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venerdì 15 maggio 2015

Il pranzo della merda

Che bel pranzo.
Un essere dalla testa rasata, grosso come due esseri dalla testa rasata, ingolla una minestra in brodo rovente senza nemmeno alzare gli occhi dal piatto. Un ex guascone ex simpatico e ex cazzaro dall’ex cuore buono, trasformatosi oggi in un odioso roditore bullo e cafone dal cuore di merda, pontifica in una lingua extraterrestre attorno a questioni di quattrini che (ma pensa un po’) sono anche (soprattutto aggiungerei a ragion veduta) i miei quattrini. Con una pseudo padronanza imprenditoriale, resa agghiacciante dalla oceanica ignoranza da ritardato al midollo, prospetta con sicumera grottesca scenari “astuti” che sono, a dir poco, di una assurdità apocalittica ed aggiunge, come non bastasse, dei “dranguill Taz dà ret al Costa” che mi mettono freddo alla schiena.
Siede di traverso, non mangia, martoria uno stuzzicadenti a bocca aperta guardandomi da faina drogata (secondo me ha pippato una riga di troppo) in attesa di un mio esteso consenso.

“Non lo so, ho bisogno di pensare” riesco a dire solamente.

Ma questo viene interpretato come un’esortazione a procedere nel convincimento e la dissennata litania si propaga ancora, mentre l’essere doppio mangia qualsiasi cosa, occhi fissi nel piatto, zero parole, atteggiandosi da duro ritardato (la parte uno gli richiede più impegno della due) che accompagna il “capo” a far visita allo “stronzo che crea casini”, come se io quella testa di cazzo rancida del Vosco non lo conoscessi bene.

“Supponiamo che io non ci stia” – azzardo a secco mentre il Chiar.mo Prof. Costa era all’apice dell’orgasmo dell’astuzia economico-finanziaria.
 “Come non gi shtai?” – chiede l’amadriade minchiocefala.  “Non ci sto vuole dire questo: non mi interessa lo sviluppo che prospetti, non intralcio di sicuro, ma voglio indietro la mia parte corretta opportunamente di alcuni fattori di cui si parlerà al momento opportuno. Ecco cosa vuole dire che io non ci sto.”

Panorama reattivo vasto: dalla pacca sulla spalla con sorrisone amicale, alla risata isterica, alla serietà improvvisa, all’incazzatura mal celata (momento in cui testa pelata alza gli occhi dalla quinta mela che mangiava per fissarmi afasico) alla minaccia neanche tanto velata, al rinfaccio, alla repentina alzata in piedi con lancio di luride banconote stropicciate sul tavolo (bastava pagasse il conto, mica occorreva facesse una OPA su BNP Paribas) e abbandono dell’allegro consesso con frasi da film:  “Bellomio te lo gonziglio da amigo di pensare acciò che avvuoi fare, fitati. Ci ai una zettiman che io me ne scendo quacchecionn ciù e quant tonn ci vediamo LAH’ a PRACA e non QUAH, che è LAH’ A PRAC che è il lavorare e  i solt che calcola che li facc io anche pettè, ricottatelo. Ci vediamo allo sposalizio dommani stammibbene.”
Molto Quentin Tarantino de noantri devo dire.
Poi parte con la Yukon guidata da due uomini con la testa rasata al posto di guida.

E lo sapevo io che era troppo bello, qui, perché potesse durare. Troppo.
Vabbè, calma. Che piove ed è un attimo scivolare.

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