Stivali di camoscio, jeans, montone grigio con collo, polsi e bordo orlati
di piume di Apteryx, capelli raccolti. Sotto il montone la maglia blu che cade
decadente e scopre la spalla, i laghi azzurri e le occhiaie, le rughe, i bagliori
e il profumo che inonda. Poi le pizze, la mancia, le parole a fiumi, i
concetti, le analisi, i timori e poi le birre e poi il vino, poi il fumo, che
tironi, vai piano, risatine, che buono, mi sale, anche a me, vieni qui che c’ho
voglia, Giulia, sì, toccami Tazio, c’ho voglia anche io, ti ricordi Giulia, sul
fiume, quest’estate, chi se lo dimentica Tazio, lo rifacciamo, sì lo
rifacciamo, vuoi vedere che figa sei stata? oddio no ti prego, risatine, gambe
aperte scomposte, massì dai, siamo noi, sei strafiga, guarda qui. Tecnologia
led a quarantadue pollici che serve la pelle abbronzata di donna nuda illegale
che ha assunto sostanze non contemplate dal regolamento e, a causa della
perdita del controllo data dalle sostanze medesime, dona piacere a due sconosciuti
maschi adulti maturi, nudi ed eretti e guarda in macchina soddisfatta del suo osare
laido, maneggiando cazzi senza nome, lasciando che l’amante istigatore alla
depravazione catturi quattrocento fotogrammi in alta definizione dei dettagli
di quella scomposta zuffa sessuale consumatasi tra gli alberi e i cespugli del
fiume porcone. Ed è subito lotta osservando di sottecchi lo slide show dentro
al monitor.
Troia. Ti sei messa la catenina alla caviglia per paura di non
arraparmi abbastanza e io lo apprezzo. Stesa sulla schiena, ti tieni le
caviglie offrendomi i buchi affamati e ti premo la cappella sull’alone scuro
che corona il buco del culo e entro, senza riguardi, che hai una voglia maiala
e, mentre mi ciucci l’uccello col culo, faccio scivolare il mio ultimo
acquisto, un cazzo gelly rosa fucsia a due teste nella tua passera slabbrata e
questo mi dà l’agio di incularti e fotterti la sorca contemporaneamente e comodamente,
muovendo dentro e fuori il cazzo finto che impugno con destrezza all’estremità
opposta, agevolato dai suoi sessanta centimetri di dimensione artistica.
Scivolo fuori e scorreggi dal culo, odorosa, sonora e oscena e non te ne curi e
mi piace, sei bestia. Mi affretto a riempire di nuovo e ti pompo la figa col
cazzo ausiliario, stantuffandola come fosse un putipù porno e godiamo sozzi
come siamo usi godere.
Ti chiavo il culo e ti svango la fregna, sei in posizione acrobatica,
il culo sul bordo del letto e la testa sul pavimento, fai fatica ma godi e non
molli, mi lanci occhiate di fiamma quando il piacere è più intenso, ti lecchi
le labbra, ansimi e sudi, sorridi molle e maiala, ammorbata, ti lecco le
caviglie senza smettere di allargarti il culo e di svangarti la sorca. Poi proviamo a
vedere, giochiamo, ti lubrifico, ti inginocchi sul letto e con una testa di
riempio il sedere, bello in fondo, mentre con l’altra ti riempio la figa e mi
basta toccare il dorso della “U” che si forma all’esterno per farti mugolare e
piantare le unghie nel cuscino protendendo il culo all’indietro come invito a
strapazzarti per bene che ti piace, scandalosa vacca in calore e io t’accontento,
perché sono il tuo mentore lurido, sono l’uomo che ti ha spinta ad assaporare
il dolce sapore dell’essere Troia sino all’ultimo neurone che hai e mi voglio
anche togliere uno sfizietto porno che ho visto a suo tempo e che m’ha donato
entusiastico spirito di ricerca e così premo, accanto all’estremità rosa che ti
ingozza la figa, la cappella del cazzo, spingendo, scivolando, riprovando,
godendo di bruciore, violando la tua svangatissima sorca, dilatandola, godendo
di immenso piacere nel sentire a contatto col cazzo la morbida plastica da un
lato e la tua tesissima carne dall’altro e tu canti, canti di gola, un canto gospel,
un grugnito heavy metal, batti i pugni, graffi le lenzuola, zeppa di cazzo e di
dildo nella passera carnivora, zeppa di dildo nel buco del culo che si slabbra,
si ovalizza, si schiude lasciando sfuggire intimi miasmi e godiamo dell’orrido
estremo che riusciamo a creare.
