E’ arrivato.
E’ arrivato col lacchè Vosco, con cui si alterna alla guida. E domani alle sedici parte per tornare nei paesi bassi. Me lo dice tra il rotto il cazzo e quello che ha i coglioni rotti con me. Poi comanda il pranzo, io, lui e il Vosco, ma non alla Solita. A una trattoria di Fecazzone che così si parla di “biznes”.
Mi sento male, ho orridi presagi.
Parto.
Pagine
venerdì 15 maggio 2015
Linguaggio
“Allora ti volevo dare un salutino che stasera sei fuori per la pizza sbroccona e non ci vediamo” – esordisco io al telefono che ormai è sera.
“Oh, ma guarda che se te non hai impegni mi sa che ci possiamo vedere benissimo lo stesso anche stasera veh?” – risponde d’un fiato.
E no che non ce li ho io gli impegni, no.
“Ma a che ora pensavi di liberarti tu?” – chiedo non perfettamente convinto.
“Ma io dico che per l’una son bella che a casa, considerando che sto andando in là adesso. E poi, porta pazienza, son poi libera di dire che vado via quando voglio eh”.
E porto pazienza e l’una va bene, sì.
“L’una è buona, mi metto in pigiama e ci vediamo da te allora”
Lei ride e dice ok.
Sono ore poco vocate all’intimità notturna segreta: stasera l’addio al nubilato, domani sera cena very relax passatempo per lo sposo teso come un osso (assenti la sposa e i testimoni) e sabato c’è il matrimonio. Poi da domenica tutto dovrebbe ritornare sul binario.
***
“Ma sì, ma ho capito” – mi dice quando, pigiamati entrambi, ci troviamo sulla gradineria notturna rurale intima e segreta e io faccio il ragionamento dei giorni difficili – “però con un minimo, voglio dire, per esempio, domani sera dopo la cena ci si può vedere, stasera ci siam visti, nel senso che volendo anche sabato di riffa o di raffa ‘na cannetta al matrimonio nascosti da qualche parte ce la faremo o niente?” e ride come una scema.
“Una tossica drogata sto diventando, sto” - aggiunge divertita, con quella scivolata modenese inevitabile per chi sta con un modenese.
“La cannetta al matrimonio ce la facciamo sì e anche più di una, ma solo se sarai senza mutande” – aggiungo io ridendo, rendendomi conto che è la prima battuta a sfondo sessuale che le faccio e lei replica rapida “Ahbeh, sai che problema, vorrà dire che o vengo via direttamente senza, o andrò in bagno a togliermele!” – e si ride moltissimo, complice protagonista la cannabis che aspiriamo con applicazione. Che robe strane.
Son lì che penso, smontando il filtrino dal cannino morto, quando l’Anto mi viene addosso e mi spiaccica nell’angolo tra la porta e il muro che la tiene su.
E ha una lingua grossa e morbidissima, guizzante, dolcissima, piacevole e la slinguo abbracciandola, senza palparla, solo slinguandola e stringendola, accarezzandola più dolce che son capace, non prendendo iniziative, lasciando che sia lei a guidare come vuole, dove vuole e quanto vuole. E ci slinguiamo le gole per un bel po’.
Poi il distacco.
“Cosa c’hai messo dentro stasera?” – mi chiede ridendo, con gli angoli della bocca bagnati di saliva e arrossati dalla mia barba, come succedeva alle festine delle scuole medie.
“La lingua” rispondo riavvicinandomi e ricominciando senza cannibalismo.
Bello.
Questo coso strano è davvero molto bello.
Drammaticamente bello.
Torno a casa nella notte fondissima guidando in pigiama una poderosa FIAT Punto bianca, auto americana top class, dopo aver “limonato” e basta con la ragazza di un amico e, non solo non c’è stato alcun coinvolgimento/epilogo genitale di qualsivoglia natura, non solo non avverto il benché minimo senso di colpa per l’amico, ma mi sento contento, felice e (incomprensibilmente) sereno.
Notti emiliane magiche che neanche al Campo Volo, ragazùa.
Questa roba qua a Praga non ce l’hanno mica eh.
No, non ce l’hanno.
Però, al di là di tutto, una gran sega me la devo fisiologicamente fare.
Più d’una anche, forse, mi sa.
Ha!
“Oh, ma guarda che se te non hai impegni mi sa che ci possiamo vedere benissimo lo stesso anche stasera veh?” – risponde d’un fiato.
E no che non ce li ho io gli impegni, no.
“Ma a che ora pensavi di liberarti tu?” – chiedo non perfettamente convinto.
“Ma io dico che per l’una son bella che a casa, considerando che sto andando in là adesso. E poi, porta pazienza, son poi libera di dire che vado via quando voglio eh”.
E porto pazienza e l’una va bene, sì.
“L’una è buona, mi metto in pigiama e ci vediamo da te allora”
Lei ride e dice ok.
Sono ore poco vocate all’intimità notturna segreta: stasera l’addio al nubilato, domani sera cena very relax passatempo per lo sposo teso come un osso (assenti la sposa e i testimoni) e sabato c’è il matrimonio. Poi da domenica tutto dovrebbe ritornare sul binario.
***
“Ma sì, ma ho capito” – mi dice quando, pigiamati entrambi, ci troviamo sulla gradineria notturna rurale intima e segreta e io faccio il ragionamento dei giorni difficili – “però con un minimo, voglio dire, per esempio, domani sera dopo la cena ci si può vedere, stasera ci siam visti, nel senso che volendo anche sabato di riffa o di raffa ‘na cannetta al matrimonio nascosti da qualche parte ce la faremo o niente?” e ride come una scema.
“Una tossica drogata sto diventando, sto” - aggiunge divertita, con quella scivolata modenese inevitabile per chi sta con un modenese.
“La cannetta al matrimonio ce la facciamo sì e anche più di una, ma solo se sarai senza mutande” – aggiungo io ridendo, rendendomi conto che è la prima battuta a sfondo sessuale che le faccio e lei replica rapida “Ahbeh, sai che problema, vorrà dire che o vengo via direttamente senza, o andrò in bagno a togliermele!” – e si ride moltissimo, complice protagonista la cannabis che aspiriamo con applicazione. Che robe strane.
Son lì che penso, smontando il filtrino dal cannino morto, quando l’Anto mi viene addosso e mi spiaccica nell’angolo tra la porta e il muro che la tiene su.
E ha una lingua grossa e morbidissima, guizzante, dolcissima, piacevole e la slinguo abbracciandola, senza palparla, solo slinguandola e stringendola, accarezzandola più dolce che son capace, non prendendo iniziative, lasciando che sia lei a guidare come vuole, dove vuole e quanto vuole. E ci slinguiamo le gole per un bel po’.
Poi il distacco.
“Cosa c’hai messo dentro stasera?” – mi chiede ridendo, con gli angoli della bocca bagnati di saliva e arrossati dalla mia barba, come succedeva alle festine delle scuole medie.
“La lingua” rispondo riavvicinandomi e ricominciando senza cannibalismo.
Bello.
Questo coso strano è davvero molto bello.
Drammaticamente bello.
Torno a casa nella notte fondissima guidando in pigiama una poderosa FIAT Punto bianca, auto americana top class, dopo aver “limonato” e basta con la ragazza di un amico e, non solo non c’è stato alcun coinvolgimento/epilogo genitale di qualsivoglia natura, non solo non avverto il benché minimo senso di colpa per l’amico, ma mi sento contento, felice e (incomprensibilmente) sereno.
Notti emiliane magiche che neanche al Campo Volo, ragazùa.
Questa roba qua a Praga non ce l’hanno mica eh.
No, non ce l’hanno.
Però, al di là di tutto, una gran sega me la devo fisiologicamente fare.
Più d’una anche, forse, mi sa.
Ha!
giovedì 14 maggio 2015
Notti emiliane
Ieri notte
“Mi sta sul cazzo anche a me” – commenta la Anto riferendosi alla morosa di Zack – “con quei modi da “signorinetta per bene”…”
Siamo lì seduti in seguito alla frettolosa liquidazione serale del povero Altrui da parte della Donna Altrui, la quale si è, in seguito, affrettata a darmene uozzappica notizia. Ci troviamo al solito posto, in gradinata rurale notturna, a sparlare da comari, lei in pigiamino grigio e felpa col cappuccio, io in pantaloni del pigiama blu e t-shirt, mutandoprivo, perché se devo andare vestito come andrei a dormire, le mutande non ci sono mai.
“E taci che ci siam liberati della Emy” – incalzo da troia nella certezza di trovare terreno fertile, seppur non standomi minimamente sui coglioni la Emy, ad eccezione di quando cavalca sbattendo forte, impalata dal mio bell’albero della cucCagna. Più che rompicoglioni la trovo di una piattezza intellettuale soporifera, ecco.
“Dio la Emy, non me ne parlare che l’avrei ammazzata, miss Stoccazzo, con tutte ‘ste moine… sei figa sì, sei figa, abbiam capito, ma adesso basta, che non ce ne incula un cazzo a nessuno che sei figa…”.
Sì, non ce ne incula un cazzo per dire, comunque. A me, ad esempio, me ne incula eccome. Ed anche a te, visto che citi il dettaglio e ti incanni abbestia anche adesso.
Cannetta.
Involontariamente un po’ più carica.
Ci incannelliamo pesti io e la Anto, eh.
Lei è un’ottima compagna di fumate, perché non va in paranoia, è tranquilla, ciarliera il giusto, mai sopra le righe anche quando è fatta dura, insomma, è una grande compagnia cannaiola.
“Aveva voglia di scopare, stasera.” – sentenzia gelando un momentino l’aria.
Segue breve pausa.
“E tu?” – chiedo per sapere come avesse gestito – “ebeh se son qua con te, io no evidentemente” e sorride sensuale guardandomi con gli occhietti piccoli e i capelli arruffati.
“Intendevo dire cosa gli hai detto” – preciso da sciocchina – “gli ho detto che ero stanca, ma tanto a lui faccio un piacere perché lo sai lui dov’è adesso no?” – mi chiede prima di tironare fonda.
Sì che lo so, ma la mia testa fa segno di no.
“Lui è tra le cosce di una qualsiasi delle puttanelle russe di merda là vicino alla fabbricona… mo sì che lo sai, nden, lo san tutti che c’ha quel vizietto” – e io taccio.
Già. Va sempre che un po’ tutti sanno un po’ tutto un po’ di tutti.
Chissà cosa saprà lei di me.
“Ma senti” – chiedo io, bimba falsa e farisea dal lungo clitoride ipertrofico – “ma come fai ad andare a letto con uno che sai che va a puttane?”.
“Ci vado quando non posso evitare e basta. Prendo precauzioni comunque.”
“Detta così non suona da vita di coppia felice”
“No, infatti, per niente. Ma penso che…” e io non indago su dove stanno andando a spaziare quegli occhietti fumati. Non indago.
Silenzio.
Cannetta, passaggio.
Silenzio.
Notte emiliana nera, rurale, intima, segreta, cannaiola, intristita e un po’ rabbiosa.
Mi spiace.
Mi spiace, ma non indago.
No.
“Mi sta sul cazzo anche a me” – commenta la Anto riferendosi alla morosa di Zack – “con quei modi da “signorinetta per bene”…”
Siamo lì seduti in seguito alla frettolosa liquidazione serale del povero Altrui da parte della Donna Altrui, la quale si è, in seguito, affrettata a darmene uozzappica notizia. Ci troviamo al solito posto, in gradinata rurale notturna, a sparlare da comari, lei in pigiamino grigio e felpa col cappuccio, io in pantaloni del pigiama blu e t-shirt, mutandoprivo, perché se devo andare vestito come andrei a dormire, le mutande non ci sono mai.
“E taci che ci siam liberati della Emy” – incalzo da troia nella certezza di trovare terreno fertile, seppur non standomi minimamente sui coglioni la Emy, ad eccezione di quando cavalca sbattendo forte, impalata dal mio bell’albero della cucCagna. Più che rompicoglioni la trovo di una piattezza intellettuale soporifera, ecco.
