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martedì 24 aprile 2012

Abitare purgati


Sorseggio la broda, qui nel fetido Miramonti che stamattina medito seriamente di abbandonare. Forse si impone una scelta di vita, a questo punto della vita. Questo posto, alla fine, rappresenta il purgatorio ed io credo di aver purgato già abbastanza. E’ ora di tornare all’inferno oppure andare in paradiso. Fermo restando che quest’ultimo non esiste, tanto vale tornare nel primo. Ma con la dignità del peccatore volontario, non del coinvolto dal peccato. Perché c’è modo e modo di essere dei dannati, sì.

Trovo che sia molto metrosexual bramare di avere una casa propria, arredata come lo si desidera da due millenni, con quei dettagli che sono sempre piaciuti. D’altronde io agisco anche sotto l’impulso di una componente omosessuale importante, va detto. Va detto anche che, ad esclusione di questa componente, la mia metrosessualità sta totalmente a zero. Anche in questo non primeggio, anche in questo non mi omologo totalmente. Un tempo si usava il termine melange per definire un’identità, specie sessuale, non definita nettamente né in senso etero, né in senso omo, ma spaziante all’estremo tra i due estremi. Più di bisex, meno di gay. Poi il termine è diventato demodè ed io, forse proprio per quello, mi sento terribilmente melange. Comprendendo così l’irresistibile impulso di vestirmi da donna, talvolta. Con la coscienza di essere devastantemente sexy sia per le donne, sia per gli uomini.

Bella digressione eh? Sono un maestro nelle digressioni e anche nelle dotte prolusioni, ma anche dei brillanti preamboli. Sta di fatto che abbandonare il Miramonti significa lasciare il certo per l’incerto. Chi mi garantisce che domattina il Ruggi non mi sventoli davanti al naso una proposta irrinunciabile di acquisto e mi preghi di accomodarmi alla cassa senza passare dal via? Nessuno, non c’ho nemmeno uno straccio di contratto di locazione, nulla. Affiderei ancora una volta la mia vita ad un essere che toglierebbe dalla bocca della madre la dentiera per venderla al mercatino dell’usato. Per cui ci vuole calma.

Poi c’è quella casa di campagna bellissima coi mattoni faccia a vista, antichi, che c’avrà centocinquant’anni, da ristrutturare di fondo. La vendono, mi dice la Skizza. Che suo padre ci aveva fatto un pensierino già l’anno scorso, ma poi ha concluso dicendo  che lui oramai vive a Shangai (checcoglioni) e sarebbe un investimento del menga. E’ talmente grande che potrei addirittura pensare di piantarci la bottega dentro e riservarmi di vivere nell’annesso ristrutturato, accanto al corpo di fabbrica principale. Casa e bottega. Ma con piscina, che lì dello spazio ce n’è per un reggimento. Una situazione aulico-bucolica con tratti rupestri. Potrei vendere la bottega e coi soldi che tiro più un bel mutuo corposo fare il salto della quaglia.
Ma ne vale la pena?

Bevo la broda, fuori piove, mi tira un pochetto il cazzo.
Se ci fosse ancora la Marisa, di là, le farei vedere come vengo.
Ma anche la Marisa ha lasciato il Miramonti e le finestre sono chiuse per sempre.
Avrà purgato anche lei la sua quota.
Così va.

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