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martedì 27 dicembre 2011

Gelosa. No.


Sudata e cavalcante sbatti verso il basso per prendere la Minchia fino in fondo e ti chiedo se ti è piaciuto stare nuda in piscina a pomeriggio e mi dici di sì con la testa che dondola perché sbatti forte in giù, fortissimo, poi ti provoco coi piedi della moretta coi capelli corti e lì esplodi come Napalm e mi dici che quella troia, quella troia là, mi ha guardato il cazzo mentre ero sul bordo, ma me l’ha guardato non come si guarda un cazzo che è grande ok, ma me l’ha guardato da troia, quella troia là, che le si leggeva in faccia la voglia di prenderlo dappertutto il mio cazzo, a quella troia là, che tu li conosci gli sguardi da troia delle troie e quella troia, quella gran troia là, nella sua mente da troia si stava vedendo col mio cazzo in bocca, grandissima troia, che se il marito fosse meno coglione e cornuto l’avrebbe notato subito che la sua troia era in calore, perché tu lo sai che quella troia, quella gran troia là, stava andando in calore per il mio cazzo e che, certo, è facile, quando una troia sta nuda in piscina a farsi guardare la figa e a guardare che effetto fa ai cazzi, come fanno le troie e quindi come fa lei che è troia e glielo si legge in faccia anche dalla foto della carta di identità che è troia, è un attimo che quando la troia vede un bel cazzo va in calore.

E la dialettica autoalimentante provoca un accelerazione del cavalcamento e un discorrere via via sempre più rabbioso. Ti interrompo giusto per dirti che, in ogni caso, era un gran bel figone e c’aveva anche dei gran bei piedi. E tu sbatti e dici che posso averli quando voglio sia i piedi che l’intero figone perché la troia è in calore e basta un cenno che sta già a gambe aperte, ma Domi! Mio Dio! Non t’avevo mai sentita così e mi dici che non te ne frega un cazzo, ma quella è troia e quando una è troia si dice troia, non santa e la cosa mi diverte da morire perché mi chiavi la Nerchia Sumera a una velocità che mi fai godere come un Gramporco.
Incalzo, ti stimolo, ti pongo la scena dei suoi piedini che fanno la sega al cazzone e mi guardi coi denti serrati e gli occhi piccini e ti chiedo se ti piacerebbe e tu scoppi come Jack Nicholson in Codice D’onore, ringhiando che “certo che mi piacerebbe cazzo!, mi piacerebbe da venire senza toccarmi cazzo!, maledetta troia, troia, troia, troia” e non mollo e ti dico che secondo me gliela leccheresti a quella troia là e lì hai un sussulto e mi prendi per i capelli, punti la fronte sulla mia e ringhi “sto paio di coglioni, ME la farei leccare, ma io la figa a una troia non la lecco di sicuro CAZZO!, è lei che VOGLIO che mi lecchi la figa ed il culo” che è un concetto semplice e chiaro, che forse non richiedeva tanta veemenza, ma accetto e rincaro dicendo “lei te la lecca e io le vengo tra i piedi”, ma quest’icona genera un effetto caos, perché mentre un Tazio viene nella fantasia, una Domi comincia a venire nella realtà, sbattendo come un frullino della Kenwood.

E ciò pone a riposo l’enfasi assassina.

“Domi, ma non ti facevo così gelosa”
“Non è quello”
“E insomma….”
“No. Divento gelosa se sei tu che, di nascosto, guardi una donna. Guarda, se mi dicessi ‘Guarda che figa le farei questo e quello’ coinvolgendomi nell’alookata, non sarei nemmeno quello. Credimi.”
“Vabbeh, ma minchia, le hai detto ‘troia’ seimila volte…”
“Perché quella troia, pur vedendo che la vedevo benissimo, se ne è fregata e ti ha straguardato il pisello. Io odio queste schifose. Mi stanno sul cazzo perché sono troie, troie, troie, troie e troie”
“Basta Domi che sembri Sgarbi”
“No, per l’amor di Dio, Sgarbi no”
“Bene”
“Troia”

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