Devo, ovviamente, produrre tutta quella serie di circostanze che rendano
non imbarazzante per entrambi il chiederle di uscire, ma non sarà assolutamente
difficile, in quanto la dovrò rivedere per motivi di lavoro almeno un altro
paio di volte, di cui la prima sarà domattina, dove ritornerà portandomi un’offerta
economica modulata alle mie esigenze di direttore creativo moderno che vive il
suo tempo e la performàns.
Ho insospettabilmente fissato l’appuntamento per le undici e trenta,
dandomi così modo di farle fare un po’ di anticamera, attaccare con l’offerta e
la discussione e poi raggiungere a furia di chiacchiere mezzogiorno e mezzo
passato, momento in cui tac farò scattare l’invito a pranzo, una cosa veloce e
disimpegnata, ma utilissima a uscire dalla gabbia dell’argomento lavorativo.
Mi piace, mi piace, mi piace, mi piace il giochino dell’abboccamento,
mi piace costruire la chiavata da zero, a partire da elementi banali che sotto
la mia magistrale regia si trasformano in fertili occasioni ficcareccie.
Sempre che non me la dia buca a secco, perché vanto al mio attivo anche
dei sonori fanculoni, vedi la mai dimenticata Daniela dalle seducentissime dita
dei piedi.
Però sinché non ci si prova non si può sapere e per una che dice di no
ce ne sono settemila che dicono di sì e anche di sìììì sììììììììì
SIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII molto spesso.
Mi spiacerebbe che la Domitilla mi rispedisse al mittente, perché c’ha
tutto un insieme che mi mette l’agitazione inguinale e quella bocca, quelle
mani e, diciamocelo, un fior di culo che zitti tutti.
Chissà se la rasa o no. A vederla così una fighina prepubertà rasata a
zero non stonerebbe affatto.
E poi magari c’ha la nera Amazzonia selvaggia, chi lo sa.
Spero di essere io quello che lo sa, in tempi assai brevi.
Vualà.
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