“Dio la Emy, non me ne parlare che l’avrei ammazzata, miss Stoccazzo, con tutte ‘ste moine… sei figa sì, sei figa, abbiam capito, ma adesso basta, che non ce ne incula un cazzo a nessuno che sei figa…”.
Sì, non ce ne incula un cazzo per dire, comunque. A me, ad esempio, me ne incula eccome. Ed anche a te, visto che citi il dettaglio e ti incanni abbestia anche adesso.
Cannetta.
Involontariamente un po’ più carica.
Ci incannelliamo pesti io e la Anto, eh.
Lei è un’ottima compagna di fumate, perché non va in paranoia, è tranquilla, ciarliera il giusto, mai sopra le righe anche quando è fatta dura, insomma, è una grande compagnia cannaiola.
“Aveva voglia di scopare, stasera.” – sentenzia gelando un momentino l’aria.
Segue breve pausa.
“E tu?” – chiedo per sapere come avesse gestito – “ebeh se son qua con te, io no evidentemente” e sorride sensuale guardandomi con gli occhietti piccoli e i capelli arruffati.
“Intendevo dire cosa gli hai detto” – preciso da sciocchina – “gli ho detto che ero stanca, ma tanto a lui faccio un piacere perché lo sai lui dov’è adesso no?” – mi chiede prima di tironare fonda.
Sì che lo so, ma la mia testa fa segno di no.
“Lui è tra le cosce di una qualsiasi delle puttanelle russe di merda là vicino alla fabbricona… mo sì che lo sai, nden, lo san tutti che c’ha quel vizietto” – e io taccio.
Già. Va sempre che un po’ tutti sanno un po’ tutto un po’ di tutti.
Chissà cosa saprà lei di me.
“Ma senti” – chiedo io, bimba falsa e farisea dal lungo clitoride ipertrofico – “ma come fai ad andare a letto con uno che sai che va a puttane?”.
“Ci vado quando non posso evitare e basta. Prendo precauzioni comunque.”
“Detta così non suona da vita di coppia felice”
“No, infatti, per niente. Ma penso che…” e io non indago su dove stanno andando a spaziare quegli occhietti fumati. Non indago.
Silenzio.
Cannetta, passaggio.
Silenzio.
Notte emiliana nera, rurale, intima, segreta, cannaiola, intristita e un po’ rabbiosa.
Mi spiace.
Mi spiace, ma non indago.
No.
martedì 12 maggio 2015
La solitudine solitaria dell'Uomo solo
Alla fine delle fini, l’Uomo diviene solo.
Solo, alieno dal gruppone ruttaiolo che si sbrega di numeri lesbo, travoni, mignotte in sala, alcol, sudore e canne di basso livello qualitativo.
Solo senza dare un avviso, un segnale, garantendo subdolamente la sua presenza come assolutamente certa sino alla fine, evaporando sin dall’inizio.
Egli scompare. Nel nulla.
Irrintracciabile al cellulare, introvabile a casa sulla piazza maestra, introvabile a casa nel capoluogo di provincia, dissolto, scomparso, smaterializzato, magnete attrattivo di vaffanculotestadicazzostronzo e di bestemmie e maledizioni, ma nonostante ciò, egli non è e non sarà.
Perché l’Uomo deve essere solo.
L’Uomo cura i dettagli, cambia persino auto all’autonoleggio nella tarda mattinata (era dovuto, ma nella scena complessiva mi appariva bello e calzante usare il dettaglio), prendendo il possesso di una prestigiosa, elegante e lussuosissima FIAT Punto bianca, auto americana blasonatissima, degna del suo rango di Uomo in Dissolvenza.
Nessun indizio, nessuna traccia, nulla. Solo.
Anche la Donna Altrui che lo redarguisce con un “Ma dai, vacci, guarda che io stasera esco con le ragazze eh” come a dire “non pensare che ci sarò per te” non immagina della smolecolarizzazione dell’Uomo che si dissolverà in iperfantastiliardi di particelle subatomiche che si dissolveranno e saranno qui, in nessun dove ed in ogni dove. La Donna Altrui che lo redarguisce lo fa infantilmente, sperando in cuor suo che, a un tratto della prima notte, un messaggio dica “vediamoci” essendo sin d'ora pronta a dire sì, ma non stasera, no, non questa notte di antimateria.
Stanotte l’Uomo scompare. Da solo.
E l’Uomo scompare annidandosi in buchi neri di profondità incommensurabili, dove spazio e tempo assumono significati relativi che travalicano la scienza, persino quella di Antonino Zichichi. L’Uomo scompare affidandosi ala maestria di una famosissima Maga che sa far scomparire moltissime cose, anche di grandissime dimensioni.
Egli le telefona a pomeriggio ottenendo il suo benevolo appoggio alla smaterializzazione antimaterica.
“Ade devo nascondermi, mi ospiti solo per stanotte?”
“Cazzo Cicci, sei nellammerda?”
“Più o meno”
“Dammi qualche ora cicciamore, che ci pensa la sia Ade al suo cicciammore”
E, amisgi, la sia Ade ci ha pensato lei. Sì. Perché Ella tutto può.
E l’Uomo alle ventuno esatte scompare sotto l’incantesimo adeliano dell'antimateria.
Pfffffsssgggghhhhhhhhhppffffff…
Ha!
Solo, alieno dal gruppone ruttaiolo che si sbrega di numeri lesbo, travoni, mignotte in sala, alcol, sudore e canne di basso livello qualitativo.
Solo senza dare un avviso, un segnale, garantendo subdolamente la sua presenza come assolutamente certa sino alla fine, evaporando sin dall’inizio.
Egli scompare. Nel nulla.
Irrintracciabile al cellulare, introvabile a casa sulla piazza maestra, introvabile a casa nel capoluogo di provincia, dissolto, scomparso, smaterializzato, magnete attrattivo di vaffanculotestadicazzostronzo e di bestemmie e maledizioni, ma nonostante ciò, egli non è e non sarà.
Perché l’Uomo deve essere solo.
L’Uomo cura i dettagli, cambia persino auto all’autonoleggio nella tarda mattinata (era dovuto, ma nella scena complessiva mi appariva bello e calzante usare il dettaglio), prendendo il possesso di una prestigiosa, elegante e lussuosissima FIAT Punto bianca, auto americana blasonatissima, degna del suo rango di Uomo in Dissolvenza.
Nessun indizio, nessuna traccia, nulla. Solo.
Anche la Donna Altrui che lo redarguisce con un “Ma dai, vacci, guarda che io stasera esco con le ragazze eh” come a dire “non pensare che ci sarò per te” non immagina della smolecolarizzazione dell’Uomo che si dissolverà in iperfantastiliardi di particelle subatomiche che si dissolveranno e saranno qui, in nessun dove ed in ogni dove. La Donna Altrui che lo redarguisce lo fa infantilmente, sperando in cuor suo che, a un tratto della prima notte, un messaggio dica “vediamoci” essendo sin d'ora pronta a dire sì, ma non stasera, no, non questa notte di antimateria.
Stanotte l’Uomo scompare. Da solo.
E l’Uomo scompare annidandosi in buchi neri di profondità incommensurabili, dove spazio e tempo assumono significati relativi che travalicano la scienza, persino quella di Antonino Zichichi. L’Uomo scompare affidandosi ala maestria di una famosissima Maga che sa far scomparire moltissime cose, anche di grandissime dimensioni.
Egli le telefona a pomeriggio ottenendo il suo benevolo appoggio alla smaterializzazione antimaterica.
“Ade devo nascondermi, mi ospiti solo per stanotte?”
“Cazzo Cicci, sei nellammerda?”
“Più o meno”
“Dammi qualche ora cicciamore, che ci pensa la sia Ade al suo cicciammore”
E, amisgi, la sia Ade ci ha pensato lei. Sì. Perché Ella tutto può.
E l’Uomo alle ventuno esatte scompare sotto l’incantesimo adeliano dell'antimateria.
Pfffffsssgggghhhhhhhhhppffffff…
Ha!
Azzurro notturno
Grilli e scalini, pigiami e infradito, cannette e sussurri, segreti rurali, notti rituali.
“Ma come non vai senza dir niente a nessuno?” [all’addio al celibato]
“Non vado perché non me ne fotte un cazzo di un festino come quello. Voi lo fate l’addio al nubilato alla Nadia?” – “Sì, ma si farà una pizza sbroccona, niente di trascendentale, lei non è il tipo” – “E quando lo fate?” – “Giovedì sera” – “E ma che brutta scelta, il giovedì è calcetto” e lei ride sgomitandomi lieve.
“Azzurro?” chiedo accarezzandole l’alluce così vicino e così lontano.
“Bah ce l’avevo in casa e ho pensato ti piacesse, ma se vuoi lo tolgo” – “Ci mancherebbe, mi piace, mi piace soprattutto il pensiero, grazie” e si sorride vicini vicini, accoccolati sugli scalini, ad ascoltare i grillini (non QUEI grillini, quelli veri, quelli seri).
“Cannino?” – “Oh yes, ma così divento una punkabbestia sempre fatta, sai che mi è passata a pomeriggio quella di ieri sera?” – “E’ perché è buona e sana” – e lei - “Viva viva la Maria Luana” e la appiccia.
“E se lo viene a sapere?” – chiedo da bambina col pisello – “Cosa? Delle cannette o che ci vediamo?”
Ed entra liscio un concetto semplice alla cui distorta vestizione sdoganante lavoravo da oggi e che sollievo! è accettato con semplicità, senza false lenti filtro, con consapevolezza adulta e senza inutili blocchi in dogana. Noi ci vediamo e lo sappiamo, non è che ci vediamo a nostra insaputa. Eh sì. Ci vediamo, di notte, segretamente. Ci facciamo le canne proibite e ci confidiamo le cose anche intime e ne siamo consci. Noi ci vediamo, ci stiamo vedendo, segretamente, privatamente, personalmente, isolatamente, probabilmente anche propedeuticamente.
“Tutte e due, cannette e incontri” – dico soffiando e passando. Silenzio. “Non dici niente?” – chiedo alternandomi al mio turno – “Cosa vuoi che dica? Vuoi sentirmi dire ‘evitiamo di sputtanare i cazzi nostri’ ?”.
“No, per carità. Niente, non devi dire niente. Nient’altro che niente.”
I cazzi nostri.
Non m’è sfuggito, no.
“Sbloccherai mai il numero alla Maggie?” – mi chiede soffiando sulla brace. “La Maggie è totalmente al di fuori dei miei interessi in questo momento, ergo non me ne sbatte un cazzo della Maggie né ora né mai più” e sento una testa che si gira e occhi che ridono.
“Dovrei venire anche io in pigiama qui, la notte” – aggiungo dopo un bel po’.
“Una specie di pigiama party?” – chiede sorridendo mentre ammazza il cannino salvando il filtrino.
“Una specie” – aggiungo appoggiandomi alla porta e passandole il braccio sulle spalle per tirarla accoccolata vicina a me.
“Freddo?” – “No.”
E i grilli grillano, le unghie azzurrano, le cannine muoiono e le persone tacciono.
E tutto ciò, oltre ad essere sereno è anche molto bello.
Molto.
“Ma come non vai senza dir niente a nessuno?” [all’addio al celibato]
“Non vado perché non me ne fotte un cazzo di un festino come quello. Voi lo fate l’addio al nubilato alla Nadia?” – “Sì, ma si farà una pizza sbroccona, niente di trascendentale, lei non è il tipo” – “E quando lo fate?” – “Giovedì sera” – “E ma che brutta scelta, il giovedì è calcetto” e lei ride sgomitandomi lieve.
“Azzurro?” chiedo accarezzandole l’alluce così vicino e così lontano.
