Sorseggio la broda, qui nel fetido Miramonti che stamattina medito
seriamente di abbandonare. Forse si impone una scelta di vita, a questo punto
della vita. Questo posto, alla fine, rappresenta il purgatorio ed io credo di
aver purgato già abbastanza. E’ ora di tornare all’inferno oppure andare in
paradiso. Fermo restando che quest’ultimo non esiste, tanto vale tornare nel
primo. Ma con la dignità del peccatore volontario, non del coinvolto dal
peccato. Perché c’è modo e modo di essere dei dannati, sì.
Trovo che sia molto metrosexual
bramare di avere una casa propria, arredata come lo si desidera da due
millenni, con quei dettagli che sono sempre piaciuti. D’altronde io agisco
anche sotto l’impulso di una componente omosessuale importante, va detto. Va
detto anche che, ad esclusione di questa componente, la mia metrosessualità sta
totalmente a zero. Anche in questo non primeggio, anche in questo non mi
omologo totalmente. Un tempo si usava il termine melange per definire un’identità, specie sessuale, non definita
nettamente né in senso etero, né in senso omo, ma spaziante all’estremo tra i
due estremi. Più di bisex, meno di gay. Poi il termine è diventato demodè ed io, forse proprio per quello,
mi sento terribilmente melange.
Comprendendo così l’irresistibile impulso di vestirmi da donna, talvolta. Con
la coscienza di essere devastantemente sexy sia per le donne, sia per gli
uomini.
Bella digressione eh? Sono un maestro nelle digressioni e anche nelle
dotte prolusioni, ma anche dei brillanti preamboli. Sta di fatto che
abbandonare il Miramonti significa lasciare il certo per l’incerto. Chi mi
garantisce che domattina il Ruggi non mi sventoli davanti al naso una proposta
irrinunciabile di acquisto e mi preghi di accomodarmi alla cassa senza passare
dal via? Nessuno, non c’ho nemmeno uno straccio di contratto di locazione,
nulla. Affiderei ancora una volta la mia vita ad un essere che toglierebbe
dalla bocca della madre la dentiera per venderla al mercatino dell’usato. Per
cui ci vuole calma.
Poi c’è quella casa di campagna bellissima coi mattoni faccia a vista,
antichi, che c’avrà centocinquant’anni, da ristrutturare di fondo. La vendono,
mi dice la Skizza. Che suo padre ci aveva fatto un pensierino già l’anno
scorso, ma poi ha concluso dicendo che
lui oramai vive a Shangai (checcoglioni) e sarebbe un investimento del menga. E’
talmente grande che potrei addirittura pensare di piantarci la bottega dentro e
riservarmi di vivere nell’annesso ristrutturato, accanto al corpo di fabbrica
principale. Casa e bottega. Ma con piscina, che lì dello spazio ce n’è per un
reggimento. Una situazione aulico-bucolica con tratti rupestri. Potrei vendere
la bottega e coi soldi che tiro più un bel mutuo corposo fare il salto della
quaglia.
Ma ne vale la pena?
Bevo la broda, fuori piove, mi tira un pochetto il cazzo.
Se ci fosse ancora la Marisa, di là, le farei vedere come vengo.
Ma anche la Marisa ha lasciato il Miramonti e le finestre sono chiuse
per sempre.
Avrà purgato anche lei la sua quota.
Così va.
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