Inveisce
contro tutti. Volgare, a tratti blasfema.
Habana
siede sul tappeto quasi invisibile, appoggiata con la spalla al sedile del vecchio divano di
pelle. I suoi piedi nudi mi distraggono dal monologo furioso. Sono dolente,
Milly, ma mentre tu arringhi contro l’umanità io penso a fottermi la tua bella
concubina di cioccolata.
Sono fatto così, sono superficiale, sono
svogliato, non mi impegno.
Cammina
avanti e indietro nervosa come un animale in gabbia. La trovo bellissima. La
vestaglia nera oversize ha lasciato il posto ad un pigiama di seta grigio
perla, giacca e pantaloni. I pantaloni sono ampi, lunghi sino a sopra alla
caviglia. La giacca aperta, adagiata sulle mammelle. Scalza.
La
sintesi del Millymonologo iroso è, tutto sommato, semplice. L’umanità è
costituita da pezzi di merda ingrati. Sono pezzi di merda ingrati gli amici
degli amici degli amici che la spremono come un limone trattandola da puttana
qualsiasi, usando la sua Casa e la sua influenza per i loro merdosi scopi. Sono
pezzi di merda quelle troie di merda che guardano e ridono. E’ un pezzo di
merda Inquieta che le sta scavando la terra sotto i piedi solo perché per una
sera (una) il Salone Principale non è a sua totale e privatissima disposizione.
I suoi ospiti sono tutti pezzi di merda, indistintamente, perché anziché venerarla
per tenere aperto quel Tempio del Piacere, si lamentano di cose futili e si
permettono di minacciarla dicendo che non rinnoveranno l’annata, mettendola
nell’imbarazzo fastidioso di una serata di sciopero.
Io
sono superficiale, svogliato e non mi impegno, ma le abbasserei i pantaloni del
pigiama e glielo metterei nel culo a secco. Forse la aiuterebbe a sfogare il
nervosone, ma credo sia meglio non proporglielo.
Mentre
va a versarsi il dodicesimo scotch liscio, passo un dito sulle dita del piede
sinistro di Habana, che mi guarda con gli occhioni e accenna ad un
ventiseiesimo di sorriso. E penso che non l’ho mai vista ridere. E’ sempre così
seria ed emotiva. Oppure lo fa apposta, chissà. Chissà che storia ha Habana.
Poi
la furia torna. E, tragicamente, mi chiede cosa ne penso di quel boicottaggio.
Devo
decidere in una frazione di secondo, devo agire veloce.
Ma
non me ne dà il tempo e mi prende in un contropiede imbarazzante.
“Ma scusa, ma tu dov’eri quando quelle
troie sono entrate a ghignare guardando gli inglesi e gli altri due?”
Eh.
Dov’ero. Ero qui a inchiappettarmi la tua bella concubina nera. Ero qui dove
non dovevo essere. Dove non dovevo permettermi di essere. Dove mi è vietato
chiavare le tue concubine in tua assenza. Ero nel sedere della Bella d’Ebano e
ce la stavamo anche godendo parecchio, perché io e Haby abbiamo un feeling
carnale incredibile.
“Credo sia successo mentre mi stavo
facendo la Bionda” rispondo con risolutezza “anche perché quando sono tornato di là si erano impossessate del
Salotto Rosso e stavano chiacchierando fitto”. Andata alla grande. Mentre
la Belva si gira e ci dà le spalle, misurando a grandi passi il salotto, Haby
mi lancia uno sguardo e io le dico telepaticamente che è tutto a posto e lei
telepaticamente si raccomanda che non esca nulla o la Macellaia Sadica la
scuoia di frustate. Che poi, anche lì, vorrei proprio vedere.
“Anche la Bionda mi ha fatto girare i
coglioni eh. Mi ha trattata come la sua serva, mi ha dato i comandi: ‘Trovami subito
un posto sicuro e mandami Tazio’. Ma stiamo scherzando? Ma io le strappo i
capezzoli e poi glieli infilo nel culo a quella troia di merda!”
Sono
incostante, sono incostante. Mi distraggo, sono svogliato. Haby cambia
posizione, appoggia la schiena al sedile del vecchio divano, si abbraccia gli
stinchi affiancando perfettamente i piedi. Che belli, cazzomerda. E io non sento
più la litania funesta e guardo quelle dita nere su cui lo smalto nero lucido
spicca in una gradazione di tinte scure e mi si imbarzottisce il Manganello.
Poi
finalmente la Furia comincia a placarsi e cade sulla poltrona, a corpo morto, a
gambe aperte, con le belle mammellone che si scoprono.
“Ho mal di testa, merda. Haby, vammi a
preparare un Oki” dice massaggiandosi la tempia, con lo sguardo
socchiuso.
“Dai, me ne vado, così ti riposi” dico
alzandomi in piedi assieme alla Gazzella al Cacao.
“No. Siediti. Ho bisogno di idee” e se l’Imperatrice
comanda, lo sapete, Tazio esegue.
Anche
perché sono troppo incostante e svogliato per fare il contrario.
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