“Bah ce l’avevo in casa e ho pensato ti piacesse, ma se vuoi lo tolgo” – “Ci mancherebbe, mi piace, mi piace soprattutto il pensiero, grazie” e si sorride vicini vicini, accoccolati sugli scalini, ad ascoltare i grillini (non QUEI grillini, quelli veri, quelli seri).
“Cannino?” – “Oh yes, ma così divento una punkabbestia sempre fatta, sai che mi è passata a pomeriggio quella di ieri sera?” – “E’ perché è buona e sana” – e lei - “Viva viva la Maria Luana” e la appiccia.
“E se lo viene a sapere?” – chiedo da bambina col pisello – “Cosa? Delle cannette o che ci vediamo?”
Ed entra liscio un concetto semplice alla cui distorta vestizione sdoganante lavoravo da oggi e che sollievo! è accettato con semplicità, senza false lenti filtro, con consapevolezza adulta e senza inutili blocchi in dogana. Noi ci vediamo e lo sappiamo, non è che ci vediamo a nostra insaputa. Eh sì. Ci vediamo, di notte, segretamente. Ci facciamo le canne proibite e ci confidiamo le cose anche intime e ne siamo consci. Noi ci vediamo, ci stiamo vedendo, segretamente, privatamente, personalmente, isolatamente, probabilmente anche propedeuticamente.
“Tutte e due, cannette e incontri” – dico soffiando e passando. Silenzio. “Non dici niente?” – chiedo alternandomi al mio turno – “Cosa vuoi che dica? Vuoi sentirmi dire ‘evitiamo di sputtanare i cazzi nostri’ ?”.
“No, per carità. Niente, non devi dire niente. Nient’altro che niente.”
I cazzi nostri.
Non m’è sfuggito, no.
“Sbloccherai mai il numero alla Maggie?” – mi chiede soffiando sulla brace. “La Maggie è totalmente al di fuori dei miei interessi in questo momento, ergo non me ne sbatte un cazzo della Maggie né ora né mai più” e sento una testa che si gira e occhi che ridono.
“Dovrei venire anche io in pigiama qui, la notte” – aggiungo dopo un bel po’.
“Una specie di pigiama party?” – chiede sorridendo mentre ammazza il cannino salvando il filtrino.
“Una specie” – aggiungo appoggiandomi alla porta e passandole il braccio sulle spalle per tirarla accoccolata vicina a me.
“Freddo?” – “No.”
E i grilli grillano, le unghie azzurrano, le cannine muoiono e le persone tacciono.
E tutto ciò, oltre ad essere sereno è anche molto bello.
Molto.
lunedì 11 maggio 2015
Linee guida del lunedì
Oggi
Bonsgiur, che bel risveglio,il risveglio con le finestre che danno sulla piazza maestra di Taziopoli.
Che bel brulichio, che bella vista, che belle tope anche. Ruspanti, anche le più sofisticate. Tutte così seSuali con quei culi e quelle mammellone, che meraviglia.
Ho trascorso una notte descisamente insonne nella quale ho terminato la sistemazione dell’appartamento, ho colorato una parete di viola, ho scritto come un novello Salgari tutte le faccende del week end, di cui vi do una rapida guida alla lettura, considerando che sono tante e lunghe, ossia sono due cose che apparentemente non vi piacciono, considerando il nullo numero di commenti.
Venerdì.
Una serata che più incazzato di così non poteva portarmi ad essere: Spiegatemelo bene voi, perché io non ci capisco veramente un gran cazzo, ed era ovvio che necessitassi di un piccolo sfogo fisico che lenisse i dolori genitali: La bagascia termica.
Sabato.
Al classico mezzogiorno maschiale grandi preparativi per la maialata dell’addio al celibato: Il prandiale del sabato maschiale e taziale, mentre un piccolo, ma gradevole e stranissimo incidente ha caratterizzato il tardo pomeriggio del serale griglieo maxiale: Sabato sera grigliale alla cauntri aus maxiale.
Domenica.
Giornata di ramazza e spazza a pulire, sistemare, riassettare, combinare, lavatriciare per prendere possesso diretto della postazione d’eccellenza sulla piazza maestra di Taziopoli, con un annesso inaspettato, dolcissimo e pericolosissimamente meditativo tardo dopo cena: E se io partissi tu me lo offrissi?
Ecco qua, tutto allineato e usabile.
Baci in tutte le molli parti sensibili.
Bonsgiur, che bel risveglio,il risveglio con le finestre che danno sulla piazza maestra di Taziopoli.
Che bel brulichio, che bella vista, che belle tope anche. Ruspanti, anche le più sofisticate. Tutte così seSuali con quei culi e quelle mammellone, che meraviglia.
Ho trascorso una notte descisamente insonne nella quale ho terminato la sistemazione dell’appartamento, ho colorato una parete di viola, ho scritto come un novello Salgari tutte le faccende del week end, di cui vi do una rapida guida alla lettura, considerando che sono tante e lunghe, ossia sono due cose che apparentemente non vi piacciono, considerando il nullo numero di commenti.
Venerdì.
Una serata che più incazzato di così non poteva portarmi ad essere: Spiegatemelo bene voi, perché io non ci capisco veramente un gran cazzo, ed era ovvio che necessitassi di un piccolo sfogo fisico che lenisse i dolori genitali: La bagascia termica.
Sabato.
Al classico mezzogiorno maschiale grandi preparativi per la maialata dell’addio al celibato: Il prandiale del sabato maschiale e taziale, mentre un piccolo, ma gradevole e stranissimo incidente ha caratterizzato il tardo pomeriggio del serale griglieo maxiale: Sabato sera grigliale alla cauntri aus maxiale.
Domenica.
Giornata di ramazza e spazza a pulire, sistemare, riassettare, combinare, lavatriciare per prendere possesso diretto della postazione d’eccellenza sulla piazza maestra di Taziopoli, con un annesso inaspettato, dolcissimo e pericolosissimamente meditativo tardo dopo cena: E se io partissi tu me lo offrissi?
Ecco qua, tutto allineato e usabile.
Baci in tutte le molli parti sensibili.
E se io partissi tu me lo ‘offrissi’?
Domenica sera, dopocena
Una domenica campale, passata a smobilitare il mobilio approssimativamente giunto in casa, componendo angoli tv, collegando cavi, avvitando letti, pulendo libri, armadi, comodini, cazzi e, soprattutto, mazzi vari.
Ore 20:00 paninetto misto aria giù al Centrale, che la Raffa è frocia e me lo ha anche confermato qualcun altro, mentre altri ancora dicono che è mezza e mezza, cosa che mi metterebbe in overbooking volentieri, perché la tecno-cougar è assai appetitosa ed inquietante, anche se tutti concordano che è tempo perso.
Poi su a casa, preparare il letto fresco, doccia depolverizzante e, alla volta delle ventidue e zerotre mi scappa un uozzappo, ma non alla Skizza, ma alla Anto.
Uozzappo da amicommerda, ben cosciente che il Sa-aaarti (che fa l’autista di quei furgononi col tetto alto e le ruote doppie dietro) a quell’ora della domenica è in fase di riposo/preparazione perché parte alla volta delle ventitre e qualcosa.
“Dormi?” esordisco in punta di tasti della graziosa applicazione.
“No! Stavo guardando Report” e segue un faccino sorridente.
La Anto, dovete sapere, è una trentacinquenne che vive ancora con la mamma e il babbo, è tristemente disoccupata causa licenziamento dalla fabbricona dove lavorava come amministrativa e ora trascorre le sue giornate a far da badante ai suoi (simpaticissimi, peraltro) genitori, sperando che Gesù Bambino le porti anticipatamente un lavoro.
“Report. Da ammazzarsi dall’ottimismo” ricamo con garbo.
“Infatti!” risponde con faccina sorridente con bocca aperta.
“Te la butto lì” chioso con simpatia fratellonza “ma se io venissi lì tu me lo offrissi un caffè? O sei troppo stanca? Guarda che si può rimandare eh, ci mancherebbe.”
Pausa, pausa, scribble, scribble.
“Se non ti fa schifo che sono in pigiama volentierissimo!”
***
I grilli.
Non li ascoltavo da una vita, sono bellissimi. Seduti su tre scalini di pietra di una vecchia casa con cortile rurale, un uomo e una ragazza chiacchierano sottovoce, dopo aver bevuto un caffè di sopra ed aver reso onore ai simpatici vegliardi.
La ragazza indossa un pigiamino a fiori rosa su fondo azzurro, leggero, i cui pantaloni arrivano sino a metà polpaccio, calza delle infradito di gomma color azzurro cielo con suola color azzurro cielo e bianca e si copre le spalle con una felpa grigia col cappuccio.
La ragazza non è bella, non lungo i parametri della figheria riconosciuta a livello europeo. Lei rappresenta l’assoluta gradevole normalità, tinta di una somiglianza non vaga con Debora Villa prima che diventasse anoressica e marcatamente figa aggressive, up-to-date. megakewl.
I due siedono, chiacchierano, lei tenta di affrontare l’argomento “amica deficiente” ma lui non ha cazzi, lui invece si gira una cannina chiedendone il permesso e resta stupito di come lei ne richieda un tiro con totale naturalezza, “Ma tu non eri una non fumatrice?” – “Di sigarette sì, ma a una cannetta tranquilla non dico mai di no, è che il Sa-aaarti mi rompe i coglioni”.
Eccerto. Il puttaniere inverecondo rompe i coglioni alla santa donna per un cannino.
Mi sembra equo ed equilibrato. E’ moralmente giusto.
E i due chiacchierano, chiacchierano, chiacchierano, anche un po’ lubrificati dall’erbetta pazzescapazzeschissima, ma anche perché ce n’avevano da dirsi, negli effetti, a livello generale.
E i grilli grillano che è un piacere autentico e la ragazza chiede all’uomo se ce n’ha ancora da girare che era buonissima e l’uomo, pacatamente, risponde incominciando a preparare, mentre la donna si abbraccia le ginocchia e lo guarda di traverso col capo appoggiato alle ginocchia stesse.
“Stai bene coi capelli raccolti” - egli dice rollando esperto lo spinuzzo – “sì, sto bene come mia nonna Abelarda, ma son troppo comodi” – replica l’insoddisfatta ragazza.
E i grilli grillano, gli spini spinano, le chiacchiere chiacchierano e l’uomo, ben sciolto dalle fumigazioni si spinge a dire ciò che pensava sin lì ma non aveva il coraggio di dire, ovvero “Che bei piedi che hai, non te li avevo mai visti”, affermazione che scivola molle e che porta come risultato una verticalizzazione con spread delle dita e nessun commento di ritorno.
Fumagione, passagione e poi l’uomo richiede un parere all’amica: “Secondo te” – egli inizia con aria impegnata – “è da considerarsi un gesto intimo se un uomo ti tocca le dita dei piedi?”
“In che senso ‘intimo’?” – chiede lei accingendosi al tirino – “nel senso di valenza erotica e/o sessuale” – risponde lui riprendendo il cannino – “boh, non credo” – dice lei appena pensierosa – “sei un feticista?” – chiede intelligentemente – “Sì, molto” – risponde egli affogato di verità – “E allora me lo devi dire tu che valenza erotica ha per te toccare le dita dei piedi di una donna” – incalza lei ben lucida relativamente alla logica della discussione di spessore – “Per me ha un’alta valenza erotica” – risponde lui passando il cadaverino ormai morente – “Ecco” – dice lei aspirando con un occhio semichiuso, mentre lui approfondisce – “Quindi se io te le toccassi, sapendo tu che per me il gesto ha una valenza erotica, ti infastidirebbe?” – “Credo proprio di no” - e poi squilla in una risata – “D’altra parte, dopo aver visto il tuo pisello duro ieri, credo di non sapere di cosa stiamo parlando”
E l’uomo ride e poi si fa serio e poi tocca, sotto lo sguardo molle e sorridente di lei che continua a guardarlo di traverso con la testa sulle ginocchia abbracciate.
Null’altro.
Nient’altro.
