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domenica 7 giugno 2015

Tenero vigliacco

Clima fresco e  sapore deciso, questa Amsterdam domenicomolecolare che mi lascia in bocca il sapore che assaporano quelli veri che la banca gli apre di domenica per un’ora e sei firme e poi andersen, for di bal, sempre nostro graditissimo ospite, mi chiama un taxi? Per dove? Aeroporto, ma certo vualà.
E così eccomi, bello sudaticcio anche se non fa caldo, a scrivere dall’angolino degli sfigati che stazioneranno intere ere geologiche in aeroporto prima di prendere quel budello di latta che li porterà là dove tanto importante pare sia andare.

“Ciao occhidizaffiro, dove sei di bello?”
“Ciao belluomo, che piacere, ci contavo zero che mi chiamassi sai?”

Pomeriggio del buon sole, mi dice la Lidia, a casa della MmmmmmmuuuuUUUUuuuuuuoooo che c’ha quella piscina con la palma disegnata sul fondo che non la si può vedere nemmeno al Campeggio Miramare di Viserbella. Chiedo chi c’è, ma faccio una domanda del cazzo, tanto non ascolto le risposte.

“Com’è andata ieri?” – mi chiede con tranquillità confortevole.
“Ieri, vediamo. Un conflitto nucleare? No, troppo poco, facciamo sette conflitti nucleari e non se ne parli più.”
“Non l’hanno presa bene quindi…” – mi chiede seria.
“Diciamo che fino alla mia cessione ed al subentro c’era della pseudo compostezza, seppur con del gusto di merda in bocca, ma poi quando l’avvocato del “nuovo gruppo” ha preso la parola, sventolando il trentacinque percento di quote come un machete birmano per dipingere a sangue una ristrutturazione che vuole eche la fine del mondo a colori è una figurina Panini in confronto, hanno iniziato ad agitarsi e a bestemmiare, inveendo contro di me che mi premuravo di ricordare che ero lì per introdurre il mio successore e che non c’entravo più un cazzo con le loro puttane…”

E poi a seguire altre trentaduemila dettagli legati al battlefield ed alle reazioni che, come previsto da Lidia la Truce (ante litteram), hanno iniziato da subito a slittare sul sapone con lo scopo preciso di tirarselo nel culo uno con quell’altro.

“E il Costa?” – mi chiede raschiando un qualcosa con una cannuccia da un bicchiere.
“Il Costa moooooolto preoccupato, perché senza il mio appoggio rischia di venire schiacchiato come un tubetto di dentifricio dalle nuove probabili coalizioni/cessioni/defezioni. E imperlato di sudore cercava i miei occhi con quegli occhioni da cerbiatto frocio-sederina-romantica che non vedevo da tempo.”
“Ottimo” – oblitera – “il viaggio in auto? Tutto bene?”
“Con un demente che non ha tolto il piede sotto i centoottanta in quel velluto di stradine, direi un viaggio emozionante.”
E lei ride.

“Sicché da domani sei londinese per non si sa quanto” – vira per scrostare un po’ di merda dal muro.

E io penso.
Penso che stanotte arriverò in un signor albergo a Londra, mi farò una doccia accurata ed andrò a dormire sino a domattina, dove alle ore nove spaccate metterò piede in clinica dove alcuni medici cominceranno a succhiarmi litri di sangue e poi mi metteranno addosso una camicia da notte a fiorellini aperta dietro, sotto la quale dovrò essere totalmente ed obbligatoriamente nudo, mi tumuleranno in un letto mega tecnologico e mi conficcheranno nelle vene delle farfalline pronte ad accogliere simpatici intrugli multifarmaco, così, per ammazzare il tempo in attesa dei risultati delle analisi. E poi se dalle analisi si salva qualcosa, sotto con un’altra mezza carriola di flebo e arrivederci e grazie, si accomodi in amministrazione, viceversa pronti per una bella plasmaferesi a loro scelta e poi, alla fine, arrivederci e grazie, si accomodi in amministrazione, buoni droga party futuri, ci vediamo prestissimo.
E la cosa mi mette un’ansia pari a quella del maiale a cui fanno fare un giro turistico nel famoso megaprosciuttificio.

E non resisto e le comunico la cosa proprio così come ve l’ho detta a voi, sortendo un: “Mh”.
Dopo una pausa che aveva dell’infinito mi dice “Posso salire? Solo che non riesco a prendere un aereo prima del pomeriggio di domani. Ma mi lasci salire, cazzo?”

Può salire?
Può salire frantumando i miei sogni di negritudine puttanissima trina ed apparentata, che coccolo da giorni? Può salire segando in due il Bordeaux, la smaterializzazione, le cantine e Blanche la geisha francese agè?
Può?

“Non sai che sollievo sarebbe, Lidia, ma non voglio romperti coglioni che c’hai da fare.”
“Se invece di leggere nel futuro altrui tu parlassi, cazzo, che con te tutto è una sciarada, un rebus, un cruciverba” – “un ‘Forse non tutti sanno che’ e un po’ di ‘Tenero Giacomo’, anche” – aggiungo per enigmistica precisione.
“Tenero cretino, direi, altro che. Adesso mi muovo subito.”
Ecco.

“Uozzappami albergo e camera di Londra e avvisa che ci sono anche io, che io adesso mollo il Cirque du Soleil delle carampane allupate qui e vado a fare la prenotazione del volo e a preparare il trolley. Ma ti tengono dentro alla notte? C’è un letto di fianco al tuo, eventualmente?”

