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venerdì 9 dicembre 2011

Alberi


Giriamo per il mercatino dell’Immacolata avvolti in una patina di lussuria non dichiarata, ma che entrambi sappiamo di possedere. Il programma prevedeva l’acquisto di un segno del Natale e, quindi, nonostante la parentesi masturbato ria dell’argine, si procede col programma.
Giriamo e le guardo il culo. Nell’inverno imbacuccante la cucitura dei jeans che separa le natiche rimane l’ultimo baluardo del voyeur, l’ultimo elemento di comparazione. Le donne scopabili si assiepano nella lista mnemonica giusto grazie ai meriti di quella sacra cucitura.

Sostiamo, osserviamo, parliamo poco. Forse perché ognuno di noi ha la proiezione di un film mentale in corso e non vogliamo disturbare la visione.
Davanti ad un fornitissimo banchetto, mentre aspettiamo il nostro turno, mi avvicino da dietro e le sussurro all’orecchio che vorrei leccarle il culo qui, ora, piegandola in avanti in mezzo a quelle decorazioni lì, facendole scendere i jeans sotto la base delle natiche.
E lei inspira rumorosamente socchiudendo gli occhi appena.

Comperiamo un alberello grassottello. Già decorato con fiocchi e ninnoli dal sapore tirolese.
E lo portiamo a casa, veloci.
Mentre guidi quella piccola bomba velocissima per le strade di campagna, io tiro fuori il cazzo duro e mi sego, mormorandoti che vorrei guardarti i piedi mentre guidi scalza e sei rossa in viso e mi prometti che adesso che lo sai lo farai senz’altro e ti passo la mano tra le gambe e allarghi e mi dici lurida che sei talmente bagnata che hai paura che ti schizzi fuori il Tampax e ridiamo, perché il sesso è bello così, non drammatico, non enfatico, ma solare, gioioso, vero.

Nei rettilinei fai correre la mano sulla mia minchia e la strozzi, mordendoti il labbro inferiore e io ti indico con precisione topografica millimetrica dove, in quel momento, te lo infilerei tutto di un fiato e tu, scherzosa, dici che la strada non finisce mai e io, scherzoso, ti dico che ho una necessità clinica di succhiare le tue mutande e tu ti imbarazzi, sorridendo con quella bella bocca, tutta rossa in viso e corri, ma io sono tranquillo perché guidi come una rallysta consumata e poi, con questo monolitico tronco di cazzo duro, non ho il tempo di preoccuparmi di questioni stradali.

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In un secondo diventiamo di pelle.
Ma ti dico di restare dove sei e continuo come se fossimo sull’argine, guardando ogni dettaglio del tuo corpo che mi fa letteralmente impazzire, dalle dita dei piedi alla base delle orecchie. Smanetto esibizionista e tu guardi, mostrandoti nuda, imbarazzata ed eccitata, poi la corrente ti spinge e passi gli argini e fletti leggermente le ginocchia, scostando leggermente le gambe, facendo scivolare la mano sulla figa, massaggiandola, ondeggiando il bacino avanti e indietro, roteandolo, facendo in faccia a me ciò che io faccio in faccia a te e ti sussurro “… sei una porca …” e sorridi sozza con gli occhietti socchiusi, fiera del tuo coraggio, orgogliosa degli effetti che sortisci e questo è il sublime che cola tra le mura di questo inferno di morte e di merda.

E’ Natale e qui, oltre a questo tronco, c’è anche l’Albero, pronto ad essere scartato, ma io prima voglio succhiarti tutta e sentire che sapore ha una brava ragazza timida che si scopre attratta dalle liturgie del  Porco Incallito. E tutto comincia a scorrere caldo come deve essere, caldo e saporito, caldo e odoroso, caldo e segreto e più mi piaci e più scopro che mi piacerai ancora di più e vorrei premere un bottone e fermare tutto ad adesso, qui, con te, così.
Bello.

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