Ho una fame orba. A furia di stare qua dentro non faccio altro che
pensare al cibo (che non posso ancora, inspiegabilmente, mangiare) e da oggi al
cibo e alla figa, che pare non potrò nemmeno annusare. Che, comunque sia, è un
nobile pensare, cibo e figa, lasciamo stare.
Anche perché cibo e figa sposano in maniera eccellente.
E così mi sono perso nei ricordi estivi della gioventù spensierata,
quando uscivo con una ragazzetta di nome Michela. Avremo avuto diciotto o
diciannove anni e lei era proprio una gran maialetta. La prelevavo in piazza
alle dieci di sera, la caricavo sulla mia mitica Dyane e via, verso la campagna
ospitale. Stendevamo la coperta e lì daje, diboccadifigadiculodiboccadiculodicazzodiculodibocca
sinché non scoccava la mezzanotte santa, momento in cui doveva essere
ricoverata nella stalla per il riposo notturno, ossia riportata a casa. Che
sublime troietta, che momenti mi ha regalato, che cosette che mi ha insegnato.
Prescindendo, una volta riportata a casa la Piranha, rimanevo solo col
mio appetito giovanile,accresciuto dallo spargimento di liquido seminale in
abbondanza. Raggiungevo, così, un bettolino di un paese vicino, che teneva
aperto sino a tardi tardi. Beh, facevano il pane in casa e non potete capire
cosa fosse arrivare là, fare mille ore di coda, ma poi spararsi una pagnotta
appena fatta con dentro due etti di Bologna (mortadella per tutto il resto del mondo) e bersi mezzo di rosso
sotto la pergola di vite americana con ancora i nonnetti che picchiavano il
fante.
Ad averla avuta la capacità di capire che un uomo che si chiava in tutti
i buchi una Peperina giovane e poi conclude con un panino con la Bologna del
genere è più arrivato dell’amministratore delegato della Apple.
Ad averlo potuto capire.
Che bello, Taz. E quanto mi manchi.
RispondiEliminaB