Se avessi un figlio lo chiamerei Morfeo, per un senso di gratitudine
infinita al dio del sonno.
Alle tredici, dopo un acceso dibattito con le mie sedici personalità,
avevo deciso di far rotta verso il Centrale, per un boccone volante, a dispetto
di tutti i loro contrastanti pareri.
Dopo la doccia avevo deciso di appoggiare la testa sul cuscino, giusto
per un piccolo relax prima della navigazione.
E quando ho riaperto gli occhi era buio.
C’era il lampione dalla strada che illuminava la stanza.
Ventuno e dodici.
Il parlàfono invece non è riuscito a riposare in pace, no.
Squinzy tre volte, poi messaggino.
“Forse dormi ma quando 6 up msgmi
qls ora”
Ade, una volta e un messaggino.
“9 sn su mi se vuoi ci ved kiama”
Costa una volta e un messaggino.
“Amica susy. Stas roba da me kiam”
Dialetti klingoniani, sono giù di mano.
La domenica è sfangata, sono entusiasta.
Domani è lunedì, finalmente.
Insopportabile ‘sto weekend.
Indugio sotto le coperte, guardando fuori la porzione di cielo di
pertinenza. Mi piace avere la felpa sopra e stare nudo sotto. Mi fa sentire
sexy. Una volta in primavera, a ventidue o ventitre anni, la mamma venne a
portarmi il caffè per svegliarmi dopo un intero pomeriggio di sonno esausto. Si
sedette in pizzo al letto, nella penombra e io la abbracciai forte. Ci facemmo
le coccole stringendoci e dandoci i bacini e mi diventò duro. Lei me lo guardò
con un gran sorriso e mi disse “Ti ho
fatto proprio un gran bel pupazzone” e ridemmo ed io ero eccitatissimo. Mi
piace raccontarmi che lo fosse anche lei, ma forse è meglio che non me lo
racconti, perché se lo fosse stata e non avessimo fatto l’amore, sarebbe stato il
delitto più crudele e insensato della mia vita.
Sto bene qui sotto.
Decido che non rispondo a nessuno.
Il motivo è sempre quello. Versatile, elegante, definitivo.
Non me ne frega un cazzo.
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