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lunedì 28 novembre 2011

Domenica al parco


Anche con la Ade sono successi dei sabati sera simili a quello appena trascorso con la Tanya. Cioè sono successi sabati da gatto-non-c’è e la pantegana in calore ballava di brutto, sì, niente di eclatante, sono cose che possono succedere, ma con la Ade mi sono sempre molto divertito, mentre con la Tanya, ragionando col senno di poi, non c’ho provato particolare gusto.

Non so il perché, forse perché in questo cadente appartamentino popolare si è inscenato l’ennesimo atto della commedia
della disonestà. Forse perché la disonestà è stata dichiarata senza tanti giri di parole, quasi ostentata come atto di furbizia o presentata come ingrediente base di un meraviglioso mondo senza regole in cui ci si diverte assai di più che nel mondo in chiaro, quello visibile.

Ho pranzato da solo, a casa. Formaggio e RAI news, il mio menu preferito. Poi alle due mi ha chiamato la Domi. E mi ha fatto gran piacere. Abbiamo chiacchierato, poi mi ha chiesto se mi andavano due passi nel grande parco che c’è nella sua Urbanopoli. E io ho detto di sì.
Mi piace il parco di domenica, d’inverno, col sole. C’è la gente che domani andrà a lavorare in posti infelici, oppure anche felici, ma che rende la domenica un giorno prezioso, rilassante, fatto di niente, ma un niente bello, che magari precede una pizza da asporto a casa, o un film e da domani si riattacca.

Al parco, di domenica, d’inverno, ci si veste casual, ci si veste free, riportando in ogni parco quel sapore americano che ha Il Parco per antonomasia, per tradizione, per leggenda: Central Park.
Con la Domi passeggiamo a lungo, parlando di niente.
Intabarrati come due inuit. Quel parco è bellissimo, mi è sempre piaciuto un sacco.
Anche la Domi mi piace un sacco. E per questo rimango al mio posto, bravo, corretto, controllato.
E rimanere così mi dà una grande soddisfazione, un grande piacere.
Sarà che sono più che saturo di un certo modello di donna e che sento, forse per la prima volta, la necessità di una disintossicazione.

Verso le quattro ci siamo infilati in una sala da tè, che fuori cominciava davvero il freddo.
Anche senza il Woolrich la Domi era comunque intabarratissima.
Di lei, la clavicola scoperta è tutto il corpo nudo che conosco e mi piace.
Siedo nella sala da tè chiacchierando di niente con una donna che non so com’è fatta nuda e questo è un assoluto primato, è una stranezza che mi stranisce. E mi comporto stranamente, cioè non spingo per colmare quell’ignoranza forzando la conoscenza di ogni pelo della sua pelle nuda. No.

E non è che la Domi non mi piace, sia chiaro. Devo confessarvi che, mentre parlava, mentre mi raccontava delle vacanze estive, della tradizione di famiglia di fare comunque una settimana tutti assieme, a prescindere dalle ferie che lei si fa con gli amici, bene, mentre mi raccontava e io ascoltavo e le guardavo la bocca, ho avuto un’erezione, nella sala da tè.
L’ho già scritto, la sua bocca è più erotica di una vagina depilata.

Poi ci siamo salutati. Nessun proseguimento, perché  lei aveva un invito a cena da amici, ma ci sentiamo in settimana, certo. Sono risalito in macchina e mi sono infilato nella nebbia e sono tornato a casa. E mi sono fatto quella trentina di chilometri nella nebbia, lentamente, senza fretta. Ho addirittura spento il telefono.

La nebbia è fantastica. Dà quella sensazione di isolamento totale in cui sei tu e i tuoi pensieri e basta. In condizioni come quelle di ieri io adoro la nebbia. La nebbia rallenta tutto. Dà quel torpore che ti consente di non essere travolto dal cervello e vai lento, a quaranta con la macchina, a venti coi pensieri.

E così ho tirato una riga sui pensieri con la Domi: è stata una bella serata, ieri l’altro, è stato un bel pomeriggio, oggi. C’è odore di umanità buona, sia nel modo di passare il tempo, sia nelle parole. E mi sono fermato lì, nella nebbia. Niente progetti, complotti, programmi. Va bene così. Va benissimo così.

E sono contento.

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