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mercoledì 9 maggio 2012

Tragedy


Inveisce contro tutti. Volgare, a tratti blasfema.
Habana siede sul tappeto quasi invisibile, appoggiata con la spalla al sedile del vecchio divano di pelle. I suoi piedi nudi mi distraggono dal monologo furioso. Sono dolente, Milly, ma mentre tu arringhi contro l’umanità io penso a fottermi la tua bella concubina di cioccolata.
 Sono fatto così, sono superficiale, sono svogliato, non mi impegno.
Cammina avanti e indietro nervosa come un animale in gabbia. La trovo bellissima. La vestaglia nera oversize ha lasciato il posto ad un pigiama di seta grigio perla, giacca e pantaloni. I pantaloni sono ampi, lunghi sino a sopra alla caviglia. La giacca aperta, adagiata sulle mammelle. Scalza.

La sintesi del Millymonologo iroso è, tutto sommato, semplice. L’umanità è costituita da pezzi di merda ingrati. Sono pezzi di merda ingrati gli amici degli amici degli amici che la spremono come un limone trattandola da puttana qualsiasi, usando la sua Casa e la sua influenza per i loro merdosi scopi. Sono pezzi di merda quelle troie di merda che guardano e ridono. E’ un pezzo di merda Inquieta che le sta scavando la terra sotto i piedi solo perché per una sera (una) il Salone Principale non è a sua totale e privatissima disposizione. I suoi ospiti sono tutti pezzi di merda, indistintamente, perché anziché venerarla per tenere aperto quel Tempio del Piacere, si lamentano di cose futili e si permettono di minacciarla dicendo che non rinnoveranno l’annata, mettendola nell’imbarazzo fastidioso di una serata di sciopero.

Io sono superficiale, svogliato e non mi impegno, ma le abbasserei i pantaloni del pigiama e glielo metterei nel culo a secco. Forse la aiuterebbe a sfogare il nervosone, ma credo sia meglio non proporglielo.
Mentre va a versarsi il dodicesimo scotch liscio, passo un dito sulle dita del piede sinistro di Habana, che mi guarda con gli occhioni e accenna ad un ventiseiesimo di sorriso. E penso che non l’ho mai vista ridere. E’ sempre così seria ed emotiva. Oppure lo fa apposta, chissà. Chissà che storia ha Habana.

Poi la furia torna. E, tragicamente, mi chiede cosa ne penso di quel boicottaggio.
Devo decidere in una frazione di secondo, devo agire veloce.
Ma non me ne dà il tempo e mi prende in un contropiede imbarazzante.
“Ma scusa, ma tu dov’eri quando quelle troie sono entrate a ghignare guardando gli inglesi e gli altri due?”
Eh. Dov’ero. Ero qui a inchiappettarmi la tua bella concubina nera. Ero qui dove non dovevo essere. Dove non dovevo permettermi di essere. Dove mi è vietato chiavare le tue concubine in tua assenza. Ero nel sedere della Bella d’Ebano e ce la stavamo anche godendo parecchio, perché io e Haby abbiamo un feeling carnale incredibile.

“Credo sia successo mentre mi stavo facendo la Bionda” rispondo con risolutezza “anche perché quando sono tornato di là si erano impossessate del Salotto Rosso e stavano chiacchierando fitto”. Andata alla grande. Mentre la Belva si gira e ci dà le spalle, misurando a grandi passi il salotto, Haby mi lancia uno sguardo e io le dico telepaticamente che è tutto a posto e lei telepaticamente si raccomanda che non esca nulla o la Macellaia Sadica la scuoia di frustate. Che poi, anche lì, vorrei proprio vedere.

“Anche la Bionda mi ha fatto girare i coglioni eh. Mi ha trattata come la sua serva, mi ha dato i comandi: ‘Trovami subito un posto sicuro e mandami Tazio’. Ma stiamo scherzando? Ma io le strappo i capezzoli e poi glieli infilo nel culo a quella troia di merda!”
Sono incostante, sono incostante. Mi distraggo, sono svogliato. Haby cambia posizione, appoggia la schiena al sedile del vecchio divano, si abbraccia gli stinchi affiancando perfettamente i piedi. Che belli, cazzomerda. E io non sento più la litania funesta e guardo quelle dita nere su cui lo smalto nero lucido spicca in una gradazione di tinte scure e mi si imbarzottisce il Manganello.
Poi finalmente la Furia comincia a placarsi e cade sulla poltrona, a corpo morto, a gambe aperte, con le belle mammellone che si scoprono.

“Ho mal di testa, merda. Haby, vammi a preparare un Oki” dice massaggiandosi la tempia, con lo sguardo socchiuso.
“Dai, me ne vado, così ti riposi” dico alzandomi in piedi assieme alla Gazzella al Cacao.
“No. Siediti. Ho bisogno di idee” e se l’Imperatrice comanda, lo sapete, Tazio esegue.
Anche perché sono troppo incostante e svogliato per fare il contrario.

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