bocca mi succhia forte un capezzolo mentre mani femminili senza
nessun segno di cura estetica mi sbottonano i pantaloni e le mie mani fanno lo
stesso in una moviola isterica e i jeans scendono assieme alle mutande, le
ballerine cadono, il suo sedere sale sul tavolo, le gambe si spalancano, la mia
bocca aderisce a quella fica triangolare, appena pelosa e chiarissima, succhio
le pronunciatissime labbra carnose, annuso il profumo acidulo, assaggio il sapore
pungente, mi sciolgo nella tenerezza esaltante, Abercrombie sale scoprendo due
candidi piccoli coni perfetti, appuntiti di lunghi capezzoli durissimi, chiari,
quasi invisibili su quel candore, poi lei mi fagocita, mi spoglia scomposta, mi
inchioda sul divano in mezzo a book e materiale, mi succhia vorace, mi cavalca,
si inarca, sbatte, veloce, la tocco, la palpo, mi lecca, mi morde, la schieno,
la chiavo, troppo tardi per premere stop, le sollevo le gambe, la fotto, le
lecco gli archi plantari, arriccia le dita, si schermisce, non vuole, sbatto
forte, ansima, si masturba il clitoride mentre affondo a maglio serrato, vinco
la guardia, la colgo distratta che ansima forsennata e pianto il naso tra le
dita patrizie e distinte ed annuso l’umanità confortante dell’algida Giogia, a
cui puzzano intensamente i piedi e mi inebrio del sudore della donna uguale anche se diversa
e poi, quando comincia a piangere e a ringhiare
sobbalzando col capo riverso all’indietro, tormentandosi velocissima il
cazzetto rosato, sguscio fuori e le inondo lo scudo di addominali sensuali, col
capo chino in avanti, quasi a non voler incrociare i suoi occhi, stralunato da
tanta furia improvvisa, estasiato dalla statua bianca perfetta, ammaliato dall'avvertire che sotto la pelle sottile scorre sangue bollente, sangue umano.
Imbarazzo, nudità, ambiente sbagliato. Tieni, ti passo i Kleenex che
avevo nei jeans, niente grazie, pulizia rapidissima, resto muto davanti a quel
corpo nudo che è arte neoclassica, recupera i pezzi, mutande, jeans, faccio lo
stesso, presto, vestirsi e dimenticare, vestirsi e dimenticare, vestirsi e
dimenticare, vestirsi e dimenticare, non è successo nulla, nulla, nulla.
“Siamo adulti, vevo Tazio? Posso
contavci che lo siamo?” mi dice armeggiando frettolosa con il recupero
delle ballerine, seduta sullo stesso divano di prima.
“Siamo adulti, puoi contarci Giorgia.
Non ti preoccupare.” rispondo, ma non sortisco alcun seguito, troppo presa
a gestire i marasmi emotivi e i pensieri pesanti che si affollano sotto quel
caschetto di ricci biondissimi. Forse presa anche a gestire un pentimento
analogo al mio?
Venti e trentasette.
Seduta sul divano, col dito indice a far da calzascarpe per quelle
ballerine elastiche. C’ha scritto Abercrombie Est 1892 sulla T-shirt blu.
“Senti Tazio, volevo chiedevti un
favove: è un pvoblema pev te se nel weekend vengo qui a lavovave?” mi
chiede.
“Sì, ok. Fatti dare il doppione
dalla Betty, domani”
“Gvazie” e lascia la stanza,
tornando nella sua, frugando a testa bassa tra borse e giubbotto.
“Tirati dietro la porta e spegni
le luci quando vai” le dico, senza spiegazioni, senza aggiunte né chiose.
Di schiena alza una mano, a metà tra un saluto e un “va bene”.
Scendo in strada, felice di essere fuori di là. Disagio insopportabile.
Ma siamo adulti e possiamo contarci.
Solo gli adulti sanno seppellire bellezze sfolgoranti ed intense
emozioni dietro ad un orrendo “Non è
successo niente”.
Che schifo.
Anche se il mio commento non aggiungerà gran senso al tuo post scrivo lo stesso, rimango sempre sorpresa quando racconti di questi episodi che all'improvviso squarciano prepotentemente una normalità costituita di rapporti formali.
RispondiElimina(o son io che ricordo male e forse è la prima volta che ti succede così, ma non mi pare)
Così è la prima, se posso concretizzare il senso di colpa e disagio che provo.
RispondiEliminaNel mio commento non volevo puntare il dito, spero si sia capito.(giusto mi sorprende tutto quello che ti capita o per meglio dire mi è molto lontano e allora ne sono incuriosita)
RispondiEliminaIl senso di disagio è comprensibile, quello di colpa meno.
Ciò che mi è "capitato" capita miliardi di volte al giorno, ogni giorno. Non credo vi sia nessuna straordinarietà nell'oggettività dell'episodio. Non credo vi sia nessuna straordinarietà nemmeno nelle sensazioni provate e derivate da quell'episodio. Ciò che, invece, trovo straordinario è esserne uscito con malessere.
RispondiEliminaIl senso di colpa è nei confronti del "non me ne frega un cazzo" che ho eletto a robusta ed inossidabile filosofia di vita. L'ho intaccata, dimostrandomi che così inossidabile non è. Colpa mia, potevo stare fermo.
Il disagio lo provo per essermi inzaccherato dell'orrore dell'infelicità altrui.
Sentendomi ora come un elefante in un negozio di cristalli, ammetto di non saperti dire molto.
RispondiEliminaSolo che sto pensando da tre ore a cosa risponderti, perchè hai scritto cose che mi colpiscono, ma non riesco proprio. E perdona le banalità.