Donna Ignota che sosti sulla battigia e guardi mentre ti fotografo e sai che lo faccio perché necessito di materiale per la masturbazione solitaria e sguaiata e, nonostante ciò, oppure proprio per quello, posi assieme alla tua compare, posi ostentando, posi guardando in macchina e sfidandomi, posi poiché rientri in quella zona lecita in cui non fai nulla di male, poiché sei sulla spiaggia ed indossi un costume, così come previsto dalla regola che norma e regola la società civile di cui tu, Donna Ignota, fai parte a buon titolo, mica come me che, come è noto, vivo al margine poiché colleziono materiale per la masturbazione solitaria e sguaiata e non importa, non conta, se nel mio gesto fotografico vi è la più trasparente e sincera delle denunzie di intenzione, no, non conta, perché ciò che conta è la zona franca e l’adesione alla regola, prescindendo dal fatto che ostenti e mostri e poco conta che mistifichi e getti menzogna sulla vera intenzione, trincerandoti dietro l’alibi della zona franca e della norma regolata, poco conta, poiché tu sei civile, sei urbana, sei morale, mentre io, povero seghetto di periferia, così cristallino ed inequivocabile, io sono il porco, il segaiolo, il maiale, il depravato, il pervertito e tu la persona per bene, Donna Ignota.
Guardo e fotografo le carni che solo il tuo sposo dovrebbe vedere e mi sento talebano e la cosa mi ingalla, mi arrapa, mi infoia e mi arrazza, perché tanto più restringo la regola che norma la concessione morale a mostrare, tanto più invoco la censura verso i tuoi costumi, tanto più il guardarti ti spoglia più nuda del nudo che sei e questa è la chiave di volta del sudicio morbo, che la Chiesa la sa, la sa eccome e la incide, la stringe, la pialla e la blinda, cosicché il polpaccio della perpetua divenga carne da sesso esplosivo, cosicché quella spalla divenga giustificazione all’ingroppo, cosicchè tutto diventi colpa, peccato, sudiciume e infinito piacere proibito, il migliore.
E tu lo sai, Donna Ignota, lo sai bene come funziona il meccanismo del sudicio morbo e vi aderisci, sguazzando di umori nel perimetro concesso, erigendo paratie d’alibi e membri maschili, ma io non ci sto, non mi omologo, non mi piego e non mi spezzo, non accetto di guardarti fintamente distratto per stamparti nel cerebro e poi schizzare con le tue forme a memoria, io invoco il coraggio e la chiarezza e, per questo, dopo averti fotografata senza alcun mistero celato, ti faccio due gesti, di cui l’uno riferisce al dopo, al tempo futuro, roteando orizzontale l’indice della mano destra, mentre l’altro indica la macchina fotografica e mima il gesto della masturbazione maschile, a sancire che le mie foto servono proprio per quello, senza margine d’errore, senza mistificazione, senza orpelli verbali, due gesti che stampano nero su bianco il più onesto dei dopo mi faccio una sega guardando le tue foto, netto, preciso, sinottico.
E spezzo il meccanismo del sudicio morbo e ti impallo che non sai più cosa dire, resti lì, come una carogna ammuffita, delusa che il porco laggiù abbia segato lo spazio all’ipotesi, la chiacchiera laida mormorata all’amica del cuore, perché sei morta, sappilo Donna Ignota, non c’è più margine, non c'è più regola che norma la regola, ma solo la verità, che ti riduce a starter per una sborrata che potrò ripetere migliaia di volte, con te o con altre e questo svilisce, distilla ed evapora il gas con il quale ti sollevavi da terra nello spazio concesso dalla norma che regola, perché qui non ci son regole, ma solo il tempo che passa e dopo essermelo menato ed averti usata ti guardo e lo faccio, senza paura, senza dispiacere, leggero, lo faccio.
Ti cancello.
E mi piace.
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