“Dove andiamo a mangiare?” mi
urli dal cesso di servizio che sei lì che smazzi con gli elettrodomestici
turbo.
Ti raggiungo e ti palpo da dietro e guardiamo assieme nello specchio
l’immagine splendida di noi nudi e ti strizzo le mammellette di marmo e ti
annuso e ti dico di non lavarti e mi dici che sono fuori di senno che “la puzza di figa mi si sente ad un miglio”
e io adoro quando mi parli in bretone, con quell’accento così blasè.
“Ho voglia di frittura” mi
dici con l’aria della zoccola gravida riarsa da diecimila voglie carnali.
“E frittura sia, ma ti voglio
introiata da urlo” e mi dici va bene con tutti quei bei denti bianchissimi.
“Troiona ruspante o troiona
sofista?” mi chiedi, esibendo perizia circostanziata.
“Troiona a tua scelta” ti
rispondo mentre lo sfregamento della minchia sulle tue chiappe galattiche
comincia a produrre turgori che inducono la saudade do Sodoma.
“Allora mi sbrigo, che devo
passare per casa” mi dici mentre la cappella gode dello spacco del tuo culo
bollente.
“Ho voglia di troncartelo in culo”
ti mormoro sozzo in un bretone incerto.
“Avrai tutto il tempo” mi
soffi con un bacio.
Poi mi cacci dal cesso. Non c’è tempo da perdere. Ciascuno a casa a
prendere i panni, che la fame di ogni cosa è ben seria.
E allora partiamo.
Via.
A domani.
A domani.
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