Autarchico impugno, mentre scrivo il riassunto terapeutico del peggio
del peggio di me.
Mi scappello solerte e comincio a strozzare, pensando ai suoi piedi,
ricordo recente, aggiungendo flashback sempre attuali e importanti: le palpate
in bottega da N, la chiavata sublime sul lavandino del cesso e poi piedi,
infradito, mare, tette, costumi, pelo e sudore e calore e nudità e che archi plantari, ed in questo
arabesco di stimoli elettrici affronto la sega con la valenza che ha: vettore
immediato verso l’orgasmo lenitivo, smettendo finalmente di erigerla e
consolidarla a pratica di pari dignità della copula.
Strozzo e scappello e incappello e scappello velocissimo pensando la
Squinzy su quei tacchi pazzeschi, nuda che si lecca le labbra muovendo il
bacino e la pezza di pelo, finalizzare, finalizzare, finalizzare, questa è fisiologia,
al pari della cacca e della pipì, non c’è romanticismo né altri scopi che
menarlo velocemente perché lo schizzo mi inondi la pancia, liberandomi dal
male, nei secoli dei secoli, amen.
Le ditina, il culetto, il Mehari e la piazza, la mamma puttana che mi
guarda il pacco, ma torniamo alla Squinzy e al suo culo e a quando, di
soppiatto, sollevò la gonna mostrandomi il pelo, controllando divertita e sozza
se qualcuno giungesse a tanarci.
E vengo.
Tremando.
Sussultando.
Ottimo.
E’ tutto finito.
Nessun effetto collaterale, il Capo di Buona Speranza è doppiato,
nessun danno alle navi, la navigazione prosegue senza urgenze dannose.
E’ domenica, bonjour.
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