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giovedì 19 gennaio 2012

Sueño

Ore 8:24.
La Bettina entra in ufficio, congelata. Ci salutiamo, si toglie il cappotto, io preparo le tazzine, tiro fuori le capsule. Due Roma, che alla Betta piace il Roma. Poi lei arriva, bellissima. Gonnona nera di lana, lunga, stivali neri, maglietta nera di lana con il collo a barchetta che si vedono le clavicole e le spalline nere del reggiseno e le enormi bocce.
Capelli chiusi in una codona vaporosa, molto Giuseppina Bonaparte, ma in versione zingarella.
Sbadiglia, le osservo la clavicola e la pelle e penso alle sue ascelle, che mi avevano sedotto quest’estate quando alzò le braccia ed indossava il top turchese senza bretelline.

Primo Roma pronto. Sotto col secondo, molto lungo, per me. Momenti impagabili, di un’intimità densa. La Betta fresca e profumata, ancora zuppa di sonno, stupenda. Ed è lì che mi scatta la molla.

“Ti ho sognata stanotte, Betta”
“Ah sì?”
Mi guarda col sorriso malizioso, ben conscia del tipo di sogno, ma ignara di cosa sarebbe successo di lì a un secondo.

“Sì. Eravamo in una specie di museo, con grandi corridoi e enormi tele alle pareti, tele che non conoscevo e mi parevano delle emerite croste, ma l’aria era sacrale come se fossimo  al Louvre. Era primavera e dalle finestre aperte si vedeva un verdissimo giardino fitto fitto fitto di vegetazione che quasi i raggi del sole non passavano e tu avevi addosso uno spolverino bianco lungo appena sotto il ginocchio, eri senza calze e ai piedi avevi due scarpe a punta nere tacco dodici. Giravamo guardando questi quadri assurdi e non c’era nessuno, ma anche non c’era nessun oggetto, nemmeno una sedia, ma nemmeno un cartellino che descrivesse le opere e tu eri bellissima vestita a quel modo e a un certo momento mi hai detto ‘Guardami’ e hai aperto lo spolverino e sotto eri tutta nuda ed eri stupenda e io ti ho chiesto se potevo toccarti e mi hai fatto cenno di sì con la testa ed eri liscissima, caldissima, morbidissima, mentre l’aria invece era freschetta e ci siamo baciati con la lingua, a lungo, poi ho sentito le tue mani sulla cintura, mi hai aperto i pantaloni e poi sei scesa, accosciata con le gambe aperte e hai cominciato a succhiarmelo e io ti accarezzavo i capelli guardando quelle tele stranissime e poi la scena è cambiata ed eravamo su un prato, sotto un salice, e facevamo l’amore ridendo ed eri calda bollente di dentro e ci baciavamo ed eri stupenda.”

La Betta mi ascolta con gli occhietti guizzanti dall’inizio alla fine, quasi in fermo immagine, immobile, cristallizzata, la testa leggermente piegata a destra, la mano sinistra sul petto a tener ferma una già ferma collana.

“Wow” sussurra lenta alla fine, rimanendo un po’ imbambolata e con la bocca semiaperta con ancora un angolo di sorriso.
“Già, proprio wow” aggiungo bevendo l’ultimo sorso di caffè. Pausa sospesa.

“Anche io ti ho sognato una volta” mi dice lentissima, guardando in fondo al corridoio.
Non dico nulla. Silenzio. Mi impongo di non chiedere. Mi trattengo.
Distoglie lo sguardo dal fondo del corridoio, mi guarda.

“Facevamo del sesso” e ride leggera.
Mi chino e le do un bacio leggero tra la base del collo e l’inizio della spalla. Non si ritrae, non fa nulla.
Mi stringe le mani e mi sussurra: “Meglio che cominciamo va là, che stanno per arrivare” e mi bacia sulla guancia. Ci separiamo, indaffarandoci velocemente.




Io, in realtà, questo sogno non l’ho fatto. O meglio, l’ho fatto, tantissimi anni fa, ma la protagonista era Colei, non la Betta. Ma è stato un sogno bellissimo.
E mi piacerebbe davvero sognarla in quel sogno, sì.
Sì.
Sueño.

1 commento:

  1. Epperò, fratello...sta roba qua del "ti ho sognato" non è da te. E' strausata da qualunque idiota, è rozza e volgarotta. Soddisfazione è vincere in punta di fioretto. Poi che il fine giustifichi i mezzi e che le femmine abbocchino regolarmente son altri discorsi.

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