Ore 6:12.
Piove e tira vento. E’ ancora buio. Sorseggio un caffè americano
delizioso in una cucina stupenda di un appartamento stupendo che meriterebbe un
post da solo. La Ade ha avuto un gusto straordinario a scegliere l’architetto
dai gusti straordinari e competenti che ha sistemato e arredato questo posto.
Lei è partita da dieci minuti. Figa da urlare. Non so dove sia andata.
“Devo fare cose. Torno verso le
sette stasera e si cena al Tennisclebb, va bene Cicci?”
Cazzo sì che va bene.
Quando l’ho vista arrivare dal terminal mi si è fermato il cuore. Ma
quale Hollywood, ma quali attrici. Runner Nike nere alte indossate a pelle
senza calze, tutina culea nera indossata a pelle (ah! La tutina culea e basta!),
felpa bianca da rapper col cappuccio e piumino lucido viola scuro. Trolley.
Occhiali da sole incastonati nel cranio. Cuffiette del telefono che penzolano.
Madonna del Carmine, se è figa.
Alle undici e mezzo eravamo al paesello, all’Osteria Quellanuova, a
mangiare cosette. La Ade mi ha raccontato di tutto, ma io mi sono imposto la
mia nuova linea di uditore: non me ne frega un cazzo delle Topoloniadi, a me mi
frega solo di lei. E così, a mezzanotte e mezza passata, ci siamo accoppiati nel
suo lussuosissimo appartamento di design puro. Abbiamo copulato, l’ho montata, ed
è stata una liberazione psicologica, per me. Corpo noto, eresie note, blasfemie
note, gusti noti. Casa. Famiglia. Calore. Seppur veloce, seppur un assaggio,
una promessa, uno start, una pennellata.
Piove e tira vento, è lunedì, ma io sono contento.
Tra poco frugherò tra la sua biancheria sporca e la sporcherò di più.
Posso essere me stesso, finalmente. Senza spiegazioni, sdoganamenti,
arrangiamenti e patti.
Non devo giustificare Tazio, qui.
Qui no. Qui è quel Tazio che si vuole. Ed eccomi.
Sento le sinapsi che si rilassano.
La Ade è tornata.
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