E’, in un certo senso, rassicurante constatare che, di mille sozzi
piani che avevo impalcato per il venerdì sera, non ne è andato in porto nemmeno
uno e che siamo rimasti a casa, saltando la cena e ogni cosa, chiavando come gli
asini sino alle due del mattino di sabato. Potremmo chiamarla viscerale
reciproca necessità, volendo.
Ma potremmo anche non chiamarla affatto e ricordarla come la più dolce
e lurida delle notti di sesso.
Spaghetti aglio e olio alle due e mezzo, distrutti, puzzolenti, osceni,
discinti, degradati, umani.
“Ti inculerei nei cessi di un
autogrill pieno di camionisti” le mormoro con la bocca piena di cracker,
sfregandole il cazzo sul culo nudo mentre pela lo spiccio di aglio. “Con addosso la mia mini da porca senza
mutande…” aggiunge con un sorriso, baciandomi all’indietro.
Cuociamo e saltiamo quei quattro etti di pasta, perché anche mangiare
come maiali è sesso divino.
“Speriamo non piova, domani”
mi dice masticando la pasta con le mascelle gonfie come un criceto.
“Non dovrebbe” aggiungo
mentre rollo il meteo sul parlàfono.
“Dobbiamo fare un po’ di spesa,
domattina” aggiungo pensando all’ideuzza che avevo, ma la beatitudine me la
rende noiosa da esporre a quest’ora.
E poi dormiamo.
Sino a tardi, tardissimo.
Ci svegliamo col sole e lei è felice. Colazione al bar tra vecchi
ciarlieri e spose sensuali.
“Ti va se invito l’Umbe per un
caffè dopo pranzo?” le chiedo menando il carrello nella ressa paesana,
guardandola con lo sguardo sornione di chi sottende e non dichiara. Sortisco un
sorriso.
“Certo, ma mentre voi
chiacchierate posso prendere il sole?” guardandomi con l’aria sorniona di
chi sottende e non dichiara. Sortisce un mio sorriso.
Mangiamo il pollo allo spiedo acquistato e non le dò indicazioni.
Carta bianca.
Voglio divertirmi.
Telefono all’Umbe.
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