Non lo so Lidia, non so niente.
Però sono sollevato che ci sia anche tu a tenermi su anche in queste cose.

“Oh, ma senti, ma veramente sei tutto nudo sotto il camice allacciato dietro?” – chiede e poi esplode in una risata crudele.
“Sì, ma ti mostro tutto se ci sei, non preoccuparti.”
“Ci conto davvero, son cose belle fini” e giù a ridere (lei).

E adesso vado a farmi un altro bourbon, che in questo schifo di Schiphol non mi passa più.
Unica nota positiva la signora olandese che ha abbandonato le scarpe sotto il tavolo, ma è un po’ pochino.
Anzi.
Rispetto al non essere soli non è un cazzo di niente-

Nei prossimi, bella gente.









lunedì 1 giugno 2015

Champagnati addosso

 Sabato notte 

E’ vero, avevamo bevuto l’intera regione dello Champagne-Ardenne, questo è vero.
Poi c’è stato un momento propedeutico di altissimo spessore.
In piedi innanzi a me, con l’abito nero con le bretelline, lungo sino al ginocchio e i sandali argento molto raffinati ai piedi.
Location: giusto innanzi al mio portone.
Proveninenza: la sua auto nella quale ci eravamo ingroppati come i Bonobo sotto Chalis, per ore.

“Tu una volta hai detto che se suono il piano di notte ti bagni dall’eccitazione e ti bagni le cosce e io me ne accorgo vedendoti le dita dei piedi bagnate”
“Sì”
“Ma ti bagni così tanto?”
chiedo e rido ubriachello.
“No” mi risponde ridendo ubriaca bella e buona.
“E allora mi hai raccontato una cazzata” sottolineo, pizzicandole i capezzolini fino a farle aprire la bocca dal dolore con gli occhi chiusi.

E allora lei sfila dai piedi i sandalini restando scalza sull’asfalto, recuperandoli in mano.
E poi si piscia lungo le gambe, lucidandole di sibilanti rivoli che si intrecciano sulle curve del ginocchio, del polpaccio, correndo alla caviglia, bagnando i piedi, affogandoli in una pozzanghera che va allargandosi e nella quale lei muove sensuale le dita sorridendo ebbra con quegli zaffiri stretti.

“Fammela leccare” richiedo imbestialito e serio, appoggiandola al portone e sollevandole l’orlo del vestito. E gliela lecco maniacalmente, glabra fica nuda zuppa di piscia calda, priva di mutandine che giacevano chissà dove nel  Touareg e mentre assaporo il suo nettare, la ebbra Lidia solleva il vestito da sopra la testa rimanendo totalmente nuda in strada, biascicando solo un leggero “scopami ancora che ho voglia”, cazzo Lidia no, entra, entra dentro e mi incasino con le chiavi mentre lei gira in tondo nuda in mezzo alla strada a braccia sollevate, scarpe e vestito per terra, ridendo, con qualche capannello più in là che osserva divertito.

Riesco a ricoverarla all’interno di casa a fil di fanali di un’auto che sopraggiungeva.
E poi la violento sulle scale, senza nemmeno salire, facendola godere come una pazza.

Pazzesco.

Bello però, cazzo.
Tanto bello.

Anche i piedi delle signore di classe puzzano nel sabato primomeriggiale taziale

 Sabato postprandiale 

Sotto l’alberone vicino al bivio del cavo maestro del canale che irriga la fiorente ed operosa agricoltura della bassa, una VW Touareg grigio metalizzata porge le terga alla campagna ed il volto alla strada.

Il portellone è aperto ed all’interno del piano di carico, seduti, sostano un uomo ed una donna. Ella è scalza e porge le sue estremità inferiori ad ello che è totalmente nudo, cosa che manda in sollucchero ella, che preme un piedino sulla Randa Impazzita Rampazza Pietraia Birilla di ello, mentre dilata le ditina dell’altro piedino affinchè ello abbia di che imbufalirsi annusandone il suo pacato odore di sudore dei piedi, aggressivo nelle note, maschile nell’impianto, eccitante da manicomio nella sostanza.

Ella, col piede libero e l’ausilio di una manina, conduce una masturbazione acrobatica al femore di dinosauro di ello, mentre costui lecca, succhia, infratta la lingua e gioisce del salato nettare che alberga tra quelle dita bambine.
La performance bizzarra si protrae per poco tempo, sinché ella, stanca di cotanta acrobazia che non fa che alimentare il suo belluino desiderio sessuale, non decide di liberarsi del pantalone stretto a tubo blu notte con bordo arrotolato e delle culottine blu pervinca con piccoli fiori azzurri, per porsi a giacere di schiena con le gambe e la glabra fica spalancate, a palese invito alla copula agreste nei confronti di ello, già ben pronto alla monta taurina.

Ed i due chiavano, sbattendo proletari, scomposti.
La camicetta di ella, ampia a righe bianche su fondo bluette, una volta sbottonata rivela l’assenza di reggiseno, con effetto trasfigurante in ello che sa cogliere la simbologia puttanesca di tale assenza, mentre ella va godendo divertita della reazione di ello conseguente alla scoperta, ma soprattutto va godendo del sentirsi ripiena di tanta Suina Carne di Rigidissimo Cazzo di Porco Crudo di razza Durissimock che stantuffa, senza lesinare le forze, nella fragrante ed umida fichetta bambina e signorile di lei.

