Bon jour.
E’ mercoledì e fa un freddo siberiano. Alle ore 6:15 il termometro sul
mio lurido terrazzino segnava -11°C.
E’ freddissimo anche dentro, perché il termo di questo buco di merda
attacca alle 7:00.
A parte questa ventata di positività del risveglio, oggi mi sono fatto
assalire da dei pensieri strani.
Sto chiavando come un porco drogato.
Non faccio altro, ad eccezione di qualche fortunato sprazzo in cui ho
pure il culo di portare a casa in scioltezza dei risultati che lasciano
intendere agli altri che sono al pezzo.
E invece è solo culo.
Perché l’unico impegno che diffondo è quello di trovare buchi caldi e
umidi in cui infilare il cazzo.
Ed ho la sensazione di essere planato in un mondo, quello della pale
della Ale, che fiorisce di mille tardone in ottima forma fisica che hanno la
mia stessa fissazione. Chiavare.
Ieri sera ho cenato e dopo cenato con la Ines. Che è una donna
interessante, lasciando stare il sesso. Mio malgrado mi ha parlato di sè. Io sono un signore e l'ho ascoltata, raccontando di me cazzate, quando mi è stato richiesto di farlo.
La Ines è plasmata attorno al comun denominatore di tutti: un matrimonio
fallito dopo dieci anni, un lutto lacerante immediatamente a ruota, la
depressione, un’amica che dopo molto tempo e molti sforzi l’ha convinta a uscire
dal suo antro buio, la scoperta che il sesso sfrenato e facile, l’alcol e a
volte un po’ di droga aiutano ad anestetizzare la bestia.
La Ines parla correttamente inglese, tedesco e francese, perché prima,
quando era sposata con quell’uomo lavorava nella grandissima fabbrica là. Poi
se ne è andata di suo, per seguire gli ultimi giorni di sua madre e adesso
lavora come impiegata in una struttura para pubblica del cazzo, dove fa un
lavoro del cazzo e prende uno stipendio
del cazzo.
Ma la casa ce l’ha, l'ha ereditata dalla mamma, debiti grazie a dio no, ha una Citroen Saxo del
Paleolitico e dice di essere fortunata.
Che è un’oggettività assoluta. Anche se fortunato non coincide con
felice, ma questa è un’altra storia.
Relitti.
Siamo pezzi marci di fasciame di una nave di legno che si è schiantata
sugli scogli e galleggiamo nei paraggi. Ogni tanto ci urtiamo gli uni contro
gli altri e va bene così, perché l’urto temporaneo lenisce il dolore della nave
perduta e ci fa capire che ci sono destini comuni, va benissimo così.
L’unico errore da non commettere mai è credere che due pezzi marci di
fasciame, unendosi, possano costruire una barca.
Quello no.
Per quello ci vuole legno nuovo che non abbia la memoria del naufragio.
Per cui, galleggiamo senza distrazioni, su.
Uno dei post più belli e più veri che abbia mai letto. Standing ovation.
RispondiEliminaPoesia pura !
RispondiEliminaMaZ
Galleggiare in eterno non si è mai visto però!
RispondiEliminaPrima o poi si spiaggia, a prescindere.
Fondamentale non sulla stessa riva.
k