Un rilievo sull’ora tarda dopo un silenzioso periodo di carezze fetish a quelle lisce dita calde, un bacio della buona notte ed un ritorno a casa voglioso e necessitante di abbondantissima masturbazione e di iperattività notturna che aiutasse a porre un filo conduttore a sensazioni imprecise ed agitanti, miste al terrore di essere a un passo dal baratro devastante, miste alla magia dei grilli e di un’intimità dolce, inattesa ed intensissima.
Ditemi che non mi sto ficcando nei guai.
Una domenica campale, passata a smobilitare il mobilio approssimativamente giunto in casa, componendo angoli tv, collegando cavi, avvitando letti, pulendo libri, armadi, comodini, cazzi e, soprattutto, mazzi vari.
Ore 20:00 paninetto misto aria giù al Centrale, che la Raffa è frocia e me lo ha anche confermato qualcun altro, mentre altri ancora dicono che è mezza e mezza, cosa che mi metterebbe in overbooking volentieri, perché la tecno-cougar è assai appetitosa ed inquietante, anche se tutti concordano che è tempo perso.
Poi su a casa, preparare il letto fresco, doccia depolverizzante e, alla volta delle ventidue e zerotre mi scappa un uozzappo, ma non alla Skizza, ma alla Anto.
Uozzappo da amicommerda, ben cosciente che il Sa-aaarti (che fa l’autista di quei furgononi col tetto alto e le ruote doppie dietro) a quell’ora della domenica è in fase di riposo/preparazione perché parte alla volta delle ventitre e qualcosa.
“Dormi?” esordisco in punta di tasti della graziosa applicazione.
“No! Stavo guardando Report” e segue un faccino sorridente.
La Anto, dovete sapere, è una trentacinquenne che vive ancora con la mamma e il babbo, è tristemente disoccupata causa licenziamento dalla fabbricona dove lavorava come amministrativa e ora trascorre le sue giornate a far da badante ai suoi (simpaticissimi, peraltro) genitori, sperando che Gesù Bambino le porti anticipatamente un lavoro.
“Report. Da ammazzarsi dall’ottimismo” ricamo con garbo.
“Infatti!” risponde con faccina sorridente con bocca aperta.
“Te la butto lì” chioso con simpatia fratellonza “ma se io venissi lì tu me lo offrissi un caffè? O sei troppo stanca? Guarda che si può rimandare eh, ci mancherebbe.”
Pausa, pausa, scribble, scribble.
“Se non ti fa schifo che sono in pigiama volentierissimo!”
***
I grilli.
Non li ascoltavo da una vita, sono bellissimi. Seduti su tre scalini di pietra di una vecchia casa con cortile rurale, un uomo e una ragazza chiacchierano sottovoce, dopo aver bevuto un caffè di sopra ed aver reso onore ai simpatici vegliardi.
La ragazza indossa un pigiamino a fiori rosa su fondo azzurro, leggero, i cui pantaloni arrivano sino a metà polpaccio, calza delle infradito di gomma color azzurro cielo con suola color azzurro cielo e bianca e si copre le spalle con una felpa grigia col cappuccio.
La ragazza non è bella, non lungo i parametri della figheria riconosciuta a livello europeo. Lei rappresenta l’assoluta gradevole normalità, tinta di una somiglianza non vaga con Debora Villa prima che diventasse anoressica e marcatamente figa aggressive, up-to-date. megakewl.
I due siedono, chiacchierano, lei tenta di affrontare l’argomento “amica deficiente” ma lui non ha cazzi, lui invece si gira una cannina chiedendone il permesso e resta stupito di come lei ne richieda un tiro con totale naturalezza, “Ma tu non eri una non fumatrice?” – “Di sigarette sì, ma a una cannetta tranquilla non dico mai di no, è che il Sa-aaarti mi rompe i coglioni”.
Eccerto. Il puttaniere inverecondo rompe i coglioni alla santa donna per un cannino.
Mi sembra equo ed equilibrato. E’ moralmente giusto.
E i due chiacchierano, chiacchierano, chiacchierano, anche un po’ lubrificati dall’erbetta pazzescapazzeschissima, ma anche perché ce n’avevano da dirsi, negli effetti, a livello generale.
E i grilli grillano che è un piacere autentico e la ragazza chiede all’uomo se ce n’ha ancora da girare che era buonissima e l’uomo, pacatamente, risponde incominciando a preparare, mentre la donna si abbraccia le ginocchia e lo guarda di traverso col capo appoggiato alle ginocchia stesse.
“Stai bene coi capelli raccolti” - egli dice rollando esperto lo spinuzzo – “sì, sto bene come mia nonna Abelarda, ma son troppo comodi” – replica l’insoddisfatta ragazza.
E i grilli grillano, gli spini spinano, le chiacchiere chiacchierano e l’uomo, ben sciolto dalle fumigazioni si spinge a dire ciò che pensava sin lì ma non aveva il coraggio di dire, ovvero “Che bei piedi che hai, non te li avevo mai visti”, affermazione che scivola molle e che porta come risultato una verticalizzazione con spread delle dita e nessun commento di ritorno.
Fumagione, passagione e poi l’uomo richiede un parere all’amica: “Secondo te” – egli inizia con aria impegnata – “è da considerarsi un gesto intimo se un uomo ti tocca le dita dei piedi?”
“In che senso ‘intimo’?” – chiede lei accingendosi al tirino – “nel senso di valenza erotica e/o sessuale” – risponde lui riprendendo il cannino – “boh, non credo” – dice lei appena pensierosa – “sei un feticista?” – chiede intelligentemente – “Sì, molto” – risponde egli affogato di verità – “E allora me lo devi dire tu che valenza erotica ha per te toccare le dita dei piedi di una donna” – incalza lei ben lucida relativamente alla logica della discussione di spessore – “Per me ha un’alta valenza erotica” – risponde lui passando il cadaverino ormai morente – “Ecco” – dice lei aspirando con un occhio semichiuso, mentre lui approfondisce – “Quindi se io te le toccassi, sapendo tu che per me il gesto ha una valenza erotica, ti infastidirebbe?” – “Credo proprio di no” - e poi squilla in una risata – “D’altra parte, dopo aver visto il tuo pisello duro ieri, credo di non sapere di cosa stiamo parlando”
E l’uomo ride e poi si fa serio e poi tocca, sotto lo sguardo molle e sorridente di lei che continua a guardarlo di traverso con la testa sulle ginocchia abbracciate.
Null’altro.
Nient’altro.
Un rilievo sull’ora tarda dopo un silenzioso periodo di carezze fetish a quelle lisce dita calde, un bacio della buona notte ed un ritorno a casa voglioso e necessitante di abbondantissima masturbazione e di iperattività notturna che aiutasse a porre un filo conduttore a sensazioni imprecise ed agitanti, miste al terrore di essere a un passo dal baratro devastante, miste alla magia dei grilli e di un’intimità dolce, inattesa ed intensissima.
Ditemi che non mi sto ficcando nei guai.
Sabato sera grigliale alla cauntri aus maxiale
Sabato tardo pomeriggio / sera
Partecipo con vigore sin dal pomeriggio, portando con l’Umbe e il camioncino del Max il carico della legna da ardere. Perché le sabatiadi maxee, al momento, prescindono dalla presenza dei due futuri spozzi, già in tutt’altre faccende affacendati.
E così lo scettro del comando viene impugnato dall’Antonella, executive chef, che comanda i materiali al Sa-aaarti, spacciatore ufficiale di carne e verdure e vini e, questo sabato, schiavizza anche due commis de rang addetti alla legna: me e l’Umbe.
E, appena guadagnata una distanza lontana da orecchie indiscrete la Anto, molto diretta e già abbondantemente informata, mi chiede sottovoce “Ma che cazzo è successo ieri sera?”.
Spiego molle, dapprima svagato, scazzato, disturbato, poi innervosito, poi vengo interrotto con quesiti pertinenti che mi appaiono impertinenti e insisto con vigore, poi inizio a sentire l’incazzatura, poi libero lo sfogo, poi mi incazzo veramente e, come spesso avviene, incazzandomi veramente mi diventa duro l’uccello e, ebbene sì, lì, davanti all’Antonella, Mastro Tarello si è imbufalito con me, premendo visibilmente attraverso i pantaloni da jogging grigi senza lasciare nulla, ma proprio nulla all’immaginazione, agevolando enormemente l’Antonella sulla comprensione precisa delle mie inusuali misure che non l’hanno lasciata totalmente indifferente, considerando che ha sì retto la conversazione con coerenza, ma con l’occhio che scappava continuamente sul pezzo, sinché mi sono sentito obbligato a scusarmi spiegando il fenomeno e lei, con un malcelato sorriso, mi ha pregato di non scusarmi affatto che se mi succede mi succede, e sì che mi succede, e se ti succede ebeh, ebeh sì mi succede e poi d’un tratto comincia a sventolarsi col grembiule ridendo, rossa in viso, dicendo “che caldo che m’è venuto!”.
E’ la primavera, suggerisco io e lei ne conviene, non senza gettare un’ultima occhiata al mio femore di dinosauro sempre più duro a causa dell’esibizionistica situazione che ha indotto il viraggio dell’erezione da tecnica (mi tira perché incazzandomi stringo le chiappe) a motivazional-erotica.
E ho provato una fortissima voglia di chiavarmela alla pecora sulla tavola, abbassandole quei pinocchietti elasticizzati di tristissimo colore isabellino, denudandole le terga tonde e generose e probabilmente candide, per farle assaggiare nella fica bagnata, gonfia, schiusa e calda la qualità superiore della Carne di Cazzo Crudo di Gran Porco IGP, allevato solo a seghe e succo di fica, culo, ascelle e piedi sudati di femmina in ovulazione.
Cristo Santo.
Meglio che me ne vada all’estero, sì.
Alla svelta.
Qui sta diventando ingestibile e pericolosissimo tutto.
Il prandiale del sabato maschiale taziale
Sabato mezzogiorno
Formazione: io a capo tavola e dalla mia destra a seguire: il Max-libero-ma-poi-deve-andare-velocemente, Virus-Ceccherini, l’Umbe, Zack, il Sa-aaarti.
“T’ha spompato per benino” mi dice il Virus lento e riverente affrontando una coscia di galletto che gli unge le mani.
“Non c’è male” rispondo io con pacatezza, combattendo il senso di vomito.
Nessuno sapeva della serata al restorant de clas con quella, grazie a dio.
Altrimenti sarei stato ucciso di interrogatorio.
Si pranza, si rutta, si parla di sesso anale e poi il Max abbandona il fine desco e allora giù di riunione carbonara.
“Oh ragass, muoversi adesso.” dice il reverendo Sa-aaarti concitato.
Si è entrati nell’argomento “addio al celibato di Max”.
A parte il fatto che mi scomporrei assai di più per essere invitato all’addio al nubilato della Nadia (vi confesso) e che mi sentirei anche di reggere in contemporanea lei e un tre-quattro delle sue amichette, la faccenda adesso è agli sgoccioli.
La maialata, che è in progetto dall’età minoica, ormai non ha più margine. Martedì sera è la data, decisa e inalienabile ed è per questo che si lavora sui dettagli.
Inutile dirvi che non ci andrò, rendendomi irreperibile all’ultimo minuto, anche se nessuno sa nulla.
Ciò che invece mi ha fatto piacere è che il Max sia stato ultrafelice del mio regalo-viaggiodinoche.
“Non dovevi, cazzo” mi dice commosso in separata sede quando arrivo.
“Massì che dovevo, perché volevo e potevo” rispondo “vorrà dire che mi ripagherai con una vostra foto nudi sulla meravigliosa spiaggia roquera” e lì si ride, ma intanto speriamo che mi prenda in parola.
Tanto io all’addio al celibato non ci vado.
Formazione: io a capo tavola e dalla mia destra a seguire: il Max-libero-ma-poi-deve-andare-velocemente, Virus-Ceccherini, l’Umbe, Zack, il Sa-aaarti.
“T’ha spompato per benino” mi dice il Virus lento e riverente affrontando una coscia di galletto che gli unge le mani.
