Giriamo per il mercatino dell’Immacolata avvolti in una patina di lussuria
non dichiarata, ma che entrambi sappiamo di possedere. Il programma prevedeva
l’acquisto di un segno del Natale e,
quindi, nonostante la parentesi masturbato ria dell’argine, si procede col
programma.
Giriamo e le guardo il culo. Nell’inverno imbacuccante la cucitura dei
jeans che separa le natiche rimane l’ultimo baluardo del voyeur, l’ultimo
elemento di comparazione. Le donne scopabili si assiepano nella lista mnemonica
giusto grazie ai meriti di quella sacra cucitura.
Sostiamo, osserviamo, parliamo poco. Forse perché ognuno di noi ha la
proiezione di un film mentale in corso e non vogliamo disturbare la visione.
Davanti ad un fornitissimo banchetto, mentre aspettiamo il nostro
turno, mi avvicino da dietro e le sussurro all’orecchio che vorrei leccarle il
culo qui, ora, piegandola in avanti in mezzo a quelle decorazioni lì, facendole
scendere i jeans sotto la base delle natiche.
E lei inspira rumorosamente socchiudendo gli occhi appena.
E lo portiamo a casa, veloci.
Mentre guidi quella piccola bomba velocissima per le strade di campagna,
io tiro fuori il cazzo duro e mi sego, mormorandoti che vorrei guardarti i
piedi mentre guidi scalza e sei rossa in viso e mi prometti che adesso che lo sai
lo farai senz’altro e ti passo la mano tra le gambe e allarghi e mi dici lurida
che sei talmente bagnata che hai paura che ti schizzi fuori il Tampax e
ridiamo, perché il sesso è bello così, non drammatico, non enfatico, ma solare,
gioioso, vero.
Nei rettilinei fai correre la mano sulla mia minchia e la strozzi,
mordendoti il labbro inferiore e io ti indico con precisione topografica
millimetrica dove, in quel momento, te lo infilerei tutto di un fiato e tu,
scherzosa, dici che la strada non finisce mai e io, scherzoso, ti dico che ho
una necessità clinica di succhiare le tue mutande e tu ti imbarazzi, sorridendo
con quella bella bocca, tutta rossa in viso e corri, ma io sono tranquillo perché
guidi come una rallysta consumata e poi, con questo monolitico tronco di cazzo
duro, non ho il tempo di preoccuparmi di questioni stradali.
--
In un secondo diventiamo di pelle.
Ma ti dico di restare dove sei e continuo come se fossimo sull’argine,
guardando ogni dettaglio del tuo corpo che mi fa letteralmente impazzire, dalle
dita dei piedi alla base delle orecchie. Smanetto esibizionista e tu guardi,
mostrandoti nuda, imbarazzata ed eccitata, poi la corrente ti spinge e passi
gli argini e fletti leggermente le ginocchia, scostando leggermente le gambe,
facendo scivolare la mano sulla figa, massaggiandola, ondeggiando il bacino
avanti e indietro, roteandolo, facendo in faccia a me ciò che io faccio in
faccia a te e ti sussurro “… sei una porca …” e sorridi sozza con gli occhietti
socchiusi, fiera del tuo coraggio, orgogliosa degli effetti che sortisci e
questo è il sublime che cola tra le mura di questo inferno di morte e di merda.
E’ Natale e qui, oltre a questo tronco, c’è anche l’Albero, pronto ad
essere scartato, ma io prima voglio succhiarti tutta e sentire che sapore ha
una brava ragazza timida che si scopre attratta dalle liturgie del Porco Incallito. E tutto comincia a scorrere
caldo come deve essere, caldo e saporito, caldo e odoroso, caldo e segreto e
più mi piaci e più scopro che mi piacerai ancora di più e vorrei premere un
bottone e fermare tutto ad adesso, qui, con te, così.
Bello.
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