Sgranocchiamo chele di astice e chiacchieriamo.
“Sai cosa? Premetto che parlo che
non so, perché non ero io quella coinvolta, ok? Però ad ascoltare come la
racconti tu, ‘sta tipa, la Domi, suona male. Sai cosa mi fa venire in mente?
Quelle cose a cazzo che si dicono alle medie, tipo “Ti lascio perché ti amo
troppo” hai presente? Cioè, voglio dire, dà tanto l’idea di una che si è
costruita la storiella istantanea da raccontarti, per poi rimanere lì in attesa
di una tua reazione scomposta (com’è ovvio) e poi aggrapparsi a quella di
corsa, spostando l’attenzione dalla storiella istantanea che si era inventata e
che non stava in piedi. Cioè, voglio dire, si fa, l’abbiamo fatto tutte, ma
magari un pochinino più da giovanette ecco.”
Ci sta. Anche perché l’ho sempre pensato anche io. Ma la invito a fare
ipotesi sul perché.
Regge la chela, dondolando la gamba sotto il tavolo con una tale
estensione che dondola un po’ tutta.
“Bah, sai, se devo pensare al
perché l’ho fatto anche io da giovanetta, mi verrebbe da dire che c’è un altro
di mezzo, che è l’ipotesi più banale, ma è anche l’ipotesi che ci prendi nel
novantotto (non dico cento) per cento dei casi.”
E siamo allineati anche su questo. Ma poi arriva la mazzata.
“Ma senti, scusami se te lo
chiedo, ma è ovvio che puoi non rispondermi. Ma era tanto tanto tanto figa ‘sta
tipa?”
“Beh una bella ragazza, sì, certo
non una top model, ma bella. Perché mi chiedi?”
“Perché, sinceramente, dai
racconti che ne fai, continuo a chiedermi tu che cazzo c’entravi con una
fighina griffata da patronato del centro, borghesuccia e un po’ inibita a
letto.”
Bella domanda.
“Bisogno d’amore?” rispondo
sentendomi dentro alla rubrica di Donna Letizia.
“E ho capito Taz, ce l’abbiamo
tutti quello, ma mica ci spariamo come dei razzi dentro a tutte le storie a
corpo morto eh. Se posso, ma prendila bene eh, anziché punirmi con lo stoicismo
dell’abnegazione, che fa male alla salute e scopare tira su di morale, se io
fossi in te conterei fino a sedici milioni prima di decidere di organizzarmi
per tuffarmi in una storia. Ecco, Taz, quello sì, sai?”
Già. Su questo non ci piove.
“Perché, scusami se insisto, cosa
cazzo c’entra se ti trombi la Nina, la Pinta e la Santa Maria, con tutto il
resto? Sei tu che eleggi la Nina, la Pinta e la Santa Maria a ruoli di
competizione con le cose serie della tua vita, mica loro. A loro piace il cazzo
e poi tornano alle loro vite piene di cose. A te piace la figa, ma quando hai
finito sei da solo. E’ questo il punto. O mi sbaglio?”
Non si sbaglia. Le eleggo pur di dire che c’ho qualcosa anche io.
“E allora falla finita con ‘sta
cosa dell’abnegazione, perché non porterà a nulla, cecità permanente a parte.
Tu devi aprire, non chiudere. La storia del vuoto spinto lì, è una chiusura.
Cioè, andrebbe pure bene se fosse una sostituzione: tolgo la roba che non mi
interessa più, per fare spazio a quella che mi interessa, ma tu no, tu togli e
non metti niente di nuovo. Tu resti da solissimo e poi, ovviamente, esplodi. E
ti spacchi come sabato scorso Taz, che adesso te lo devo dire, che ti incazzerai
di sicuro, ma vedere te, vedere il Taz, spaccato duro e da solo (che è la cosa più grave), no, non me lo
fare vedere più perché mi hai fatto soffrire come una bestia.”
E ha ragione, cazzo, cazzo, cazzo.
“Cosa mi proponi allora?”
chiedo per uscire dall’imbarazzo.
“A parte sposarmi?” e poi
ride come una matta.
“Beh, non ridere, non è un’idea
da buttare nel cesso” dico guardandola che ride con gli occhi stretti.
Poi si fa seria. Molto seria. E mi guarda con due occhi molto seri e
bellissimi.
“Non sei così disperato, Taz.
Mettitelo in testa o non vai da nessuna parte.”
E abbiamo continuato a spolpare le chele del povero astice.
Le botte a volte fanno bene, aveva ragione la mia nonna.
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