“Non c’è male” rispondo io con pacatezza, combattendo il senso di vomito.
Nessuno sapeva della serata al restorant de clas con quella, grazie a dio.
Altrimenti sarei stato ucciso di interrogatorio.
Si pranza, si rutta, si parla di sesso anale e poi il Max abbandona il fine desco e allora giù di riunione carbonara.
“Oh ragass, muoversi adesso.” dice il reverendo Sa-aaarti concitato.
Si è entrati nell’argomento “addio al celibato di Max”.
A parte il fatto che mi scomporrei assai di più per essere invitato all’addio al nubilato della Nadia (vi confesso) e che mi sentirei anche di reggere in contemporanea lei e un tre-quattro delle sue amichette, la faccenda adesso è agli sgoccioli.
La maialata, che è in progetto dall’età minoica, ormai non ha più margine. Martedì sera è la data, decisa e inalienabile ed è per questo che si lavora sui dettagli.
Inutile dirvi che non ci andrò, rendendomi irreperibile all’ultimo minuto, anche se nessuno sa nulla.
Ciò che invece mi ha fatto piacere è che il Max sia stato ultrafelice del mio regalo-viaggiodinoche.
“Non dovevi, cazzo” mi dice commosso in separata sede quando arrivo.
“Massì che dovevo, perché volevo e potevo” rispondo “vorrà dire che mi ripagherai con una vostra foto nudi sulla meravigliosa spiaggia roquera” e lì si ride, ma intanto speriamo che mi prenda in parola.
Tanto io all’addio al celibato non ci vado.
La bagascia termica
Venerdì notte / Sabato mattina
Che bell’oggetto, l’iPhone. Mi ha consentito di bloccare l’utente Maggie e di percorrere in assoluta tranquillità la misera tratta stradale di meno di quaranta chilometri che separano il restorant de clas dalle Terme.
In fin dei conti, essendo terminata la cena della preconoscenza alle precoci ore ventidue e trentasette minuti, rimaneva del tempo per concedersi una piccola distrazione medicamentosa dalla seccatura dianzi vissuta.
E allora alle Terme, deciso, si va.
Le Terme, sublime luogo di mens sana in corpore sano per qualsiasi categoria di umano le frequenti: dall’ottuagenario alla ricerca di benefici alla prostata, all’appena più che quarantenne alla ricerca di benefici alla prostata, magari più immediati e magari anche parecchio dissociati dal complesso tema della termalità collinare oggi.
***
Al banco d’acciaio e pelle scamosciata marrone, mentre le lucine disco sfarfallano e Sylvester cinguetta You make me feel mighty real, si siede accanto a me la Femmina SeSuale, piaZere SCimona, piacere Tazio, ma che bell’accento italiano, amica bagascia ultra cinquantenne abbronzata come un Ringo al cioccolato e plissettata come un ippopotamo, col taglio frisè biondo platino tardi anni ottanta. Ah! sei di Lugo, ma accidenti che meraviglia! e dimmi, bagascia ultra cinquantenne di Lugo, come fai a sopravvivere con la concorrenza sovietica quasi prepuberale che riempie ogni spazio intermolecolare del circondario? Mo perché io sono italiana e ci so fare anche del gran bene e allora mi hai convinto, amica bagasciona, parliamo di soldi senza vergogna che non vedo l’ora di infilarti il naso nel buco del culo ricco di ghiandole ferormoniche e così ne parliamo, pattuiamo durata, richiesta, performance, no amica bagascia, non c’arrivo manco se rompo il maialino e allora dimmi tu Tazio e il Tazio dice: tutto scoperto, clistere, faccia, ingoio, piedi, primo e secondo canale, sport acquatici, overnight tranquillo in alberghetto a mio carico, mille pezzi secchi e poi procurami della botta che voglio che ci divertiamo abbestia e lei aggiunge due pezzi e accetta dicendomi che la botta ce l’ha già seco e allora via verso l’alberghetto lurido e disonesto.
Che bella suineria senza fronzoli, cazzommerda.
Dritti al dunque, ben infarinati e ben disinibiti, così mi piace, così mi voleva, amica bagascia di Lugo senza freni d’alcun genere, che delizioso risveglio familiare con te, vacca nuda che sembri morta spiaggiata di pancia e la filippina in camera che ci prega di rimuovere velocemente i culi dalla stanza.
Ore dieci.
Sgommare, amica bagascia, che ho un pranzo importante a cui non rinuncerei mai.
Sì, certo, lasciami il numero, certo.
Che tanto non ti richiamerò mai.
Che bell’oggetto, l’iPhone. Mi ha consentito di bloccare l’utente Maggie e di percorrere in assoluta tranquillità la misera tratta stradale di meno di quaranta chilometri che separano il restorant de clas dalle Terme.
In fin dei conti, essendo terminata la cena della preconoscenza alle precoci ore ventidue e trentasette minuti, rimaneva del tempo per concedersi una piccola distrazione medicamentosa dalla seccatura dianzi vissuta.
E allora alle Terme, deciso, si va.
Le Terme, sublime luogo di mens sana in corpore sano per qualsiasi categoria di umano le frequenti: dall’ottuagenario alla ricerca di benefici alla prostata, all’appena più che quarantenne alla ricerca di benefici alla prostata, magari più immediati e magari anche parecchio dissociati dal complesso tema della termalità collinare oggi.
***
Al banco d’acciaio e pelle scamosciata marrone, mentre le lucine disco sfarfallano e Sylvester cinguetta You make me feel mighty real, si siede accanto a me la Femmina SeSuale, piaZere SCimona, piacere Tazio, ma che bell’accento italiano, amica bagascia ultra cinquantenne abbronzata come un Ringo al cioccolato e plissettata come un ippopotamo, col taglio frisè biondo platino tardi anni ottanta. Ah! sei di Lugo, ma accidenti che meraviglia! e dimmi, bagascia ultra cinquantenne di Lugo, come fai a sopravvivere con la concorrenza sovietica quasi prepuberale che riempie ogni spazio intermolecolare del circondario? Mo perché io sono italiana e ci so fare anche del gran bene e allora mi hai convinto, amica bagasciona, parliamo di soldi senza vergogna che non vedo l’ora di infilarti il naso nel buco del culo ricco di ghiandole ferormoniche e così ne parliamo, pattuiamo durata, richiesta, performance, no amica bagascia, non c’arrivo manco se rompo il maialino e allora dimmi tu Tazio e il Tazio dice: tutto scoperto, clistere, faccia, ingoio, piedi, primo e secondo canale, sport acquatici, overnight tranquillo in alberghetto a mio carico, mille pezzi secchi e poi procurami della botta che voglio che ci divertiamo abbestia e lei aggiunge due pezzi e accetta dicendomi che la botta ce l’ha già seco e allora via verso l’alberghetto lurido e disonesto.
Che bella suineria senza fronzoli, cazzommerda.
Dritti al dunque, ben infarinati e ben disinibiti, così mi piace, così mi voleva, amica bagascia di Lugo senza freni d’alcun genere, che delizioso risveglio familiare con te, vacca nuda che sembri morta spiaggiata di pancia e la filippina in camera che ci prega di rimuovere velocemente i culi dalla stanza.
Ore dieci.
Sgommare, amica bagascia, che ho un pranzo importante a cui non rinuncerei mai.
Sì, certo, lasciami il numero, certo.
Che tanto non ti richiamerò mai.
Spiegatemelo bene voi, perché io non ci capisco veramente un gran cazzo
Venerdì sera.
Arriva l’ora X, ci troviamo direttamente al restorànt de clas individuato dal Tazietti, io sono bello molto più di Adone, lei è giù da guerra che rimango con la mandibola pendula, ci sediamo, ha-ha-ha, he-he-he, clima rilassato, caldo, flirt che continua signorile e persino d’altri tempi, con un Tazio Cavaliere che mi mancava solo il cavallo animale a far compagnia a quello dei pantaloni e una Maggie Gran Dama che sensuale tinge di sfumature accattivanti la conversazione. Poi antipasto delizioso, si cena all’aperto, ma in un angolo intimo, bevendo Vedova, si affronta il meraviglioso primo, si chiacchiera morbidi, poi lei si accende la trentaseiesima sigaretta sotto il bersò e, mentre io le carezzo le dita in segno di disarmata devozione, l’Avvocatessa si fa seria e procede monocorde alla lettura della scrittura privata tra le parti alla quale io avrei dovuto apporre la mia firma. Inenarrabili punti intervallati da incisi interminabili in cui viene ribadito un concetto cardine affiancato da una complessa ontologia tassonomica di sottoconcetti paracardinizi, riassumibili (in molto meno dei trentatre minuti che l’Avvocatessa ha impegnato) in un: tutta questa corte mi imbarazza e non la capisco, io non ci sono abituata, non vorrei che ti fossi messo in testa cose affrettate, sei interessante, sì lo ammetto, ma dobbiamo conoscerci mooooolto bene e per conoscere moooooolto bene una persona io ci metto tanto, tanto, tanto, tempo.
Tempismo e location perfetti, with compliments.
E’ così che funziona, infatti: si flirta, si accetta la cena importante (non era certo una pizza ignorante, credetemi), ci si va tirate come una scalda cazzi da premier league, si sorseggia champagne al lumino di candela sotto il bersò, avvolti dalla nube tabagica e poi, d’improvviso, senza alcun motivo, si strizzano nervosamente gli occhietti incorniciati dalle borse nicotiniche per procedere solerti a congelare tutto con un manualetto triste di regole per il disuso fondate sulla lenta conoscenza reciproca, che hanno un effetto dirompente sul mio scroto che deflagra e le dico, con un sorriso plastico vicino alla paralisi da ischemia cerebrale, che mi trovo d’accordo come nemmeno si immagina e che, proprio per il mio assoluto ed incondizionato allineamento alla questione così opportunamente, elegantemente e cordialmente introdotta, propongo di interrompere la cena in quel momento preciso ed esatto, sbattendocene del secondo, proprio per non affastellare in troppo breve tempo la conoscenza, disintegrando (come giustamente segnalato) l’imbarazzante, inusuale ed incomprensibile flirt, per riposizionare i nostro probabile quasi rapporto lungo più chiare “Norme transitorie in materia di rapporti interpersonali” e la aiuto velocissimo ad indossare l’elegante giacca color corda e mi reco a razzo alla cassa a saldare il conto, lasciandola come una minchia di sale a pormi ridicoli e falsi quesiti del tipo “Mi spieghi perché ti sei incazzato adesso?” come a dire “mi spieghi come mai, tra I TUOI trentaduemila atteggiamenti incomprensibili e stupidi ora c’è ANCHE l’incazzatura?”
Gradirei un vostro commento per comprendere.
Ho finito i vaffanculo e anche tutte le bestemmie multilingua che conosco a menadito.
Pazzesco.
Arriva l’ora X, ci troviamo direttamente al restorànt de clas individuato dal Tazietti, io sono bello molto più di Adone, lei è giù da guerra che rimango con la mandibola pendula, ci sediamo, ha-ha-ha, he-he-he, clima rilassato, caldo, flirt che continua signorile e persino d’altri tempi, con un Tazio Cavaliere che mi mancava solo il cavallo animale a far compagnia a quello dei pantaloni e una Maggie Gran Dama che sensuale tinge di sfumature accattivanti la conversazione. Poi antipasto delizioso, si cena all’aperto, ma in un angolo intimo, bevendo Vedova, si affronta il meraviglioso primo, si chiacchiera morbidi, poi lei si accende la trentaseiesima sigaretta sotto il bersò e, mentre io le carezzo le dita in segno di disarmata devozione, l’Avvocatessa si fa seria e procede monocorde alla lettura della scrittura privata tra le parti alla quale io avrei dovuto apporre la mia firma. Inenarrabili punti intervallati da incisi interminabili in cui viene ribadito un concetto cardine affiancato da una complessa ontologia tassonomica di sottoconcetti paracardinizi, riassumibili (in molto meno dei trentatre minuti che l’Avvocatessa ha impegnato) in un: tutta questa corte mi imbarazza e non la capisco, io non ci sono abituata, non vorrei che ti fossi messo in testa cose affrettate, sei interessante, sì lo ammetto, ma dobbiamo conoscerci mooooolto bene e per conoscere moooooolto bene una persona io ci metto tanto, tanto, tanto, tempo.