E poi ella canta, agreste, con note a tratti rabbiose e vene del collo pronunciate e ello, al termine dell’epilessia di ella, porta nuovamente il piedino odoroso al naso e schizza scomposto il suo seme sul corpo nudo di ella che, previdente e saggia, spalma con ambo le mani lasciando tramontare gli ultimi grugniti suini e moderatamente blasfemi sulle sue eleganti labbra di signora di classe.

Che bel sabato taziale, così diverso, ma così intenso di emozioni.
Penso agli amici della Solita ed una punta di curiosità culattona mi titilla il perineo.
Ma preferisco annusare.
A fondo.
Mentre ella ride sguaiata e dice “bastaaaaa pervertitooooooo!!”.
Che bel sabato taziale.
Che afrore seducente ed irrinunciabile.
Che femmina.
Ha!

Pranzi, dialoghi, ipotesi, affari, sesso, piedi sudati, parrucchiere, sabato taziale

  Sabato prandiale 

"La cosa è estremamente interessante”, mi dice mentre pranziamo sotto il telone di cotone bianco del raffinato DaNicoFuoriMano ed io, pur non perdendo di vista l’argomento, considero che la Lidia è una quarantenne veramente figa, con una fisicata che seppellisce le ventenni, con degli occhi da husky che ti possono uccidere, spaventare oppure far innamorare per sempre col cazzo duro h24.

“La cosa sarebbe estremamente interessante se la gestissimo SOLO io e te: capitali, organizzazione, personale e, promozione. Per quanto riguarda il Professor Zucchetti, scusa se te lo dico che so che siete amici, ma: punto uno o ce li ha i quattrini, punto due o sai come trovarli, oppure se vai in giro a piazzare “affari” come se fossero tuoi non essendoli, per me diventi della piacevolezza di una emorroide.”
E lei ride, annuendo, concorde.

Di cosa stiamo parlando, belli lì che mangiamo DaNicoFuoriMano dei fiori di zucca al forno ripieni di burrata e alici su una coulisse di pomodoro fresco? Dell’acquisto di un meraviglioso casale gigantesco, ristrutturato post terremoto, riconvertito a struttura potenzialmente B&B, perché il volpone che l’ha ristrutturato c’ha ricavato otto camere matrimoniali, ciascuna con bagno ultra figo, esterno pietra faccia a vista, scuri originali restaurati, salone interno con camino da casa padronale, salone parallelo per le colazioni, cucina industriale ancora col cellophane, pavimento esterno di cotto originale restaurato, piscina che Phelps ci fa l’abbonamento se sa che esiste, duemilaseicento metri quadri di scoperto totale, con arredo verde di pregio totalmente illuminato al led in maniera discreta, capanni in legno per le facilities bordo piscina e impianti avviati per la realizzazione di una spa grande tanto quanto te la puoi permettere e poi e poi e poi. Roba da paura.

E Zucchetti chiccazzè, direte? Zucchetti è il paraculo che è venuto a conoscenza dell’affare, non ha i quattrini per succhiarselo da solo, ma pretenderebbe di entrarvi in tackle con capitale altrui che, tra l’altro, vorrebbe gli venisse affidato come “capo cordata” sulla sola base della sua chiarissima reputazione di luminare accademico, oltre ad un simpatico assunto (sue parole) “in fin dei conti son poi stato io il primo a mettere il cappello sulla sedia” .

E la Lidia sorride dicendo: “Il cappello sulla sedia… mica stiam trattando due camion di granoturco… qui bisogna pensarci e se si è convinti si fan saltare fuori i quattrini (e Zucchetti se ne ha bene), se no se ne fa una ragione, oppure ci viene come ospite che noi lo trattiam da papa, perché come hai detto è mio amico.” E ride.
Poi si mangia e pausa. E io lo so a cosa pensa la Leedeeah.

“Senti Tazietto” attacca professionale dopo un po’ “di che disponibilità tua potresti parlare?”
E a me vien da ridere dentro e rispondo “Mi hai bruciato sul tempo, sai? Stavo per farti la stessa domanda!” e si ride, bavosi crotali assassini che si strisciano attorno studiandosi, ma gli affari son così. Lei mica mi ci ha portato perché avevo bisogno di prendere aria, mi ci ha portato perché le interessa che ci accoppiamo anche in quello.

Bella la Lidia.
Pantalone stretto a tubo blu notte con bordo arrotolato, sandalo a zeppa vertigine color caramello, pitonato con inserti di nabuk eleganti, unghiette bambine laccate di trasparente dalla dominante violetta appena visibile, camicia ampia a righe bianche su fondo bluette, capelli corposamente accorciati, leggermente schiariti e magistralmente acconciati (c’ha guadagnato dieci anni, veramente).
Le esequie della famosa treccia saranno tenute in forma privata presso la cappella che metterò volentieri a disposizione per la cerimonia.

Bello anche lì DaNicoFuoriMano, cucina interessante, ristorantechicfintatrattoriallabuonadistocazzo, servizio impeccabile, location discreta e distante da occhi curiosi, proprio bello. Mi ci ha portato lei, dopo l’incontro col Professore, che io manco sapevo esistesse il locale. Non indago sul perché lei lo conosca, ma sono certo che la sua fica non sia estranea alla frequentazione del bel luogo.

