Ho messo su l’acqua per le patate. E’ il primo passo per il gateau. Eh.
Mia mamma faceva un gateau da segno della croce. E io ci provo.
Mi piace spignattare avvolto di spugna corallo, col pisellone
scappellato che dondola di qua e di là.
Mi sento sensuale, mi sento porca.
Mi piacerebbe avere i bigodini in testa ed assumere quell’aria da
casalinga inquieta che mentre prepara il soffritto sogna di essere in un’area
di servizio, di notte, in mezzo a camionisti arrapati che le rendono
disponibili i loro grossi cazzi odorosi.
Una casalinga vogliosa, pronta a sollevare il lembo dell’accappatoio
donando le terga sudate al marito arrapato che le chiava il buco del culo slabbrato alla pecora, sulla
tavola della cucina, indossando la canotta, i calzini corti azzurri e le ciabatte di plastica marroni incrociate.
Una casalinga senza reggiseno che fa dondolare le sue mammelle
sfiorite dai grossi capezzoli per destare le luride attenzioni dell’anziano vicino di casa
da cui si fa palpare nei bui corridoi dell’interrato, ascoltando goduriosa le
oscenità che costui mormora mentre affonda le mani nelle sue dozzinali mutande bianche
a pantaloncino.
Abbraccio lo stipite della porta che separa il soggiorno dall’ingressino,
appiattendomi contro il muro, passando la gamba sinistra oltre lo stipite
stesso. In quella posizione, mista tra l’uomo ragno ed un tanguero, riesco a
far aderire l’uccello duro contro il muro ruvido. Flettendomi appena sul
ginocchio destro sento la bugnatura dell’intonaco che mi graffia delicatamente
il frenulo e godo.
Godo di immagini che si assiepano casualmente nella mia mente, passate
e presenti, mixate in un film che mi eccita, dannandomi, perché non vi è un
soggetto solo e non vi è continuità.
La cappella mi brucia ed io premo di più, appiattito sul muro,
agganciato allo stipite, con l’accappatoio aperto, tenendomi con un braccio.
Brucia e godo. Penso alla Lucia Perrone, a cui devo portare il regalo, e lecco
il muro per abbattere la voglia di leccarle la figa ed il culo, penso alla
Giuliana e a come deve essere quando si fa chiavare, penso alla Domi e il
pensiero mi frusta il sistema nervoso, poi penso alla Margherita e a come deve
cantare quando viene, penso alla Betta che si sgrilletta sotto le coperte
sognando chissà quali sozzure sublimi, poi mi stacco, perché non voglio venire,
no.
Il gateau, dicevamo, riproviamo un approccio al normale.
Ma non c’è niente da fare, penso a quella morbida poltiglia bollente che esce dal forno e il pensiero, di infilarci dentro l’uccello, scottandomi, fottendo la teglia, godendo di dolore, sborrando nel cibo, mi esalta.
Poi mi guardo allo specchio e mi dico, con l’onesta franchezza di
sempre, che sono totalmente pazzo.
Le patate sono pronte.
E la sanità mentale è un’imperfezione.
non devi venire perchè devi farcire il pandoro.
RispondiElimina