Fresche le frasche che stormiscono e friniscono estive di cicale puttane e incoscienti nell’ora del tramonto fatto di odori verdi e zanzare, in quell’ansa solitaria dove sorge la Margheritiana Magione che non frequento da un bel po’, ma vè chi c’è!, ma potevi avvisarmi che arrivavi!, ed incede sensuale in ciabatte infradito bluette, ordinarie, attraversando il giardino ubertoso, avrei messo qualcosa nel frigo!, non preoccuparti mia Dama, ecco tre bottiglie di champagne della marca che ami, Barnaut, gelate, oh amore mio grazia! come sei bella, bugiardo, vieni che ti bacio, dio che lingua Margherita segreta, sei senza reggiseno che quel prendisolino con le bretelline ti scopre tanto la schiena abbronzata, sei stata in ferie Mia Signora? un mese a Cervia a tenere il piccolino, ma guarda che pelle che hai fatto e ride di denti bianchissimi e perfetti, stringendo gli occhi, gli occhiali piantati nella chioma argentata, bellissima, il Barnaut è giunto alla base, nel frigone imperiale, ma fatti palpare, sì palpami che sei un maiale, è ben quello che ti piace, non solo e lo sai, sei così bello da svenire Tazino, baciami ancora e scivoliamo contro il frigo con le carni che si scoprono, mutandine di cotone con le cappe sui bordi, che sapore di pelle che ha sudato, meraviglia sublime.
La luce del giorno si arrossa, calmandosi e giacciamo nudi sul letto imponente, di noce e di radica, il suo odore antico di corpo umano femminile sulle lenzuola bianche stropicciate, annuso, dormi nuda mia Dea? sì, mio fido scudiero, e la mano mi strozza i coglioni e graffia di sotto e poi sale con l’unghia fino al buchino del piscio, sorridente, maligna, sei il demonio mia Padrona, sì, sono il maligno che ti fa godere, lasciami giocare, gioca mia maligna, infilami il mignolo nel buchino che so che è cosa che ti piacerebbe farmi da tempo e sento il bruciore, il dolore dell’unghia che scava nel forellino che si dilata e tremo pensando che stavolta lo farà e si fa seria, ammorbata, intenta, decisa e sento la carne del cazzo allargarsi e mi rilasso, promettendole lo stesso trattamento al suo buchino e una voce soffiata e incupita mi sussurra un erotico “accomodati” e comincio a godere di dolore lento e la vista di quella falange ossuta che si infila nell’uretra mi eccita, cerco la sua lingua, salivosa, grossa, calda, bovina e saporita di gusti, la pelle sottile, i suoi movimenti sinuosi, senti dolore?, sì, e ti piace?, da te sì, un soffio aspirato tra i denti la fa somigliare ad una pericolosa vipera e mi piace e la schieno di botto e la vedo sorridere, stavolta ti inculo Margherita Regina, fallo, girandosi di pancia ad offrirmi terga morbide ed arricciate di pelle e tatuate di pallore che celano nel mezzo un carnoso bocciolo estroflesso che mi affretto a colmare di tutta la saliva che posso, spalmandola all’intorno, spingendola al di dentro con un dito, poi due e la mia Regina ansima col capo argentato nascosto tra le braccia incrociate e io premo, il calore, la carne che cede remissiva, un mugolio tra il dolore e il piacere, il retto vellutato e umido, scivolo dentro tutto e la copro, baciandole il collo sudato e mi muovo come un serpente nella tana, a mio agio, sicuro, insolente.
