Affronto la tratta. Parto deciso, disinvolto, mi accingo ad
attraversare la piazza. Non facilissimo, ma ce la posso fare. Poi tic---toc,
tic---toc, tic--toc, tic-toc, tic-toc, tictoc, tictoc, toc, toc, “Tazio” dice l’affannata voce femminile.
Mi volto. Vertigini peeptoe slingback color ottanio, jeans, cappottino sette
ottavi, nero con cintura in vita, taglio trench coat, fascia nera sulla testa,
palla riccia afro.
La Squinzy. Quando la fortuna ti prende eh.
“Ciao” dico.
“Ciao” mi dice preoccupata “stai
bene?”.
“Mai stato meglio. Tu?”
“Bene sì, ma dove stai andando?”
“A casa”
“Ti accompagno io, dai, prendimi
sotto braccio, appoggiati”
Quando pensi di aver toccato il fondo, scorgerai una pala. Quello
significherà che dovrai metterti a scavare.
Per un attimo considero che questa umiliazione mi piace. E comincio a
muovere le gambe. E lei mi regge.
“Quanti anni hai adesso, Chiara?”
“Ventiquattro Taz”
“Minchia è passata una vita. Sei
alta.” e lei sorride “Sono questi tacchi infernali”
“Scusa possiamo accostare a quei
cassonetti laggiù?”
“Ti senti male?”
“Direi di sì”
L’istinto materno è una cosa stupenda e commovente.
Mi cimento nell’imitazione del grido del facocero africano, sparando un
cilindro di Chardo, frittatine e bruschettine tra i due cassonetti, mentre la
Chiaretta mi regge la fronte. Anche la mia mamma faceva sempre così. Mano calda
e liscia, che paradiso.
Sboccare tra i cassonetti è uno scaltro artifizio. Alla tua nausea si
aggiunge il tanfo dell’immondizia che ti rivolta totalmente lo stomaco, facendo
sì che alla fine tu sia proprio completamente vuoto.
Mi siedo sulla soglia del negozio di scarpe, mentre la Squinzy
accosciata mi tiene le mani chiedendomi se voglio dell’acqua. Quella posizione
è assai sexy devo ammetterlo. Ma per rispondere alla domanda, no, ora posso
farcela ad arrivare a casa, grazie.
“Ti accompagno lo stesso”
E con riacquistata dignità cammino, sforzandomi di smaltire.
E smaltisco un bel po’.
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