Tempismo e location perfetti, with compliments.
E’ così che funziona, infatti: si flirta, si accetta la cena importante (non era certo una pizza ignorante, credetemi), ci si va tirate come una scalda cazzi da premier league, si sorseggia champagne al lumino di candela sotto il bersò, avvolti dalla nube tabagica e poi, d’improvviso, senza alcun motivo, si strizzano nervosamente gli occhietti incorniciati dalle borse nicotiniche per procedere solerti a congelare tutto con un manualetto triste di regole per il disuso fondate sulla lenta conoscenza reciproca, che hanno un effetto dirompente sul mio scroto che deflagra e le dico, con un sorriso plastico vicino alla paralisi da ischemia cerebrale, che mi trovo d’accordo come nemmeno si immagina e che, proprio per il mio assoluto ed incondizionato allineamento alla questione così opportunamente, elegantemente e cordialmente introdotta, propongo di interrompere la cena in quel momento preciso ed esatto, sbattendocene del secondo, proprio per non affastellare in troppo breve tempo la conoscenza, disintegrando (come giustamente segnalato) l’imbarazzante, inusuale ed incomprensibile flirt, per riposizionare i nostro probabile quasi rapporto lungo più chiare “Norme transitorie in materia di rapporti interpersonali” e la aiuto velocissimo ad indossare l’elegante giacca color corda e mi reco a razzo alla cassa a saldare il conto, lasciandola come una minchia di sale a pormi ridicoli e falsi quesiti del tipo “Mi spieghi perché ti sei incazzato adesso?” come a dire “mi spieghi come mai, tra I TUOI trentaduemila atteggiamenti incomprensibili e stupidi ora c’è ANCHE l’incazzatura?”
Gradirei un vostro commento per comprendere.
Ho finito i vaffanculo e anche tutte le bestemmie multilingua che conosco a menadito.
Pazzesco.
venerdì 8 maggio 2015
Il lunghissimo post del mattinale capovolgente che suggella l'imperiale immensità del Tazio Superstar
Olè, olè, olè e allora eccoti, Maggie delle mie seghe interminabili, eccoti che non mi deludi in questa tarda mattinata bella calda, eccoti vertiginosamente sandalata da minchiaiola scandalosa, unghie bianco perlato, che esci dalla botteghetta e mi vieni incontro con la gonna al ginocchio carta da zucchero e la camicEtta bianca senza maniche sotto la quale si vede il reggiseno bianco importante di lavorazione, eccoti che mi sudi al bar sotto l’ombrellone e mi aloni appena di bagnato sensuale lo scollo sotto l’ascella ed eccoti che mi fai tirare anche il buco del culo al pensiero di leccarti sudata e di annusarti sotto le dita dei piedi.
“Quand’è che passi a Nizza” mi dice poco prima al telefono la MissMilly umorale che io, caparbio come un montone di marmo, ho richiamato. Ma come “Quand’è che passi a Nizza” stracazzo berbero, che va bene che la geografia è giurassica, ma a Nizza bisogna volerci venire perché non ci si passa per niuna ragione al mondo e faccio presente la cosa, così come sottolineo appena seccato che l’ultima volta non è che avessi ricevuto chissà quale incoraggiamento o segno di piacere nel sentirmi e lì mi becco del “Tazio sciocchino” che detto da quella voce sorridente e calda, maialescamente sussurrata, mi fa increspare il perineo come fosse un capezzolo e la cosa mi turba di piacere femminaschio.
E la Maggie intanto? Siede con l’occhiale da sole in Panavision Multisala incastonato nel cranio che mi ricorda Pamela Prati e chiacchiera fittafitta di argomenti di mio nullo interesse per i quali però, come sempre, fingo di provare un’attenzione pressoché accademica e la conversazione si snoda e io posso rimirare quei piedi scaldacazzi dalle belle dita lunghe e le belle unghie e perdermi a immaginare l’aroma sudato che a mio avviso deve essere molto maschio e, parallelamente, a visualizzare in diverse variazioni il suo pube, ora peloso, ora pelosissimo, ora glabro, ora strippato, ora qualsiasi cosa, ma sempre con la mia minchia di sopra, ma vi dirò che non avverto feeling, non sento trasporto, mi tratta proprio da conoscente, non apre, non lascia la mano, non ride, non concede, non.
Passa a Nizza, dice la Sublime Pervertita Patologica.
Ebbè certo, stupido me, come non averci pensato.
Seppur infastidito cerco di carpire informazioni su cosa, come, dove, chi, quando, perché e per come ella staziona colà e la bella Padrona Porca e Depravata sorride morbida e mi lascia intuire solo poche, ma sentite, cosucce del tipo che in quel momento è in spiaggia con addosso un tanga ridottissimo che le contiene a malapena i peli e la mente mi si intasa di monumentali tette e superbe natiche, di nerissima villosa e carnosa fica puzzolente, ma non mi perdo d’animo e resisto, continuando a pressare l’indagine e scopro che sì, è lì a Nizza perché sta con un tizio francese, che lei non si prostituisce più da un bel pochetto, ma che sarebbe anche dispostissima a ricominciare datosi che la vita della mantenuta di ultra lusso la annoia mortalmente (potete bestemmiare liberamente, l’ho fatto anche io al telefono con lei, a raffica) e poi rimembriamo i bei lerci tempi andati, i clisteri di detersivo per i pavimenti, le bevute di piscia collettiva, la sua schiava nera, le mie sodomie a maschioni urlanti condotte come se il culo che stavo sfondando fosse il suo, Divina Dea, che mi affiancava mentre inculavo violento e lurido, spingendomi ad essere preciso nei dettagli e alla fine chiedo se, qualora dovesse succedere (e torno a dire “se”), una mia salita a Nizza, questa sia imprescindibilmente legata alla conoscenza obbligatoria del merlo francese e mi viene risposto con una molle risata pornografica che ovviamente no, che si tratterebbe di qualche giorno trascorso con “libertina discrezione” tra vecchi amici lontano da Nizza a rimembrare meglio i bei sudici tempi andati e la volete sapere una cosa amisgi?, mi ci ha quasi convinto a salire a Nizza al più presto, cazzo di quella merda vigliacca.
E la Maggie intanto?
Ella rotea alienata la caviglia destra, quella della gamba destra che scavalla la sinistra ed in tal senso mi parla di Renzi, di Civati, del jobs act, del Movimento a Cinque Stelle e io mi sento di aver voglia di infilarle il cazzo nell’appiccicoso buco del culo sudato stringendole stretti i fianchi come fosse una fattrice al parto, mentre il mio scroto viene farcito di questi interessantissimi discorsi di politicammerda e mi chiedo se può essere ancora plausibile ritenere di poterla chiavare, questa bella cavallona cougarona, avvertendo una sorta di crisi di nervi data dalla dissociazione progressiva tra il centro dei miei interessi carnali bestiali e la sconfinata prateria di cazzate che mi viene somministrata con tono monocorde, politicamente impegnato e noiosamente dissuadente e allora mi appello allo spirito del Taziosaurus Coitis che dorme in fondo alla caverna degli orrori e decido di capovolgere la situazione portandola sul crinale della rottura, sul pericoloso filo del rasoio dal quale ci si può fare soprattutto un bel taglione netto dei coglioni, ma sinceramente basta, non ne posso più di ascoltar di emorroidi gonfie e così attacco, secco, basso, di tackle, spiazzando, virando, avviando una strambata che manco Cino Ricci le ha mai viste così sapienti e le prendo la mano e le bacio le dita, gelandole sulla lingua il soliluquio dell’insussistenza, ricavandomi lo spazio per mormorarle lentamente e sensualmente, da Grandissimo Laido Figlio di Puttana Bastardo Falso Corrotto e Fariseo (quale solo io so deliziosamente essere) che provo una magnetica attrazione nei suoi confronti e che rimango estasiato ad ascoltarla e a guardarla, che anche se mi leggesse il bugiardino dell’Oki per ore lo troverei attraente e sensuale e tutto diventa diverso, si tinge di rossore e risate, di “ma dai scemo!” a segno di un apprezzamento vivace delle mie parole ed il tono scivola dapprima sullo scherzoso, ma poi io incalzo, rafficando una quantità di immani cazzate che nemmeno me le ricordo e delle quali io stesso mi stupisco di esserne fertile produttore, ma che piantano la bella Femmina lì, con gli occhi sorridenti e brillanti a farsi tormentare le dita dalle mie, divertita, interessata, lusingata di signorili apprezzamenti sul suo corpo e i suoi modi magnetici, e non mollo, cesello, intarsio, tornisco e raffino, smonto scene di sabatiadi passate e le rimonto con un raffinato tocco di regia consumata e finalmente, SI’!, finalmente si flirta! cazzo marcio di quella travona della Barbie frocissima, finalmente usciamo dallo schema e quella caviglia smette di roteare mentre lei mi ascolta sino all’ultima sillaba, ebbra delle bugie che da sempre vuole scolarsi avida e poi, modulando la voce coi toni soavi del filarino, mi dice che la prendo in giro, che non si sente così sexy e bella e attraente e interessante e io mi addresso per il secondo giro, per la ripetizione, per la replica e giuro e spergiuro che PER ME è vero, minacciando di mettermi in ginocchio per essere creduto ed è fatta, fatta, fatta, fatta, finalmente la caldaia non è più in blocco, finalmente il concetto “Tazio Uomo Adulto Single piacere moltamente molto Margherita Donna Adulta Single”, è chiaro, solido, divertente e flirtaiolo e si tramuta con uno schiocco di dita in cena, stasera, ore ventuno, dopo il suo yoga (va a yoga! Mi voglio ammazzare!) e io sarò un dio greco, bellissimo come solo un Uomo stupendo come il Tazio che vive col suo tempo e la performàns sa essere, corteggiante e intelligente, non frettoloso, perché no, non è stasera, noooooo, NOOOOOOOOOOOOOOO AMISGIIIIIIIIII, ma sarà DOMANI sera la sera in cui sferrerò l’attacco mortale liberando il Taziosaurus Trapanis, riportandola a cena di nuovo, ma senza gruppone questo sabato, in una nuova solitaria spericolata che, come da calendario delle convenzioni internazionali, può legalmente sfociare nella ficcagione selvatica passando dal via e ritirando anche la bella ventimila lire che nessuno può ostare nulla.
E a Nizza?
A Nizza c’è la Padrona che m’Attizza, che aspetta che il TazioPornoDimmerda si dia da fare per procurarle l’occasione utile a cornificare con soddisfazione uterina devastante il francese agiato, per umiliarlo con lo sviluppo carbonaro di blasfeme ghiottonerie sessuali depravate coperte dalla cifra di “libertina discrezione” che, in Italia come in Francia, non vuol dire un cazzo se non “vieni su, porcoddio, che ho bisogno sanguinario di megaminchia di grosso calibro e di uno spostato mentale che la sappia usare bene come solo tu sai fare, perchè ho bisogno di fare la sozza come piace a me e anche a te”.
Non male il risvolto di questo disinvolto mattinale, non male, non male.
Si incomincia a giocare con le cose vere, bene, bene, bene.
Grandissimo Tazio, superberrimo.
As always.
“Quand’è che passi a Nizza” mi dice poco prima al telefono la MissMilly umorale che io, caparbio come un montone di marmo, ho richiamato. Ma come “Quand’è che passi a Nizza” stracazzo berbero, che va bene che la geografia è giurassica, ma a Nizza bisogna volerci venire perché non ci si passa per niuna ragione al mondo e faccio presente la cosa, così come sottolineo appena seccato che l’ultima volta non è che avessi ricevuto chissà quale incoraggiamento o segno di piacere nel sentirmi e lì mi becco del “Tazio sciocchino” che detto da quella voce sorridente e calda, maialescamente sussurrata, mi fa increspare il perineo come fosse un capezzolo e la cosa mi turba di piacere femminaschio.