Ti rammento appena che se tuo figlio sapesse quant’è troia la mamma
bisognerebbe ricoverarlo in una clinica in svizzera e sorridi a occhi chiusi,
sudata, piena, dilatata, gaudente, oscena e io godo della presa stretta tra il cazzo
finto e la tua carne e ti chiedo se fai ancora giochetti troieschi agli altri
ragazzi che ti arrivano in casa e dici no sorridendo a bocca aperta e mi prende
lo spirito dello sperimentatore, perché senza ricerca e sperimentazione non v’è
progresso e così ti stendo di schiena, lasciando il cazzo rosa a penzolarti dal
culo come fosse un budello prolassato e mi spalmo la mano di gel e incomincio
con uno, poi due, poi tre, poi quattro e ruoto, spingo, tocco la tenerezza di
dentro entro il raggio d’azione che mi consente il pollice ancora all’esterno e
tu ti tieni le mani sugli occhi, la bocca alla Munch, ondeggi il bacino e io
ripiego il pollice nel palmo, ruoto, raggruppo le dita, spingo, ondeggi ed
emetti piccoli urletti con gli occhi ora sbarrati ora chiusi, ruoto ancora, lubrifico
e scivolano dentro le nocche e la mano scompare, magia!, è bellissimo qui
dentro e entro ancora, lento sino al polso ed inizio a pompare placido,
osservando come minimi movimenti generino amplificatissimi effetti e mi guardi
invocando domineddio, spaccata come una noce di cocco, sfondata, drogata d’estremo
e di porno anche tu e questo mi rassicura, mi gratifica, mi rilassa, mi spinge
ad aumentare la velocità e la pressione, assumendo miglior posizione al fine di
poter azionare il cazzo gelly che stringi ancora nel culo sfibrato e
stantuffarti il budello merdoso mentre la mia intera mano dilata la figa
materna donando la pienezza che cercavi e che io, con amore, ti dono.
E poi esplodi. Senza nessuna possibilità di intervenire a spalmare
dignità umana all’orgasmo animale. Preda dei tuoi sensi senza nessuna
emotività, ma solo con isterico piacere bestiale che ti induce uno schizzo di
piscia sul mio braccio, compressa e sotto pressione come sei. Sbrocchi, sbavi,
grugnisci catarrose frasi oscene e vieni urlando che tutto il Miramonti avrà
pensato che fosse in atto un sacrificio umano. E quando esco dal tuo corpo, tra
i tuoi urletti di dolore, ti affretti a ingoiarmi per darmi piacere e mi succhi
vorace, idrovora, istigandomi lercia a schizzarti in faccia il mio seme, cosa
che non m’entusiasma mai al punto di proporla, ma non mi induce a sottrarmi
quando richiesta con belluino bisogno.
E ci spegniamo. Molli. Abbracciati. Guardando il soffitto. Nudi. Stesi.
Ciascuno a meditare sui propri liquami, ciascuno a pensare se questi
sfoghi bestiali siano proprio sfoghi e non l’inizio tossico di nuovi sfoghi,
maggiori, più cruenti, estremi e dannati.
“Cosa fai domani?” mi chiedi
con uno sbadiglio che strozzi sul mio petto.
“Non lo so, Giulia”
No.
Non lo so cosa farò domani.
E non lo voglio nemmeno sapere.
a volte leggerti mi fa sentir male. che cazzo riesci a far pensare al tuo cervello e a farlo arrivare a quelle dita maledette.
RispondiEliminachiodo schiaccia chiodo? ;-)
RispondiEliminaun bacio
che forza la Giulia.
RispondiEliminaha questo dualismo che rende ancora più stupefacenti le sue performans sessuali.