Che intimità nel tuo culo Maggie e sorridi, ma lo sai che mi faccio le seghe pensando alla mia mamma?, un bagliore, un risveglio, un sommesso invito a dirle di più e io snocciolo precisi dettagli, mentre il suo culo da statico comincia ad animarsi e i suoi scomposti grugniti sensuali si addensano, sei la Bestia Tazino, ma lo avresti fatto davvero se lei t’avesse lasciato fare?, credo proprio di sì Maggie e il suo culo contrasta morbidamente i miei affondi signorili, continua Tazino, voglio sapere tutto quello che ti eccita e io continuo, sbrodolo, sbavo nelle sue orecchie le mie voglie, parlandole di cazzi nel culo e di maschietti muscolosi, di un sogno pomeridiano di chiesa estiva, con una Dama che apprezzi il piacere di profanare il sacro, prestandosi a giochi erotici sui banchi in fondo, nel confessionale vuoto e la vedo farsi seria e stringere i denti respirando affannosa e conosco quel modo, la sento stringere esausta quel buco antico e continuando nelle visioni maniache la sento venire tremante, sozza, eccitata di lurido, mentre mi esorta a continuare, occhi chiusi, bocca piangente ed io allora sbatto, nel culo, senza pietà, parlandole di giovani femmine o giovani maschi legati ad un tavolaccio in fondo ad una segreta, per il nostro piacere oscuro perpetrato sino a sentirli bestemmiare di doloroso piacere laido contro natura ed estremo e un sussulto grugnito mi chiede se mi eccita il turpiloquio e io confermo, sollevandola per poterle pizzicare i capezzoli grossi ed estrusi sortendo un gemito nuovo che mi spinge a bestemmiarle sussurrato in un orecchio, insultandola, sentendola aprire le gambe per prenderlo nel culo di più, oscillando come un delicato pendolo che accentua il piacere anale, sei un pervertito, un malato, un depravato, sì, sono tutto questo e anche di più, sono la Bestia che sogni tra le tue sozze dita mentre ti masturbi nell’orto, che il piegarti ti allarga il buco della fica e vorresti essere piena di cazzo ignorante, suino, popolano, ma ancor più articolatamente deviato, amante di piaceri oscuri, neri, notturni e bui e lei sussulta come in preda ad una crisi epilettica e con un tono di voce molto alto mi dice una serie di “sì” assertivi e premianti, ai quali io rispondo strapazzandole l’intestino senza cura attenta verso la sua sacra senilità, ma volta solo alla sua dirompente ed inimmaginabile sessualità complessa, complessa forse al pari della mia e la giro di schiena, deponendola con grazia e devozione sulla pelle madida, ammirando i bagliori che il sudore ha disegnato sul ventre magrissimo e sui piccoli seni irti di cazzetti di carne rugosa e le spalanco le gambe portandole sulle mie spalle, chiedendole in che buco voglia il grancazzo, ricevendo soffiato un “fica” con la “c” a suggello di una liturgia condivisa, della presenza sulla stessa pagina dello stesso libro, a conferma della voglia di incamminarsi e raggiungermi per vedere dove si andrà.
Ed io fotto, profondo, stalliere maniaco, annusandole le ascelle amare e piccanti di speziato sudore terreno e irrisolto e poi i piedi, aromatici di incenso e formaggio tenero e grasso e godo e mi lascia fare, godendone, seria, presa, compresa, rapita, sopraffatta da una sorpresa che l’ha stupita del non poterla controllare e che, tantomeno, potesse sortire quell’effetto di frusta sui suoi gangli nervosi addormentati da tempo, ma sempre vivi, coscienti, seppur sopiti e mentre sbatto la Minchia Maestra nel buco rilassato di carne frolla, mi chiede in un soffio, a occhi chiusi, quasi timida, se la Bestia necessiti che lei sia la mia mamma e io rispondo di sì, aggiungendo anche che la Bestia richiede che lei sia la sacerdotessa del male, nuda sotto un saio nero mentre si celebra l’oscura condivisione rituale di un giovane corpo nudo, ma anche insospettabile madama nel luogo sacro ai cattolici, a condividere sozzure laddove si imporrebbe devozione e meditazione e mi segue, a bocca aperta, godendo intensa del mio lento affondo e delle mie scellerate proposte.