Poi, d’improvviso, lei mi dice la sua cifra disponibile e io le sparo ravvicinato la mia.
Ci guardiamo e diciamo che lo sforzo mancante si può affrontare, poi arriva la crema catalana con un Passito di Pantelleria “quello vero”, dice il cicisbeo del titolare che, dopo sedici minuti di esposizione delle qualità del nettare introvabile e della sua fraterna amicizia col produttore, se avessi avuto una Glock 19 gliela avrei scaricata nello scroto. Io sono molto da “versa e fuori dai coglioni, che se fa sboccare torni qui di sicuro a spiegarmi il perché, non temere”.

E si chiacchiera, ciascuno con in un angolo del cervello la rotella girante che scava su come ridurre l’impatto dell’esposizione enunciata nelle parole.

“Ma tu” – chiedo lasciando libero il Gran Porco che è in me di pascolare in tanta bella natura – “hai mai assistito alla scena di due che si chiavano davanti a te?” e abrado gli ultimi cucchiani di catalana.
“Cioè intendi due che chiavano dal vivo davanti a me e io che sto lì a guardarli?”
“Esatto”
“No, mai successo. Solo film porno, ma credo non contino ai fini della domanda, vero?”
“No, non contano. O meglio, solo parzialmente. Intendo dire: è una situazione che potrebbe eccitarti quella di essere seduta sul bordo di un letto dove due sconosciuti si chiavano, oppure comodamente seduta su un divanetto molto adiacente?”

Pausa.
Lunga pausa riflessiva.

“Allora, diciamo questo. Dipende molto dal contesto generale: sono obbligata ad essere nuda anche io? Sono obbligata a toccare i loro corpi? Loro interagiscono con me parlandomi? Perché queste tre cose trovano un mio totale ed immediato blocco che conduce al no. Il no arriva anche se mi dici che con me ci sono altri che guardano e interagiscono coi due (masturbazione, conversazione, battute, eccetera), perché troverei la cosa ridicola. Una volta ho visto un film porno francese sul modello e il suo surrealismo mi ha annoiato mortalmente. Tolto questo, la riposta è: sì, mi potrebbe piacere.”

“Allora disegno un altro scenario: tolgo la coppia etero e ci metto una coppia maschile.”
“Ferme le condizioni di prima, ok. Sarei molto curiosa.”


“E se tolgo la coppia maschile e ci metto una coppia femminile?”
“Belle e giovani?”
chiede ridendo ed io annuisco sorridendo.
“La più interessante delle prospettive allora, dico sì senza esitazione” e sorride lurida.

“Ah-aah” - dico sorseggiando il passito-fenomeno che è fenomeno di ‘sto gran cazzo – “emerge una Lidia bisex qui!”

“No, piano. Tu mi hai detto di GUARDARE e a me GUARDARE due donne che fanno sesso eccita. Le donne mi possono affascinare, sedurre, ma non credo di essere bisex. In ogni caso io sono etero al centopercento, ad oggi. Mai nemmeno baciata per gioco una donna, ad oggi.”
“Ad oggi.”
sottolineo.
“Ad oggi.”
e sorride.
Poi sistema meglio il tovagliolo e specifica.

“Caro Tazio, la sottoscritta è una donna mooolto ‘normale’, lo sai bene. Anche se a te il concetto ‘donna sessualmente normale’ è più noioso della Recherche di Proust, io te lo devo dire: nor-ma-le – e ride divertita come una scoiattola piena di chetamina e poi continua– “così nor-ma-le che, tieniti fortissimo, non ha MAI preso il sole totalmente nuda e l’ultimo topless risale a non so quanti anni fa per accontentare un amica, ma non penso meno di dieci.” e continua a ridere.
Peccato, le sue tettine sono proprio da mostrare a tutti.

“Quindi per ora teniamo distanti i dettagli estremi, vero? Adesso andiamo di nor-ma-le. Giusto?” – chiedo sia per capire, sia per far presente che non sono lo smemorato di Collegno.

“Esatto, non ne parliamo affatto di tutto ciò, che sono state cose legate al sesso con Luca e fatte per Luca e non necessariamente collimanti col mio massimo del piacere. Parliamo della mia nor-ma-li-tà. e mi guarda con l’occhio che più da troia non si può.

Puttana. Sei una gran puttana Lidia e per questo mi piaci. Perché non si capisce quanto e sino a dove tu sia una grandissima, sconfinata, maestosa puttana, granzoccola e stratroia.
Ma dentro hai del lurido potenziale che sturerò piano piano. Ma neanche tanto piano piano. Tu vuoi che cancelli la lavagna e ricominci a disegnarci sopra.
Tu sei un fottuto troione come TUTTE le donne e sei qui pronta a deliziarti coi prelibati menu che confezionerò per te, facendomi sudare per accettarli, seppur avendo voglia di una ventata di maialaggine tra le cosce che ti destabilizza, Troia.

“Ho voglia di sborrarti tra le dita dei piedi che non ce la faccio più a guardartele solamente…” mormoro da maniaco avvicinandomi al piano della tavola.
“Mmmh” - dice eliminando un nocciuolo di ciliegia con eleganza - “andiamo da qualche parte tranquilla allora, che mi sa che” – e abbassa e rallenta la voce fissandomi negli occhi con quegli zaffiri, abbassandosi anch’essa verso la tavola – “in virtù della lunga camminata con questi sandali che mi fanno tanto sudare, tu potrai godere del mio ‘aroma animale’, come lo chiami e che tanto cerchi in me…”

E sì, Lidia.
Sei una grandissima, oceanica, intercontinentale, sibaritica Puttana.
Il conto, cicisbeo, veloce, che ho di meglio da fare che bere le tue analisi delle urine.

