Giaciamo su un fianco, quasi a penzoloni dal letto.
“Posso chiederti una cosa Giù?”
“Certo”
“Quest’estate, con la spagnola,
con me e il Costa, con i guardoni sul fiume, ti sei sentita forzata da me a
farlo? Lo hai fatto perché ti ho pressato psicologicamente?”
Rannicchia il braccio vicino al viso e ci pensa, mentre le accarezzo il
fianco.
Poi mi risponde.
“Se avessi dovuto scegliere io di
farle, quelle cose, non le avrei fatte mai. Mi hai fatto pressione, sì, è vero.
Però, devo dire col senno di poi, dovevo saltare il fosso per capire altre
cose. In fin dei conti io mi sono sempre definita come una “che non era capace”
e invece mi hai fatto capire che sono capace. E mi è servito per misurarmi su
cose serie. Scoprendo che lì dive vale, io sono capace.”
“Una terapia, quindi”
“In un certo senso”
“Ma allora non le rifaresti più?
La terapia ormai ti ha guarita non ne hai più bisogno”
Ride.
“Scemo. Ma sì che le rifarei, non
sono cose così importanti Tà! Nelle stesse condizioni, in un pomeriggio pigro,
con l’erbetta giusta, con te complice, perché non dovrei rifarle? E’ stato
piacevole eh. Mica uno sciroppo amaro.”
Non sono cose così importanti.
No, è vero.
Devo metabolizzare.
Nessun commento:
Posta un commento