Mormori con la faccia premuta sul cuscino, capelli rossi spettinati e
sparsi. Indossi la maglietta con le maniche lunghe viola e basta. Hai le
natiche lucide e io sono dentro di te, dietro, che mi muovo appena. Dentro fino
in fondo. E tu mormori. Con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta. Tra i
capelli.
Mormori lenta che ti piace ogni volta di più, di dietro. E io mi muovo lentissimo
e tu mormori “ooo…ddddd….ioooo….mmmmioooo”
stringendo con le mani eleganti il cuscino. Ti bacio la guancia,
sussurrandoti che te lo allargherò come quello delle puttane e mi dici “sì” con un sorriso molle e debosciato.
E mi muovo, arretro appena e tu apri la bocca fiatando una “a” silenziosa che
si disperde nel nulla. Spingo piano e torno dentro e sibili “ooo… dddddio…”. Sei calda bollente
dentro e fuori e non pulsi e stringi più.
Ti sussurro appena, dicendoti che vorrei avere due cazzi per riempirti
sia il culo che la figa e mentre lo dico scivolo lentamente all’indietro e tu
alzi la testa dal cuscino mugolando una “a” più decisa che si disperde e resti
a bocca aperta ed occhi semichiusi dai quali non si riesce quasi a vedere l’iride
verde.
Premo e rientro mentre mordi la federa e ti chiedo se lo vorresti un
cazzo nella figa adesso e mi dici di sì e quella “i” diventa quasi un pianto.
Le medesime cose assumono significati e sapori diversissimi.
Sodomizzarti lentamente, delicatamente, preoccupandomi di darti ogni brivido
che mi rendo conto di poterti dare è mostruosamente più sensuale ed erotico di
quel ficcare ossessivo dentro a quei culi slabbrati di quelle troie insensibili
e fameliche.
Il tuo ano trema, dilatato, delicato, diventa recettore e generatore di
mille microscopiche sensazioni e scosse e mi dici che senti i brividi sino alla
nuca quando spingo in fondo e li senti correre sino ai capezzoli quando scivolo
fuori.
Scivolo. Piano. Pianissimo. Guardo il mio cazzo lucido che esce, mentre
tu miagoli ad occhi semichiusi.
Non voglio vedere quanto largo ti rimane il buco se esco, no. Voglio
scivolare fuori sino alla cappella, poi versare sull’asta altro lubrificante e
rientrare. Scivolo dentro e ti inarchi. Si vedono le scapole dalla maglietta
viola sottile. I capelli sparsi. Non offri più alcuna resistenza e lo sento.
Dentro. Pausa. Scivolo indietro, poi dentro, poi indietro, poi dentro.
Sollevi il culo, spingi all’indietro per metterti sulle ginocchia e io
arretro, lasciandoti muovere, rimanendoti dentro e quando arrivi ad avere il
culo all’insù e la faccia schiacciata sul cuscino, godo del cuore trafitto nel
centro, spingendo il mio dardo nella carne scura dell’ano e mentre io spingo tu
spingi all’indietro, mugolando tremante dei “sì” disperati e io spingo e tu
spingi, più forte, più rapidi e sei senza resistenza, sfibrata, molle, aperta.
Poi scivolo fuori e ti stendo sul fianco e te lo rimetto veloce, senza fatica,
entrando nel burro sciolto del tuo muscolo esausto e ricominci a godere,
spettinata, la bocca aperta, la testa reclinata sulla mia spalla, gli occhi
chiusi, inarcata, lasciando che sia io a trafiggerti profondamente, cingendo il
tuo corpo stupendo con un braccio sul quale stringi la mano, mentre affondo
veloce e mi mugoli incerta che sono bravissimo e ti faccio godere e d’un tratto
ti animi, mi istighi, mi pianti le unghie e vuoi che ti venga dentro e ti
ecciti e divieni agitata e mi chiedi sempre più forte di venirti dentro e io
comincio a venire e lasci cadere la testa con un sorriso ed un grugnito e
spingi quando spingo e poi scivolo fuori e corro con l’asciugamano a pulire
quelle tracce che, con altre, erano goduriosa fonte di umiliazione e, pertanto,
andavano osservate ed evidenziate.
Pulisco, ti pulisco, mi pulisco, getto l’asciugamano e cado di schiena,
ti giri, mi baci e con la mano ti tocchi tra le natiche e io so il perché, so
che è perché ti sembra che non si chiuda più ed allora mi alzo di scatto e te
le allargo e allargando il tuo buco sente il riflesso e si riapre, gonfio,
ovale, come la bocca della maschera greca della tragedia e quelle pliche che di
solito sono sottili ora sono grosse, rosse, lucide, gonfie.
Te lo bacio e sussulti ridendo, poi mi stendo e mi dici serissima e
drammaticamente emozionata che ti piace da morire prenderlo lì e che mai e poi
mai avevi goduto e pensato che facesse godere a quel modo e poi crolli sfinita.
C’è il tuo odore nella stanza. L’odore delle tue feci mollicce che il
mio stantuffare ha mosso. Io lo adoro, tu non te ne curi ed è quello il punto
di incontro tra l’osceno e il sublime. L’intimità che cancella i confini, l’intimità
che non solo si fa accettazione dei tabù ancestrali, ma diventa ricerca degli
stessi come fonte di piacere perché, a quel modo, diviene speciale ed unica
intimità.
Sono pazzo di te.
E' così che deve essere, la vera intimità.
RispondiEliminaAuguri di buon anno, tà.