E la Maggie intanto? Siede con l’occhiale da sole in Panavision Multisala incastonato nel cranio che mi ricorda Pamela Prati e chiacchiera fittafitta di argomenti di mio nullo interesse per i quali però, come sempre, fingo di provare un’attenzione pressoché accademica e la conversazione si snoda e io posso rimirare quei piedi scaldacazzi dalle belle dita lunghe e le belle unghie e perdermi a immaginare l’aroma sudato che a mio avviso deve essere molto maschio e, parallelamente, a visualizzare in diverse variazioni il suo pube, ora peloso, ora pelosissimo, ora glabro, ora strippato, ora qualsiasi cosa, ma sempre con la mia minchia di sopra, ma vi dirò che non avverto feeling, non sento trasporto, mi tratta proprio da conoscente, non apre, non lascia la mano, non ride, non concede, non.
Passa a Nizza, dice la Sublime Pervertita Patologica.
Ebbè certo, stupido me, come non averci pensato.
Seppur infastidito cerco di carpire informazioni su cosa, come, dove, chi, quando, perché e per come ella staziona colà e la bella Padrona Porca e Depravata sorride morbida e mi lascia intuire solo poche, ma sentite, cosucce del tipo che in quel momento è in spiaggia con addosso un tanga ridottissimo che le contiene a malapena i peli e la mente mi si intasa di monumentali tette e superbe natiche, di nerissima villosa e carnosa fica puzzolente, ma non mi perdo d’animo e resisto, continuando a pressare l’indagine e scopro che sì, è lì a Nizza perché sta con un tizio francese, che lei non si prostituisce più da un bel pochetto, ma che sarebbe anche dispostissima a ricominciare datosi che la vita della mantenuta di ultra lusso la annoia mortalmente (potete bestemmiare liberamente, l’ho fatto anche io al telefono con lei, a raffica) e poi rimembriamo i bei lerci tempi andati, i clisteri di detersivo per i pavimenti, le bevute di piscia collettiva, la sua schiava nera, le mie sodomie a maschioni urlanti condotte come se il culo che stavo sfondando fosse il suo, Divina Dea, che mi affiancava mentre inculavo violento e lurido, spingendomi ad essere preciso nei dettagli e alla fine chiedo se, qualora dovesse succedere (e torno a dire “se”), una mia salita a Nizza, questa sia imprescindibilmente legata alla conoscenza obbligatoria del merlo francese e mi viene risposto con una molle risata pornografica che ovviamente no, che si tratterebbe di qualche giorno trascorso con “libertina discrezione” tra vecchi amici lontano da Nizza a rimembrare meglio i bei sudici tempi andati e la volete sapere una cosa amisgi?, mi ci ha quasi convinto a salire a Nizza al più presto, cazzo di quella merda vigliacca.
E la Maggie intanto?
Ella rotea alienata la caviglia destra, quella della gamba destra che scavalla la sinistra ed in tal senso mi parla di Renzi, di Civati, del jobs act, del Movimento a Cinque Stelle e io mi sento di aver voglia di infilarle il cazzo nell’appiccicoso buco del culo sudato stringendole stretti i fianchi come fosse una fattrice al parto, mentre il mio scroto viene farcito di questi interessantissimi discorsi di politicammerda e mi chiedo se può essere ancora plausibile ritenere di poterla chiavare, questa bella cavallona cougarona, avvertendo una sorta di crisi di nervi data dalla dissociazione progressiva tra il centro dei miei interessi carnali bestiali e la sconfinata prateria di cazzate che mi viene somministrata con tono monocorde, politicamente impegnato e noiosamente dissuadente e allora mi appello allo spirito del Taziosaurus Coitis che dorme in fondo alla caverna degli orrori e decido di capovolgere la situazione portandola sul crinale della rottura, sul pericoloso filo del rasoio dal quale ci si può fare soprattutto un bel taglione netto dei coglioni, ma sinceramente basta, non ne posso più di ascoltar di emorroidi gonfie e così attacco, secco, basso, di tackle, spiazzando, virando, avviando una strambata che manco Cino Ricci le ha mai viste così sapienti e le prendo la mano e le bacio le dita, gelandole sulla lingua il soliluquio dell’insussistenza, ricavandomi lo spazio per mormorarle lentamente e sensualmente, da Grandissimo Laido Figlio di Puttana Bastardo Falso Corrotto e Fariseo (quale solo io so deliziosamente essere) che provo una magnetica attrazione nei suoi confronti e che rimango estasiato ad ascoltarla e a guardarla, che anche se mi leggesse il bugiardino dell’Oki per ore lo troverei attraente e sensuale e tutto diventa diverso, si tinge di rossore e risate, di “ma dai scemo!” a segno di un apprezzamento vivace delle mie parole ed il tono scivola dapprima sullo scherzoso, ma poi io incalzo, rafficando una quantità di immani cazzate che nemmeno me le ricordo e delle quali io stesso mi stupisco di esserne fertile produttore, ma che piantano la bella Femmina lì, con gli occhi sorridenti e brillanti a farsi tormentare le dita dalle mie, divertita, interessata, lusingata di signorili apprezzamenti sul suo corpo e i suoi modi magnetici, e non mollo, cesello, intarsio, tornisco e raffino, smonto scene di sabatiadi passate e le rimonto con un raffinato tocco di regia consumata e finalmente, SI’!, finalmente si flirta! cazzo marcio di quella travona della Barbie frocissima, finalmente usciamo dallo schema e quella caviglia smette di roteare mentre lei mi ascolta sino all’ultima sillaba, ebbra delle bugie che da sempre vuole scolarsi avida e poi, modulando la voce coi toni soavi del filarino, mi dice che la prendo in giro, che non si sente così sexy e bella e attraente e interessante e io mi addresso per il secondo giro, per la ripetizione, per la replica e giuro e spergiuro che PER ME è vero, minacciando di mettermi in ginocchio per essere creduto ed è fatta, fatta, fatta, fatta, finalmente la caldaia non è più in blocco, finalmente il concetto “Tazio Uomo Adulto Single piacere moltamente molto Margherita Donna Adulta Single”, è chiaro, solido, divertente e flirtaiolo e si tramuta con uno schiocco di dita in cena, stasera, ore ventuno, dopo il suo yoga (va a yoga! Mi voglio ammazzare!) e io sarò un dio greco, bellissimo come solo un Uomo stupendo come il Tazio che vive col suo tempo e la performàns sa essere, corteggiante e intelligente, non frettoloso, perché no, non è stasera, noooooo, NOOOOOOOOOOOOOOO AMISGIIIIIIIIII, ma sarà DOMANI sera la sera in cui sferrerò l’attacco mortale liberando il Taziosaurus Trapanis, riportandola a cena di nuovo, ma senza gruppone questo sabato, in una nuova solitaria spericolata che, come da calendario delle convenzioni internazionali, può legalmente sfociare nella ficcagione selvatica passando dal via e ritirando anche la bella ventimila lire che nessuno può ostare nulla.
E a Nizza?
A Nizza c’è la Padrona che m’Attizza, che aspetta che il TazioPornoDimmerda si dia da fare per procurarle l’occasione utile a cornificare con soddisfazione uterina devastante il francese agiato, per umiliarlo con lo sviluppo carbonaro di blasfeme ghiottonerie sessuali depravate coperte dalla cifra di “libertina discrezione” che, in Italia come in Francia, non vuol dire un cazzo se non “vieni su, porcoddio, che ho bisogno sanguinario di megaminchia di grosso calibro e di uno spostato mentale che la sappia usare bene come solo tu sai fare, perchè ho bisogno di fare la sozza come piace a me e anche a te”.
Non male il risvolto di questo disinvolto mattinale, non male, non male.
Si incomincia a giocare con le cose vere, bene, bene, bene.
Grandissimo Tazio, superberrimo.
As always.
Il fandango finto della Minchia Bufalera
Oh Emy, Emy, Emy, Emy, mormoro mantrico mentre le tue manine zozze armeggiano con lo splendore zoologico della mia Minchia Bufalera che fa aria di bufera. Emy, Emy, Emy, Emy, vieni qui piccola stupenda perfetta troiona dalle silenti voglie che voglio allungarti nella fica, come ai tempi dorati, tutta la mazza marmorea che si intosta tornendosi di impressionanti vene gonfie mentre annuso la tua asettica pelle bianca di donna bianca sintetica bisognosa di cazzo venoso e cappella violacea e lascia che strusci, prema, strizzi e cerchi in quella improbabile posizione il buco della fica che d’improvviso infilzo, travolto dal bollore interno e la tua bocca fa “oh” come i bambini di quel deficiente di Povia, mentre chirurgico spingo lentamente la mia sonda maxi all’interno dei tuoi teneri genitali alla ricerca della pietra ficoscopàle.
Che bella cenetta imbastita in due e due quattro, che bei temi sozzi, che bel piedino sulla mia pelle sotto il tavolo e cristissimo, Emiliana Gran Puttana, ma che voglia di grancazzo mi c’hai? Pari forse alla voglia che la mia Minchia Bufalera ha della tua fica di cera bianca? Nel parcheggio ci arrotoliamo come bisce nella macchina aziendale, la tua, che pare essere più comoda anche se più comoda non è, ma a noi checciffrega, noi siam elastici e arrapati e lecchiamo ciò che va leccato, piantiamo ciò che va piantato e denudiamo ciò che va denudato, cioè tutto e chiaviamo.
O Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, che splendore sei, nuda, mentre galoppi selvaggia sulla Extramazza che ti fa male quando preme di dentro in fondo, ma ti piace eccome quel malino sporcaccino, però io vis-a-vis un po’ di conversazione pornografica la voglio, che fa parte del mio background, del mio tempo, della mia performàns e scopro incredulo che non prendi il cazzo da Natale, scopro che le orgette casalinghe non sono (ahitè) più pervenute, scopro (sbattendotelo dentro come l’onda quando il cielo è scuro) che hai tanta voglia di farlo con una donna mulatta, scopro che l’idea del fiume porcone con alcuni sconosciuti porci nudi che se lo menano guardandoci chiavare ti piace da impazzire, scopro che nel culo al massimo un ditino e neanche sempre e scopro che, come già diffusamente detto, sei un bluff alimentato dalla tua lucida ultracoscienza di essere strafiga e, per questo, non ti dai nemmeno la pena sbattona di uscire da un qualche cliché standard (l’orgetta, la donna, l’esibizionismo) che detto nel momento in cui sei ripiena di cazzo come una faraona farcita di cazzo, assumono una valenza noiosa mortale, sopportabile solo poiché un corpo così si fatica a trovarlo a Hollywood e allora o ben che così o ben che un cazzo e io, che agisco sotto i comandi tirannici della Minchia Bufalera dico che ben venga la ultrafiga non talentuosa, che tanto è solo per stasera e del doman non v’è certezza.
Sborro ringhiando sui capezzolini duri e increspati, mentre dita perfettamente curate spalmano il nettare del dio cazzo su tutta la superficie della semisfera perfetta.
“Siamo due pazzi! Ma ti rendi conto che l’abbiamo fatto in macchina nel parcheggio?” gorgogli soddisfatta della tua “prodezza” da “pazza” (yawn) ed io mi affretto a puntualizzare che saremmo stati più pazzi se l’avessimo fatto in macchina in mezzo alla strada e tu ridi e ci rivestiamo, per poi dedicare quell’insopportabile mezz’ora ai baci e agli abbracci romantici che a me, scusate, fanno sboccare.
***
Torno a casa e uozzappo. Ma non alla Squinzy, alla Betta.
“Dormi?”.
