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giovedì 15 dicembre 2011

La plafoniera a collo alto


Tu, Domi.
Mi parli di un problema con una luce nel bagno che non riesci a montare e siamo in cucina e io mi stappo una birra e ti ascolto e ti dico che, se vuoi, ti posso aiutare, ma tu sorridi e ipercinetica mi fai segno di no a due mani, perché me la vuoi mostrare finita, perché “te la voglio mostrare quand’è pronta” e io lo so che le parole hanno un senso, ma io traslo e rivoluziono e ti guardo con l’udito in pausa e sei bellissima, con il maglione a collo alto, blu, della Stone Island e i jeans e le Nike coi calzini fantasmini che vieni qui diretta dalla piscina e, dopo un secondo netto, indossi sempre il maglione della Stone Island, ma sotto non hai più niente e sei stesa sulla tavola della cucina, con le gambe aperte e i talloni appoggiati sul bordo, che ti sei tolta lo smalto rosso e non hai niente e hai delle unghie che mi fanno svenire dalla sensualità che mi trasmettono e vederti così, ginecologica, mi fa impazzire e allora prendo la sedia, mi siedo e mi allungo, schiudendoti la farfallina nuda per infilarci dentro il naso e inspirare profondissimo, rumoroso, per poi espirare a bocca aperta con una “a” afona, alitando sul perineo e sull’ano, che è lì, stupendo, tra le tue natiche bianche e tu mormori “od…..ddddddio…” e hai un odore lì dentro, Domi, un odore di femmina calda che mi stordisce.

Te la guardo come se tu non ci fossi, bella, rosa, lucida, carnosa, la apro delicatissimo e osservo l’ammiccante buchino dell’uretra e il clitoride, che ti si gonfia, perché ti eccita che ti ispezioni e ti annusi infilando il mio naso nel buco che diviene morbido e occhieggia mostrando le tenebre della meravigliosa cavernetta calda che si apre dietro di lui. Annuso profondo il profumo acidulo e dolce, profumo di ormoni, di sesso, di intimità animale. Stai stesa, col busto sollevato dall’appoggio sui gomiti, perché vuoi vedere cosa ti faccio, vuoi vedere il mio naso che scompare nella tua spacchetta esposta così, quasi in maniera medico-scientifica, io sono Tazio l’Odorologo e tu Domi la Rossa Odorosa.  Il tuo bocciolo segreto profuma di donna e io devo, assolutamente devo, nutrire il mio sistema nervoso centrale, ed anche un po’ quello periferico, di questo nettare ferormonico, osservandoti oscena e scomposta mentre mi offri la fessura, senza se e senza ma, perché sai di odorare di figa e sai che io non posso resistere dall’annusarti, profondo, ventilando nei polmoni l’aria salmastra che proviene da quella valle divina circondata da stropicciate montagne più scure, seducenti bargigli del sesso che si schiudono mostrando il paradiso terrestre.

Poi osservo le tue dita dei piedi che, arricciandosi verso il basso, si separano ed è puro sesso misterioso da leccare nel mezzo, dove la carne è più liscia e più tenera e questa vista soave mi spinge a sbottonarmi e a cominciare una strangola tura alternata, un tributo sommesso, mentre annuso ancora e tu mormori il nome di dio lentamente ed io indugio prima di leccartela, perché la mia saliva e i tuoi umori assumerebbero subito un altro odore e sapore e io, invece, voglio il tuo distillato, la tua primitiva essenza odorosa, intatta, mutevole, intensificata progressivamente dall’eccitazione crescente per la situazione intima e annuso masturbandomi, godendo del tuo odore e te lo dico e mormori e ti guardo e mi guardi, poi scoppi e non tieni e mi bisbigli lenta, gutturale anche per la posizione, mi intimi, mi imponi, mi rendi partecipe di un’esigenza incontenibile e bisbigli, superando qualsiasi barriera di timidezza e carattere, bisbigli “…leccamela….ti supplico….” ed io eseguo,mia Regina, mia Sovrana, mia Principessa e lecco vorace, mentre sotto il tavolo mi do piacere, lecco e succhio e ti contorci, ti accarezzo i piedi e lecco, lecco, lecco dentro, lecco fuori, lecco tutto, perineo, ano, natiche, cosce, inguini, clitoride, pube, lecco e mi masturbo e tu respiri forte e ti contorci e poi, agile e pulita, stacchi i talloni dal bordo del tavolo, sollevi le gambe e le ruoti, le pieghi, sino a che le ginocchia ti schiacciano i seni e poi le mani lasciano il bordo del tavolo e scivolano eleganti accanto ai tesori di carne che esponi e dilati, tiri, spalanchi ed offri, offri tutto alla mia lingua ed io ne approfitto leccando piatto, lento, umido, assaporando, godendo sotto il tavolo annusandoti il fiorellino minuto che in quella posizione si schiude e amo le note amare e le vene dolci di profumo vietato, osceno, che però anche tu hai ed io, per fuggevoli attimi intensissimi, ho la fortuna di cogliere come la più matura e proibita delle more del rovo e te la lecco, quella mora odorosa, dandomi piacere veloce, risalendo la valle sino al picco laggiù, succhiando, mentre abbandoni le gambe sul tavolo e ti inarchi, sbattendo la schiena, tenendoti per i bordi, ringhiando l’orgasmo rabbioso e io lecco e succhio, sentendo tra le dita la colata del mio piacere isolato, perché era giusto, mia Regina, che venissi senza curarti del mio piacere, perché il mio piacere è vederti così, scomposta, oscena, gaudente e spettinata, stella di meravigliosa bellezza.
Tu, Domi.

Respiri affannosi, silenzio, riposo, ti siedi sul bordo e mi guardi, rossa in viso. Con la punta del piede premi il mio pene ancora gonfio e imbrattato di seme e sorridi.
Inspiro profondamente, raccolgo le forze.
“Insomma, se vuoi io ti aiuto a montarla quella plafoniera”
“Grazie, mi arrangio, vedrai che ci riesco” ed il tuo piede nudo che preme sul mio pene è estasi pura.

Tu, Domi.

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