Venti e trenta, puntuale come la morte. Suono.
“Chi è” – “Tazio” – “Vieni su che sto finendo?”, ronzio, stlac, stlac, apro, entro, salgo.
Scale, pianerottolo, porta aperta. Entro.
“Permesso”.
“Vieni, vieni” da un lontano non so dove dietro alla porta semiaperta del corridoio.
Getto gli occhi sul divano. Un vibratore rosa, le scarpe inanimate crollate sul pavimento assieme all’ectoplasma di un paio di collant grigi.
E arriva.
Vestaglia di seta color magnolia, che su una pelle abbronzata come se fossimo ai Caraibi in agosto fa un effetto esplosivo. Cascata di lucidissimi capelli neri, lisci, lunghi.
Scalza, smalto nero, deliziosamente volgare. Lo adoro. E’ bellissima.
Tenta una spiegazione sorridente mentre si avvicina per baciarmi di benvenuto, ma è troppo tardi, scatta la presa del Taziao Costrictor.
Saggia, saggissima Alessandra. Adoro lo stratagemma volto ad ottimizzare tempi.
Che corpo. Tornito da ore e ore di allenamento in palestra nelle più svariate discipline, compresa la disciplina di prendere più minchie che può, anche contemporaneamente. Ha quella vena addominale che mi fa letteralmente andare giù di testa. E a trentasette anni addominali scolpiti così, ma anche in generale, muscoli scolpiti così non sono da tutte, anche a parità di ore di palestra. Poi ha quelle piccole tette con quei piccoli capezzoli scurissimi che mi fanno impazzire. Dure, sode, chiodate. Stupende. E adoro entusiasticamente quelle due mezzelune più chiare sotto le natiche, perché quello è il posto che sfugge sempre alla lampada ed al sole e io sono felice che sfugga, perché mi seduce da impazzire.
La faccio confessare, voglio sapere come mai quel vibratore sul divano e lei, a un millimetro dalla mia bocca, sorridente di duro cazzo saldamente conficcato nella figa, con quella corona di candidi denti perfetti mugola che le era venuta voglia a pomeriggio. Le sussurro che le vorrei scopare l’utero e lei mi dice che crede che io lo stia già facendo, a giudicare da quanto in gola si sente il mio cazzo.
Mancavano pochi minuti alle ventitre quando la morissima Alessandra mi rende noto che se volevamo mangiare una pizza a domicilio avevamo solo pochi minuti per ordinarla, poiché la pizzeria accetta le comande “solo” fino alle ventitre. E lei telefona dal letto, nuda, mentre io lecco la pelle di velluto, due margherite, mentre io la masturbo e lei apre troiescamente per agevolarmi, due Becks Next, mentre le lecco l’ombelico. “Sai cosa mi piacerebbe?” le chiedo ingroppandola su un fianco. “Cosa?” mi chiede masturbandomi il cazzo che le avevo appoggiato sullo spacco del culo. “Che andassi ad aprire al garzone nuda mentre io spio dalla porta socchiusa”. Che bel sorriso lurido, che meraviglia. “Mmmh… non è che se lo faccio poi facciamo raffreddare le pizze?” mi chiede segandomi piano con un sorriso.
Prometto che no e lei accetta.
Un evergreen, un must, forse anche scontato, trito, visto, rivisto, pensato e ripensato, fatto e rifatto, ma è sempre un delizioso tuffo al cuore. Poveri garzoni della pizza. Ragazzi che studiano, che hanno fiducia nel futuro, che si fanno il culo onestamente e devono anche subire la sollecitazione inguinale di una stupenda cavalla in calore, molto esibizionista, che gli compare nuda alla porta dicendo “Scusa, stavamo scopando” con voce esile e recitata timidezza. “Si figuri” dice il congeltato nerd davvero imbarazzatissimo che, mentre la Ale temporeggia volutamente nella ricerca dei contanti, non sa dove guardare. Surreale. Divino.
“Sei stata stupenda” e lei mi regala un altro sorriso meraviglioso.
Non l’avevo mai vista sorridere così bene e tanto come ieri sera. Glielo dico. Mi torna a sorridere.
“Nel casino totale della mia vita è un periodo discreto e poi sono felice che sei qui” e sorride baciandomi.
Mangiamo a letto, nudi, tanto lei non dorme lì. Non indago.
Fumiamo una grossa canna, poi scopiamo ancora. E ancora. E ancora. E ancora.
E mi dimentico di avere in tasca la pastiglietta blu.
La ridò a N lunedì.
Mi prende la Alessandra.
Mi prende molto.
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