Voilà, che sabato taziale meraviglioso.
Voilà.

Venerdì sera dalle belle prospettive

“E--ah—ah—ah—ah, ma tu guarda chi c’è, ma come ti trovo di.vi.na.men.te tesora, no, no, no, scherziiiii???? Ma vorrei io essere così come sei te e—ah—ah—ah—ah” e candundio come mi mancavano queste cene cauntriscic con la gente che conta a cui, diciamocelo, la Lidia appartiene da ben che mò che mò che mò.
Ci sono gli OoooOooooUUUUUuzzzzz che ci vedemmo anni or sono e mi hanno cancellato dai neuroni col Cif, poi riconosco anche la lei dei PfffFFFaaaAAAAAmmmm che con quegli alluci valghi a squadra schifo mi faceva e schifo mi fa, c’è la Grandissima Caparezza che oggi stazza come una portacontainer indonesiana e fa finta di non vedermi e mai mi caga per tutta la sera, ma poi, fortunatamente, compare la Chelli che meriterebbe una Laurea in Ornitologia Honoris Causa per quanti uccelli ha preso in vita sua, ‘sta cappellaia pazza, ‘sta invereconda minchiaiola col pruritino sempre birbante, ma almeno estremamente simpatica.
Cinquantadueanni e non sentirli, o meglio, cinquantadueanni e sbattersene i coglioni e comportarsi ed atteggiarsi da zozza ben più zozza di quella luridissima zozza di sua figlia Agnese, non presente alla serata poiché (con grande probabilità) impegnata a deglutire il maggior numero di cazzi marocchini possibile (visto che corre voce che la giovinetta abbia passioni magrebine da crisi di nervi che neanche con gli One Direction).

“Hoi Chelli, come ti butta? Ti vedo sempre gran figa” esordisco col mezzo tono del non impressionato dall’ambiente, che dà sempre i suoi frutti.
Biondo ramata, chioma leonina, begli occhi verdi e boccona ampia iper rossettata, abbronzatura da uovo di Pasqua, ingioiellata come la Madonna del Prepuzio e mezza nuda come Mowgli del Libro della Giungla, fisicata alla grande dal personal trainer tutti-i-giorni che, por(c)ello, si applica a OGNI tipo di ginnastica con la Signora, ma devo dirlo senza scherzi ora: il fatto che lei se ne chiavi del tempo che passa e che continui a interpretare il ruolo della sorella minore di sua figlia ventiquattrenne, la rende di una figoneria tutta sua, di un puttanazzo esoterico a metà tra l’Ammiraglia della Tangenziale e la tenutaria ancora sulla breccia (per goloseria orgasmica) di un bordello costoso, ma con una cultura vasta, un acume singolare e corrosivo e una capacità critica di rara intelligenza nei confronti di quel carro bestiame di teste di cazzo che assiepano le “feste ammodo”, doti che la rendono una compagnia estremamente gustosa per chi, come me, prova erezioni imponenti di fronte alla volgarità trash.

“Tazio amore, dio se sei bello e quanto mi ti farei. Prendi qui uno sciampagnino che sembra piscia della mia micia (quella vera). Sei la mia salvezza amore, ci ubriacheremo assieme per sopportare questo geriatrico di anfetaminizzati e poi andremo a scopare nel granaio che così finiamo quello che abbiamo in sospeso dall’epoca di Esaù. Dicevi che mi si vede la gran figa? Eppure giurerei di averlo messo uno straccetto di mutanda!” e ride volgare, sguaiata, odiata da tutti per quei modi estremi, ma la Chelli è ricchissima e quindi fa il cazzo che vuole. Viva la Chelli per sempre!

Che belle ‘ste feste obbligatorie del comparto industriale che comanda. Le adoro da vomitare. Anche la Chelli le adora da vomito, ma d’altra parte dovrà pur pescare carne umana da qualche posto o no? Dovrà pur manovrare anche lei qualcosa di diverso da un cazzone duro?
Alla Lidia, invece, le feste sono sopportabili ed addirittura piacevoli, mentre la Chelli viene da lei etichettata come “quella lurida troia di merda insopportabile” che me le rende ancora più attraenti entrambi, Lidia e Chelli.

E su quest’onda allegra passa serena la serata dei veleni radioattivi, che quando la Chelli capisce che sto con la Lidia divento subito un bersaglio da centrare in tempo zero, con tanto di bigliettino fatto scivolare nella tasca della mia giacca e commento raffinato “sei tu che per far godere la puttana hai imparato le maniere ultraforti oppure è la puttana che si è tranquillizzata e si gode rilassatamente questa bella minchia miracolosa” e mi strizza di sottobanco l’uccello.
Sì, perché dovete sapere che molti anni or sono, quand’ero ancora maritato, io e la signora Chelli abbiamo avuto un furioso ingroppo romantico all’aroma di nafta nel garage di una villa che, guarda caso, ospitava una di queste festicciolone di cui anche la mia Vale ci andava pazza (veramente) e mi ha tirato un succhione con l’ingoio di grande perizia e sprezzo del pericolo di cui entrambi serbiamo un romantico ricordo nel cuore.

