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lunedì 12 marzo 2012

I privilegi della Regina Rossa


Sono tornato a casa alle diciassette e trenta. Oh sì. Mi sono spogliato, ho indossato la felpa nera col cappuccio da black block, l’accappatoio color corallo e le infradito. Libertà genitale e anale. Le migliori.
Ho sorseggiato del caffè solubile guardando dalla finestra l’arrossarsi del tramonto.
Pace, cazzo. Mi voleva. In fin dei conti oggi sono stato bravo. Mi meritavo dei privilegi.

Ho una certa fame, devo dire la verità. Facevo prima il conteggio e da venerdì sera ho all’attivo: un rigatone al ragù dalla Solita (venerdì sera pre infame Flamingo), una quiche lorraine al Centrale sabato a mezzogiorno, quel che è restato (cioè zero) della frittatina e delle bruschettine non vomitate tra i cassonetti sabato sera, un bel digiuno totale ieri e una brioche stamattina. Devo mangiare stasera, non c’è storia.
Andrò all’Osteria Quellanuova. Sì.

Il Costa oggi aveva voglia di parlarmi, l’ho visto, ma la mia faccia lo ha dissuaso. Molto bene. Non ho cazzi di condividere con nessuno la mia tromba nera. Tromba nera resa ancor più nera dalla chiacchierata con la Giogia, che mi ha rivelato le proposte che aveva fatto a suo tempo a N e che questi ha stolidamente cassato a ottuso e presuntuoso titolo personale, non avvisandomi di alcunché. L’ho licenziato sempre un minuto in ritardo. Le idee sono buone, voglio che ci lavoriamo. L’algida Giogia è una ragazza con la testa sulle spalle. E il fatto che sia algida mi fa sentire a mio perfetto agio, di questi tempi.

Non ho idea se la Marisa sia morta. Non vedo nessun segno di vita da tempo. Applico la regola magica e concludo dicendo che non me ne frega un cazzo. Sono esterrefatto dall’efficienza ed efficacia di questa regola magica. Sta con tutto. E semplifica in una maniera ingegneristica. Anche il più impervio viottolo di campagna diventa un’autostrada a sei corsie. Magnifico.

Conto i morti sul campo: Aledellapale, Ade, Ines, Giuliana. Queste sono morte per certo. In una sala di rianimazione in coma farmacologico, ma che potrebbe dare sgradite uscite, si trova la Giulia. In crioconservazione c’è poi la Nica. Potrebbe scongelarsi? Sarebbe la prima volta, perché la Nica come la metti sta. Non la chiami? Non ti chiama. La chiami? Ti risponde, anche dopo un anno che non la chiami, come se ti avesse sentito la sera prima. Sono gli effetti della crioconservazione: assenza di volume temporale. E poi ho anche il sospetto che la Nica sia un’adepta della setta del non me ne frega un cazzo. Tutto lascia pensare a questo.
Quindi non rimane che da attrezzarsi per un eventuale risveglio dal coma della Giulia, ma credo sarà sufficientemente facile gestire l’evento.

All’improvviso, mentre meditavo su questi fatti guardando fuori dalla finestra, calato nei confortevoli privilegi di cui giustamente godo, ho avvertito lo scappellarsi del cazzo. E’ un piacevole riflesso agli spifferi d’aria provenienti dallo stipite ancestrale, che si infrattano sotto l’accappatoio, raggiungendo le mie sublimi gonadi odorose di maschio fertile. E mentre mi auto seducevo dell’autonomo sgusciare del glande al di fuori del prepuzio, ho realizzato di avere la necessità di un orgasmo non autarchico, ma assolutamente commerciale e regolato.

Per cui, questa sera, Osteria Quellanuova e poi a troie. Ma non voglio mica dei numeri da circo equestre eh.
No, no. Al massimo uno di quei pompini estenuanti da interminabile film porno, ma solo se la puttana succhia particolarmente bene. E perché succhi in maniera irraggiungibile deve essere un Regina d’Africa. Viceversa, ritengo più che opportuna una sega. Ben fatta. Senza clamori. Tutti e due nudi, pelle sulla pelle, mano agguantante e nessuna cura del di lei piacere. Non me ne frega più un cazzo di far godere le puttane. So che se voglio posso, fine. La puttana sarà l’estensione della mia mano, mentre io attingo a nuovi privilegi, soddisfacendo la fisiologia genitale al pari di quella renale o intestinale.

Questo voglio.
Ed è inutile che torni a dirvi il perché.

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