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domenica 15 aprile 2012

Imene


Diciotto meno dieci e la macchinina lascia il vialetto.
Fisso la finestra, fisso la pioggia. Dovrei andarmene. Non ho più niente da fare, qui. Ma mi sento strano e sto qui a pensare.

Stesa su un fianco, nuda sul pavimento. Mi stendo di fianco a lei.
“Sai cosa vorrei veramente ora?”
“No” rispondo sistemandole i capelli, spostandoli da quel viso i cui occhi guardano fuori dalla stessa finestra attraverso la quale guardo io, ora, mentre scrivo.

“Vorrei essere vergine e vorrei tu mi lacerassi l’imene con forza, facendomi sanguinare e provare dolore. Il dolore può essere la più infinita delle gioie e io diventerei folle di felicità se tu me ne facessi provare a quel modo.”
E mi guarda, mentre mi sento ricoprire di brividi. Mi guarda con una luce nuova negli occhi.

La bacio, aderendo al suo corpo nudo.
Mi abbraccia.
Forte.
Fortissimo.
La stringo, fortissimo.

Il lungo discorso che avrebbe dovuto seguire perde il posto a favore dei respiri assordanti.
Piove.
E si è fatta quell’ora.
Si riveste e la guardo, cercando di immagazzinarla in modo da avere riserva sino alla prossima volta.

Sistema il trolley nel bagagliaio, piove.
Sono scalzo, con addosso l’accappatoio corallo, sotto l’acqua.
Mi piace.
Sorride e mi dice che sembro Jack Nicholson nelle Streghe di Eastwick. Rido e dico che è vero.
Poi mi bacia e sale in auto.
Le soffio un bacio.
E scompare.

Non so cosa dire.
E sono proprio contento di non avere parole.

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