“Vero Tazione? Cos’era? Un Mercedes?” [l’auto addosso alla quale mi tirò il bocchinazzo soffocone]
“No Chelli, un Range Rover”
“Gli inglesi c’hanno due coglioni pelosi così in fatto di auto, poco da dire”
“Vero”
e le accarezzo una natica molle senza farmi vedere.
“Và che voglio che mi chiami prima con la ‘M’ e dopo con la ‘V’ eh?”
“Giuraci, porcona”
“Mi fai tirare i tre pisellini se mi chiami così”
(direi sublime questa Signora no?)
“Buona che arriva la Lidia”
“Buona quella sì. Telefonami in settimana, montone, che ho già tutti i buchi in larghissimo preallarme”
“Te li tranquillizzo io per bene, non ti preoccupare”
“Mmmmmmh ci conto Cazzione. Anche se mi sa che ci vediamo domenica.”
“Domenica??”
chiedo io stranito.
“Chiedilo alla tua puttana se ha accettato l’invito del Bonne Soleil a casa della Marzia.”
Il Bonne Soleil. Da quanto non ne sentivo parlare.

Che splendido venerdì sera, però e che Signora la Chelli.
Son belle cose che tirano su. Anche il morale.
Eh beh.

mercoledì 27 maggio 2015

Sala d'attesa

“Ma la dottoressa la aspettava?”
“No, in effetti no, ma ho tempo e aspetto, grazie”

E poi, dopo molto, si apre la porta ed esce un tizio che continua a parlarle delle sue cose e lei è maledettamente professionale, treccia arrotolata e fissata sull’estremità della testa, pencil skirt antracite, camicetta bianca, scarpe Chanel nere che le accentuano le vene sul collo del piedino, che l’avevo vista uscire così anche stamattina, ma contestualizzata è tutta un’altra cosa.

“Si accomodi prego, dottore” – mi dice seria per prendermi per il culo.
Ringrazio e la seguo.
“A cosa devo la sua graditissima visita?” – mi chiede con un sorriso sottile e gli occhietti piccoli, dopo essersi serrata alle spalle la porta insonorizzata di cuoio marrone.
“Sono venuto a leccarle la fica, dottoressa. Spero di non essere stato inopportuno.”
“Tutt’altro, venga qui, la prego” – mi sussurra spostando la sedia dalla posizione direzionale ad una posizione laterale.
Staziono eretto davanti a lei, in ogni senso, osservando l’abbassamento della pencil skirt ed il suo abbandono morto e scomposto, sulla moquette marrone.

“Inginocchiati” – mi ordina con voce bassa e suadente, aprendo le gambe quasi a centoottanta gradi, mantenendo calzate le sensuali scarpe, scostando il perizoma nero di cotone per sbattermi in faccia la vagina carnosa. Ed io mi inginocchio, vestito del mio bell’abito Canali in sintonia con l’ambiente e comincio a leccare. Lecco e gusto, mi sazio di lei, mi inebrio del suo odore, mentre le sue dita  mi accarezzano appena la fronte e i capelli e la sua voce pacata mi racconta i suoi pensieri, lenti, lentamente.
Lecco ovunque vi sia carne sensibile, fica, perineo, ano e lei mi agevola spingendo all’infuori  il bacino, scivolando sul sedile, mormorando “Ci speravo tu passassi… ma non ne ero certa…” e la mia bocca si perde in mille virtuosismi che la portano ad ansimare ritmicamente.

“Dio quanto mi piace Tazio…” – mugola spettinandomi – “…ci metteresti un minuto a farmi venire…” – ed io mormoro un “vieni ti prego” che lei asseconda contraendosi sulla sedia, le mani salde sui braccioli, il capo reclinato all’indietro, mentre io non ho alcuna intenzione di farmi bastare quell’orgasmo e continuo a leccare e succhiare e mordere e mangiare quella fica e quel culo sublimi e lei sussulta sussurrando sorridente “…che bastardo… non ti basta… vuoi distruggermi”, ma esatto cherie, non mi basta, e detto quello faccio sgusciare il cazzo dalla cerniera abbassata e glielo spingo dentro alla viscida e bollente fica, sortendo una vocale d’estasi.

E ci abbracciamo, scomposti, arruffati, mentre le mormoro “Io sono convinto che le porcherie che mi piacciono le sappia fare benissimo anche tu, che non sei affatto una vuota donna relitto, ma una creatura magnetica da cui io voglio tutto, perché le pozzanghere torbide mi hanno soffocato e io voglio tornare a vivere” e i suoi occhi luminosi si aggrappano ai miei mentre replica ardita “Insegnami a fare tutto quello che ti piace e io lo farò e….” e non c’è nessun “e”, c’è solo l’orgasmo squassante e improvviso, che zittisco con la mano sulla sua bocca, pompandola di forza, mentre diviene rossa, con le vene delle tempie ingrossate e trema e mi stringe e le vengo dentro con forza, con vigore, ma senza alcuna violenza, godendo della camicetta sudatina appena, schizzando felice.

***
Ricomposizione.
Perfetta.
In piedi in mezzo all’ufficio, l’un davanti all’altra, non un dettaglio fuori posto, non un capello.
“Ha impegni per cena, dottoressa?” – chiedo guascone per superare l’attimo di imbarazzo.
“Sì, sono impegnata con te.”
E ci baciamo, abbracciati, in piedi, stringendoci.
“Insegnami a diventare quello che vuoi…”  mormora in un soffio.
“Voglio dell’altro in cambio…” replico fronte sulla fronte.
“Tutto quello che vuoi lo avrai…” e ci ribaciamo, profondi, appassionati, seccati che il pomeriggio sia ancora lungo e la sera lontana.