“Vienimi dentro, subito, adesso” mi intona con drammatica intensità ed io la apostrofo, puttana!, chiedimelo come devi, troia!, voglio sentirti blasfema e volgare e un mite ed incerto “Sborra… sborrami dentro…” giungendo le mani dietro al mio collo, tesa, alienata di piacere nello sguardo, alienazione portata al picco con un mio “vorrei ingravidarti, femmina troia” – “il figlio della Bestia…sborra cazzo, sborrami tutta, scopami…” – “puoi essere di più, insisti…” – “riempimi di sborra l’utero, cazzo, dai, sto venendo, porcamadonna dai…” ed io, estasiato dal mio potere plagiante, dalle mie doti affabulatorie, vengo calcando la mano sui grugniti e le blasfemie che ci portano ad orgasmi vicini, seppur non perfettamente coincidenti.
***
La notte avvolge. E’ la notte di un’estate in calare, seppur ancora piena di suoni di insetti e creature e vita.
Avvolge i nostri corpi avvolti a loro volta di reciproca pelle e di pensieri travolgenti, confusi, esaltanti, in un abbraccio stretto, amorevole, delizioso, odoroso, terrestre, umano.
Sorseggiamo a collo lo champagne di classe che mal concilia con le liquamate versate poco prima.
Cerco la sacca e rollo una canna, senza alcuna levata di scudi.
Mentre lavoro, seduto sul letto, una Dama nuda mi abbraccia da dietro, posando la guancia sulla mia schiena, allungando le braccia sottili sotto alle mie per cercarmi i capezzoli.
Accendo, tiro, trattengo, gliela passo, la assisto, la istruisco appena.
Tira, trattiene, soffia, me la ripassa. E il rito si ripete, sino allo spegnimento.
La Regina gode di torpore, si rilassa, si piace, leggermente ubriaca e “drogata”, come dice lei.
“Mi piaci Tazino, mi piaci tanto tanto tanto, sei come ho sempre sognato una Bestia vera.”
“Anche io ti adoro, mamma, adoro la nostra immorale intimità” e soffia tra i denti, sorridendo sporca.
Silenzio, grilli, timido vento, acqua lontana.
“Morirò, lo sai, vero amore mio? Lo sai, vero?”
No cazzo, mia Regina, non sono affatto pronto.
Non sono affatto in grado di gestire questa eventualità.
Non sono maturo, non ho armi, non ho imparato niente dalla vita, pur avendone prese di forti, pur continuando a prenderne, ma le lezioni a me non servono, sono troppo sottili ed io sono refrattario, ottuso, zotico, io so solo scappare, scappare tentando di detergere, senza lasciare traccia apparente, ma solo apparente.
Non so fare altro. E lo so fare anche molto male.
Ciò che mi consola è pensare che ogni giorno che passa è un giorno in meno verso il momento in cui troverò pace, definitiva, in un modo o nell’altro, sia che non ci sia nulla, sia che ci sia qualcosa, sia che io possa incontrare chi ancora quotidianamente mi manca, sia che non ci siano spiegazioni terrene al dopo o sia che cessi solo l’esistere.
Ed è per questo che, giorno dopo giorno, mi concedo, pigramente, deroghe comportamentali ed alibi, nonché uno stile di vita asociale, artificiale, disingranato, spostato, illusorio, zeppo di ricercata solitudine.
Perché l’inutilità della vita non conduce a null’altro che dolore nel viverla ed io non sono stato nemmeno capace di interromperla, questa farsa, ma ciò non significa che io sia disponibile a sottostare ai suoi dettami e alle sue liturgie.
“Non dirmi che stai morendo, non so gestire questa cosa.”
Un sorriso e un bacio sulla schiena, poi ancora guancia.
“Allora risvegliami il sesso oscuro, quello che ho seppellito per una vita e che oggi tu hai riesumato con un effetto stravolgente. Fammi essere la tua Sacerdotessa, mio Maligno.”
Mentre parla lenta, rollo di nuovo e fumiamo.
La notte fuori parla il suo dialetto orecchiabile e rassicurante.
La notte riposa in attesa del giorno bollente.
Lei si addormenta, avvolta dai fumi rilassanti.
La sistemo con cautela sui cuscini, la copro sino a metà col lenzuolo di sopra, faccio il giro, chiudo tutte le finestre, mi tiro dietro la porta e la lascio sicura nella sua Magione.
E torno al mio confortevole nulla.
Detergendo a fatica.