“Cazzo… c’hai fatto un rave
giamaicano qui dentro?” mi chiede ridendo e annusando l’aria.
Mi schianto sul divano, sono provatissimo.
Lei abbandona le slingback peeptoe ottanio accanto al divano, accanto
al cappotto e si fionda in cucina a prepararmi del tè.
“Maledette scarpe…” mormora
divaricando le ditina dei piedi.
Mi assopisco e vengo svegliato dal profumo del tè.
Bevo, seduto, e lei siede, all’indiana, di fianco a me.
“Cosa ti succede Taz?”
“Chiara grazie, sei stata un
angelo, ma ora se vuoi tornare dai tuoi amici io non ho che da stendermi”
“Non ti preoccupare di me, ho già
avvisato, non pensare a me, ma dimmi che cazzo ti prende”
Ecco. La crocerossina che emerge, io non sopporto le crocerossine,
lasciami qui, lascia che la malattia faccia il suo corso, sei convinta solo tu
che io abbia voglia di guarire e bisogno di guarire.
Però non c’è scampo.
“Hai i piedi freddi” dico
prendendole le dita.
“Sono quelle merde di scarpe e
questa moda di merda”
“Dio benedica la moda di merda!”
E troviamo uno scampolo per ridere.
Sorseggio.
Mi abbraccia la schiena appoggiando la testa sulla mia scapola.
Mormora.
“Che cazzo ti succede Taz?”
“Niente. Raccontami di te.”
Milano, le agenzie, periodo di merda, agenzia indipendente, proposta
che speriamo, su e giù, parla calma, da dietro, da dietro la mia schiena,
abbarbicata come un koala. Sorseggio e osservo il fondo della tazza e leggo una
piccola iscrizione che non avevo mai notato prima. E’ scritta in corsivo
inglese, probabilmente un Garamond. Aguzzo la vista, sono certo, sì.
C’è scritto “Non me ne frega un
cazzo”.
Un po’ mi spiace, ma non ci si può fare nulla, c’è proprio scritto
così.
Ma rimango sempre un signore e la lascio parlare.
“E a te come gira?”
“Immeritatamente bene. Non riesco
a fare entrare nulla in più sino a ottobre”
“Sono contenta, Taz, sai? Perché
te lo meriti eccome, invece” mi dice, sempre da dietro, aggiustandomi i
capelli sulla nuca. Detesto questo atteggiamento da donna mamma. Lo detesto.
Sono così straordinariamente meritevole, sotto tutti i punti di vista, che guarda
in che stato di grazia sono.
Sento di essere affetto dalla sindrome del criceto. Corro, corro,
corro, corro, corro, corro, corro, ma sono sulla ruota e mi sfianco come una
bestia per rimanere sempre nello stesso identico punto.
“E’ stata una bella vacanza”
le dico dopo una lunga pausa.
Non risponde.
Continua a sistemarmi i capelli sulla nuca. Dovevano essere messi
davvero male.
“Bellissima” sussurra abbracciandomi
da dietro.
E io corro, corro, corro, corro, corro, corro.
Rimanendo fermo.
Anche stasera.
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