E me ne vado.
Svelto.
Aprendo e chiudendo il forziere afonico con velocità, attraversando a passi lunghi il corridoio, salutando appena l’assistente, uscendo in strada, prendendo l’auto americana, partendo veloce, per poi rallentare nella campagna vuota, tentando di riordinare il casino che ho in testa e che solo Bill Evans può aiutarmi a calmare.





L’ora che non si fece mai

L’antefatto
Mentre attendo la Sozza, il parlàfono vibra e recita Lidia a chiare lettere.
Come sei messo?, dormi?, disturbo?, è che non riesco a prendere sonno, ma Lidia stai tranquilla che capita anche a me, e tu cosa fai in quei casi?, cosa prendi?, ma io mi faccio un numero x di canne e poi mi masturbo e a volte serve, mi sono masturbata già anche io, Tazio, ma non serve e le canne sai che non sono il mio genere, sei nuda? (risata) ma che nuda, ho il pigiama, e tu sei nudo?, se non voglio che mi arrestino no, ma dove sei?, in macchina parcheggiato, ma aspetti qualcuno allora cazzo, dai che chiudo, ma che qualcuno Lidia!, vengo da te, ti va?, sì che mi va, ma non volevo scombinarti i piani, no, ma quali piani, anzi, sarei proprio felice di stare un po’ con te, allora dai, ti aspetto.
Barbara devi andare affanculo stasera, mi spiace.

Il fatto

“Era a Luchino che piaceva violento e, ok, anche a me piace sentire male, ma non ci vado pazza come ci andava lui che una volta mi ha trafitto un capezzolo con un ago da siringa e a momenti viene facendolo, ma a me piace anche farlo dolcemente, rilassatamente, lentamente…” – e mi bacia morbidissima sulle labbra mentre io siedo sul Busnelli rosso col cazzo di fuori e lei lo cavalca lentissima essendosi tolta solo i pantaloncini del pigiamino.
Si inarca dolcissima in avanti, poi all’indietro, poi ancheggia a destra e sinistra, ma ogni movimento è fatto quasi impercettibilmente e ci cerchiamo le mani e ci baciamo, morbidi, parlando sottovoce come se qualcuno ci potesse sentire, Bill Evans che suona (è il mio paradiso e lei lo sa), la luce bassa di un pallone di plexyglass e specchietti di Patrizia Volpato designer.

Poi la maglina del pigiama passa sopra la testa e resta nuda. E io, per un attimo intensissimo la amo con tutto me stesso, drogato di tanta acerba bellezza così rara in una donna della sua età. La abbraccio e le carezzo la schiena calda, liscia, solcata da quelle ossa tentatrici che ne compongono la spina dorsale e voglio togliermi la camicia e sentirla e lei mi aiuta e restiamo nudi sul Busnelli, abbracciati morbidamente e rispettosamente, muovendoci appena, con qualche stilema sessualstilistico di grande potenza, come il suo arretrare appoggiando le mani alle mie ginocchia, un po’ per mostrarsi, un po’ per sentire meglio di dentro, nella carne, la mia carne.

Poi si richiude in avanti come una conchiglia fatata, inarcandosi e sussurrandomi all’orecchio che le piace come non le era mai piaciuto con me, che le piace così tanto da dimenticare tutte le volte che le è piaciuto da pazzi con un uomo e io respiro forte, baciandola, accarezzandole le braccia, correndo sui glutei tesissimi per seguirne le forme affascinanti.

“Ti piace il mio sedere?” chiede con orgogliosa felicità osservandosi le terga da sopra la spalla e io rispondo di sì baciandola e lei aggiunge appena appena di labiale “diventa bellissimo quando faccio l’amore così” ed è vero, è proprio vero, è molto vero, è stupendo. Poi sale e fa sgusciare l’uccello e se lo punta nel culo, scendendo lentissima, guidandolo con la mano, impiegando moltissimo tempo a farlo entrare tutto, mugolando elegante, sino a dire “mi brucia, ma guarda che bello…tutto dentro…non è bellissimo da vedere?...” ed io resto senza fiato mentre quell’ancheggiare di classe riprende con pari dolcezza e da allora è un continuo cambiare da davanti a dietro, da dietro a davanti, mentre avverto che la carne si fa rovente e molle e la abbraccio, stringendola, mentre ci baciamo garbatamente, seppure profondamente. Poi sale, lo fa scivolare fuori dal culo, si inginocchia tra le mie gambe e lo prende in bocca, succhiandolo lentamente e mormorando “tu ci vai pazzo per queste cose, vero?.... tu ti butti via per queste cose…” e poi risale, riassestandoselo con maggior agio nell’ano.

“Tu sei convinto che le porcherie che ti piacciono le sappiano fare solo certe vuote donne relitto… e ti butti via con loro… senza niente in cambio…sciogliendoti nelle loro pozzanghere torbide” – e affonda i colpi più decisa, stringendo l’ano ritmicamente.

“E’ una dichiarazione?...” - chiedo sorridendo per stemperare l’aria e rallentare la voglia di venirle nel culo e lei mi risponde pericolosa – “se non c’è altro modo per farti capire le cose, bisogna dichiarartele o…op….pure mettertele per iscritto…” – e spinge fonda fino a schiacciarmi forte i coglioni e quel dolorino è un bacio vellutato.
Silenzio.
Sudore.
Respiro.

“Da quant’è che non suoni più il piano di notte nei locali, da solo?” – mi chiede facendomi sentire come uno dei Favolosi Baker – “da una vita, da quando non ho più una donna che si bagna ascoltandomi, appoggiata al pianoforte…” – “io voglio bagnarmi, voglio bagnarmi la fica, le cosce, fino alle dita dei piedi, voglio che suoni per me, voglio venire in mezzo a tutti senza toccarmi, mentre suoni" – e questo mi piace, molto, mi piace molto, mi piace, mi piace, mi fa salire l’eccitazione a mille.

“Non ti buttare via Tazio. Sei un animale troppo speciale e se ti e….e….sstingu…i…” – “se mi estinguo?” – “vengo…. spingi….vieni con me…vienimi dentro….” – e tutto diventa furia, chiusi in un abbraccio mortale, le anche che si disarticolano, velocissimi, il canto, il suo, il mio, strettissimi, fusi, venendo, mischiando i liquidi corporali in un gesto di infinito amore, di quell’amore che parte da quel malinconico buco nero che tutti conoscete, così fondo e così dolce e così struggente e così inesistente, ma essenziale per essere vivi almeno tre minuti.

***

“Dormi qui stanotte” – mi chiede stesa, scomposta, nuda sul Busnelli accanto a me, carezzandomi il viso.
Le carezze sul viso. Leggere, avvolgenti, calde lisce, con quelle piccole manine profumate di sesso e di amore e io come un coglione piango con gli occhi chiusi, facendo di sì con la testa.

Nessuno commenta le mie lacrime.
Nessuno.
Né Bill Evans, né la Volpato, né Busnelli.
Una bocca calda e sottile le bacia, asciugandole.

“Ricomincerò a suonare da solo il piano in giro per locali, di notte” – le dico pianissimo – “E io ti troverò” – “Nuda sotto l’abito da sera?” – chiedo sorridendo a occhi chiusi – “Compleamente… voglio che tu mi veda le dita dei piedi bagnate…” – e mi bacia sorridendo calda.

E poi si va a dormire nudi, abbracciati.
E poi il gallo canta.
Ma nessuno mi tradisce.
Non oggi, almeno.
No, oggi no.

martedì 19 maggio 2015

Ah, la Raffa

Ah, la Raffa!
La spio da dietro alle imposte a gelosia dalle quali mi appare a righe la piazza maestra con lei operosa  che serve ai pochi tavoli pigri, vestita degli stessi shortissimi shorts di ieri e della stessa maglietta azzurra senza maniche di ieri e delle stesse nere infraditone dalla suolona grossa di ieri e io sono eroticamente nudo che spio, tormentandomi sensualmente il cazzo che scappello e incappello dilatando con la punta dell’unghia il buco del glande.

Ah, la Raffa!
Mi dimeno pensando di annusarle l’ano appiccicoso e sudato tra quelle muscolose natiche porno e di leccare quelle ascelle carnose che immagino, a mio uso e consumo, ruvide di peli in ricrescita e odorose di sudore di femmina ormonica e sporca, sentendo ben presto il freddo del muro sulla cappella, data l’elongazione erettile rapidissima della mia Règia Minchia Randagia, sulla quale campeggia ancora il rossore doloroso del piacevole morso donatomi ieri sera dalla mia commercialista cannibale e pervertita, ed il ruvido muro sul frenulo mi masturba senza grazia facendomi sentire troia e depravata.

Ah, la Raffa!
Godo suino delle immagini vere e di quelle della fantasia, pensando di fare la lotta cattiva con lei, mascolina e arrapante, che mi sopraffà fisicamente chiamandomi ‘schifosa troia frocia’ e premo il cazzo forte cosicché il ruvido del muro mi bruci di più, piacevole, eccitante, piccolo dolore stimolante che ben s’accoppia al pensiero di sodomizzarla senza pietà mentre mi succhia vorace il cazzo col buco del culo, così come ho insegnato ieri sera a quella deviata violenta ossessiva della Lidia urlante, schiaffeggiandole sonoramente le mammellette appuntite di voglia, arrossandole a dismisura e rendendole sensibili al soffio prima che al tatto.

Ah, la Raffa!
Prima avrei voluto dire alla Anto che, giacché era qui per lamentarsi di miei comportamenti, che si spogliasse e mi desse il culo pieno di merda per farselo chiavare e sturare a fondo, legittimando così il suo ruolo di lamentante, ma il rischio che me lo desse per davvero era troppo elevato, maledetta troia inespressa e repressa che fa della sua nullità una virtù, ma che se solo fosse una figa pari alla metà della odiata (odiata, ma tu pensa) Emy, la fica la spammerebbe via email per farsela chiavare dal mondo, puttana dimmerda.

Ah, la Raffa!
Che afrore sublime deve avere sotto quelle lunghe dita dei piedi sudate di gomma ed erotiche e, perché no, anche in mezzo alle lunghe e muscolose gambe da porca e mi fa buon gioco ritenere che, assieme a shorts, maglietta e flip flop, essa indossi anche le stesse mutande di ieri o ieri l’altro, inspessite di dolce muco bianco e umide tracce di urina odorosa e, al pensiero di queste delizie da veri intenditori raffinati, mi aggrappo saldo come un orango alla cornice della finestra e spingo sul muro, grugnendo rabbioso un orgasmo bestiale  prodotto col solo movimento del bacino.

Ah, la Raffa!
Come mi urge, come mi urge, come mi urge, come mi urge.
Come fare, come fare, come fare, mio Dio come fare.

Ah, la Raffa.
Già, proprio lei.