No, non dorme. E’ sul divano in pigiama che non riesce a prendere sonno, brutto periodo, ma è stata felicissima di vedermi di sfuggita e di sapere che esisto ancora. Lavorare lavora a singhiozzo, l’hanno messa in cassa integrazione, il bimbone sta bene, va a scuola, è bravo, il cornuto è insopportabile, fatti forza Bettina, per forza Tazio.
“Pensi che ci incontreremo?” chiedo io speranzoso come uno scolaretto, ma un sorriso emoticons di modello base precede un “perché no, un caffè ce lo possiamo prendere” che suona tanto come “vediamoci pure, ma non credere di ricominciare da dove hai lasciato”.
E a furia di dai e dai, ‘sto concetto che mi arriva da più parti comincia ad avermi convinto.
Io il mio regno l’ho perso per sempre.
Mi rimangono solo degli anonimi villaggi di cui poco me ne fotte e poco me n'è sempre fottuto.
Va così.
Meglio farsene una ragione.
E riflettere.
Ci sta.
Che bella cenetta imbastita in due e due quattro, che bei temi sozzi, che bel piedino sulla mia pelle sotto il tavolo e cristissimo, Emiliana Gran Puttana, ma che voglia di grancazzo mi c’hai? Pari forse alla voglia che la mia Minchia Bufalera ha della tua fica di cera bianca? Nel parcheggio ci arrotoliamo come bisce nella macchina aziendale, la tua, che pare essere più comoda anche se più comoda non è, ma a noi checciffrega, noi siam elastici e arrapati e lecchiamo ciò che va leccato, piantiamo ciò che va piantato e denudiamo ciò che va denudato, cioè tutto e chiaviamo.
O Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, Emy, che splendore sei, nuda, mentre galoppi selvaggia sulla Extramazza che ti fa male quando preme di dentro in fondo, ma ti piace eccome quel malino sporcaccino, però io vis-a-vis un po’ di conversazione pornografica la voglio, che fa parte del mio background, del mio tempo, della mia performàns e scopro incredulo che non prendi il cazzo da Natale, scopro che le orgette casalinghe non sono (ahitè) più pervenute, scopro (sbattendotelo dentro come l’onda quando il cielo è scuro) che hai tanta voglia di farlo con una donna mulatta, scopro che l’idea del fiume porcone con alcuni sconosciuti porci nudi che se lo menano guardandoci chiavare ti piace da impazzire, scopro che nel culo al massimo un ditino e neanche sempre e scopro che, come già diffusamente detto, sei un bluff alimentato dalla tua lucida ultracoscienza di essere strafiga e, per questo, non ti dai nemmeno la pena sbattona di uscire da un qualche cliché standard (l’orgetta, la donna, l’esibizionismo) che detto nel momento in cui sei ripiena di cazzo come una faraona farcita di cazzo, assumono una valenza noiosa mortale, sopportabile solo poiché un corpo così si fatica a trovarlo a Hollywood e allora o ben che così o ben che un cazzo e io, che agisco sotto i comandi tirannici della Minchia Bufalera dico che ben venga la ultrafiga non talentuosa, che tanto è solo per stasera e del doman non v’è certezza.
Sborro ringhiando sui capezzolini duri e increspati, mentre dita perfettamente curate spalmano il nettare del dio cazzo su tutta la superficie della semisfera perfetta.
“Siamo due pazzi! Ma ti rendi conto che l’abbiamo fatto in macchina nel parcheggio?” gorgogli soddisfatta della tua “prodezza” da “pazza” (yawn) ed io mi affretto a puntualizzare che saremmo stati più pazzi se l’avessimo fatto in macchina in mezzo alla strada e tu ridi e ci rivestiamo, per poi dedicare quell’insopportabile mezz’ora ai baci e agli abbracci romantici che a me, scusate, fanno sboccare.
***
Torno a casa e uozzappo. Ma non alla Squinzy, alla Betta.
“Dormi?”.
No, non dorme. E’ sul divano in pigiama che non riesce a prendere sonno, brutto periodo, ma è stata felicissima di vedermi di sfuggita e di sapere che esisto ancora. Lavorare lavora a singhiozzo, l’hanno messa in cassa integrazione, il bimbone sta bene, va a scuola, è bravo, il cornuto è insopportabile, fatti forza Bettina, per forza Tazio.
“Pensi che ci incontreremo?” chiedo io speranzoso come uno scolaretto, ma un sorriso emoticons di modello base precede un “perché no, un caffè ce lo possiamo prendere” che suona tanto come “vediamoci pure, ma non credere di ricominciare da dove hai lasciato”.
E a furia di dai e dai, ‘sto concetto che mi arriva da più parti comincia ad avermi convinto.
Io il mio regno l’ho perso per sempre.
Mi rimangono solo degli anonimi villaggi di cui poco me ne fotte e poco me n'è sempre fottuto.
Va così.
Meglio farsene una ragione.
E riflettere.
Ci sta.
giovedì 7 maggio 2015
Felicità insana
E oggi sono contento.
E’ stata una ventiquattrore dimmerda, ma sono contento di essere riuscito a infilarmi sull’ultimo volo della notte per Milano e di scrivervi adesso dalla mia provvisoria lussuosa magione del capoluogo di provincia taziale, seduto al tavolo della cucina, completamente nudo e anche un parecchiamente voglioso di porcherie adulte.
Praga, porca troia.
All’aeroporto, l’altra notte, viene a prendermi la mia “assistente” con una macchina a noleggio e, solerte come solo certe donne sanno essere (rumene o meno non conta un cazzo, vorrei sottolinearlo sette volte) mi comunica durante il tragitto (l’ottimizzazione dei tempi, anzitutto) che si licenzia e va a Brno da un’amica che lavora in un bordello dove cercano una barista e lei ci va. Per cui, seppur stanco dal viaggio, una volta a casa rilevo chiavi della medesima, chiavi dell’ufficio e una busta con i soldi calcolati come residuo del netto mensile depurato dalle ‘giornate’ lavorate. NON faccio il signore che sono e mi forzo a farmi restituire sino all’ultima corona, perché mi pare già un dono pagare quelle relative alle ‘giornate’ lavorate. Poi la vedo imbracciare una borsona e andarsene quasi senza un saluto. Mi piacciono queste donne decise, puttanissima la grandissima troia, chissà che deragli il treno e muoia solo tu.
Trascorro una nottata disturbatissima dai rumori della strada e dal turbinio dei miei coglioni e mi sveglio all’alba, pronto per andare a “lavorare” alcuni dettagli all’Humble Brothel and Hotel.
***
Non sopporto più il Costa. Nella maniera più assoluta. La compagnia degli amici suoi gumba lo rende molesto, aggressivo, trasformato. Ma ve lo ricordate quel bambolotto di pezza di un tempo? Non c’è più e al suo posto deambula un piccolo ceffo sbruffone e peloso, sovente puzzolente di sudore d’ascella stantio, perfettamente amalgamato nel peggio del peggio, sguazzante senza rimorsi né sensibilità, burino allo schifo, predisposto alla violenza e al sopruso, novello mandriano di vacche umane, provvisto di standard di trattamento interpersonale assai al di sotto della media in circolazione nei bassifondi.
Per cui: rapido svolgimento delle operazioni, Internet, biglietto aereo per il terzultimo posto libero, restituzione auto dimmerda all’aeroporto dimmerda, ritorno a Milano. E vi dirò una cosa stravolgente: seppure Malpensa sia a Varese, l’idea di essere arrivato a Milano mi ha dato sollievo. Fatevi due conti attorno al mio stato d’animo.
E ora sono qui, al calduccio di un sole che Dio ha voluto far uscire dopo un periodo di piogge incessanti, a scappellarmi e rincappellarmi il cazzo mentre vi scrivo, pensando ad alcune necessità fondamentali della Uoma Tazioa che vive nel suo luogo col suo tempo e la performàns: una epilazione totale che mi renda un liscio giocattolo sessuale irresistibile ambosessi, una ricongiunzione con gli Amici della Sega sulle ripe odorose del fiume sozzone, con i quali godere nudi del primo sole sfregandoci i maschi sessi duri, grugnendo osceni sino a ricoprirci reciprocamente di delizioso sperma, contattare la Maggie per arpionarla con un invito a cena che vada aprendo (o chiudendo) il protocollo d’intesa, verificare l’avanzamento del trasloco, chiamare la Emy che è giovedì e lei non è più a Zena, rivedere la Lidia per affari personali e (perché no?) per violentarla come necessita, o forse anche qualcosina in più.
Tante cose, tutte belle, tutte entusiasmanti, tutte di elevata matrice culturale, tutte mature e traccianti il profilo di elevata ed affidabile serietà che è la mia cifra distintiva di stupendo maschio pansessuale dagli appetiti voraci ed insaziabili, oscillante tra le necessità di donna intime nella erotica Tazia a quelle del maschio alfa Taziosaurus Cazzis, in un turbine ormonale piacevolmente tumultuoso che mi fa svettare la Minchia Randazza da sotto il tavolo, Minchia che mi parla attraverso le goccioline limpide che trasudano dal sensuale foro uretrale, implorandomi un masochistico “strozzami fino a farmi vomitare” ed io credo che sì, amisgi, credo che la accontenterò con furore belluino, non tanto per sedare la necessità istintiva, ma piuttosto per alimentarla a dismisura raffinandola lungo profili parossistici e sofisticatamente depravati, divenendo nuovamente il Gran Pezzo di Porco Duro e Crudo che la cupa Praga, debbo ammetterlo, ha temporaneamente depresso.
E ora, grandissima sega.
E’ stata una ventiquattrore dimmerda, ma sono contento di essere riuscito a infilarmi sull’ultimo volo della notte per Milano e di scrivervi adesso dalla mia provvisoria lussuosa magione del capoluogo di provincia taziale, seduto al tavolo della cucina, completamente nudo e anche un parecchiamente voglioso di porcherie adulte.
Praga, porca troia.
All’aeroporto, l’altra notte, viene a prendermi la mia “assistente” con una macchina a noleggio e, solerte come solo certe donne sanno essere (rumene o meno non conta un cazzo, vorrei sottolinearlo sette volte) mi comunica durante il tragitto (l’ottimizzazione dei tempi, anzitutto) che si licenzia e va a Brno da un’amica che lavora in un bordello dove cercano una barista e lei ci va. Per cui, seppur stanco dal viaggio, una volta a casa rilevo chiavi della medesima, chiavi dell’ufficio e una busta con i soldi calcolati come residuo del netto mensile depurato dalle ‘giornate’ lavorate. NON faccio il signore che sono e mi forzo a farmi restituire sino all’ultima corona, perché mi pare già un dono pagare quelle relative alle ‘giornate’ lavorate. Poi la vedo imbracciare una borsona e andarsene quasi senza un saluto. Mi piacciono queste donne decise, puttanissima la grandissima troia, chissà che deragli il treno e muoia solo tu.
Trascorro una nottata disturbatissima dai rumori della strada e dal turbinio dei miei coglioni e mi sveglio all’alba, pronto per andare a “lavorare” alcuni dettagli all’Humble Brothel and Hotel.
***
Non sopporto più il Costa. Nella maniera più assoluta. La compagnia degli amici suoi gumba lo rende molesto, aggressivo, trasformato. Ma ve lo ricordate quel bambolotto di pezza di un tempo? Non c’è più e al suo posto deambula un piccolo ceffo sbruffone e peloso, sovente puzzolente di sudore d’ascella stantio, perfettamente amalgamato nel peggio del peggio, sguazzante senza rimorsi né sensibilità, burino allo schifo, predisposto alla violenza e al sopruso, novello mandriano di vacche umane, provvisto di standard di trattamento interpersonale assai al di sotto della media in circolazione nei bassifondi.
Per cui: rapido svolgimento delle operazioni, Internet, biglietto aereo per il terzultimo posto libero, restituzione auto dimmerda all’aeroporto dimmerda, ritorno a Milano. E vi dirò una cosa stravolgente: seppure Malpensa sia a Varese, l’idea di essere arrivato a Milano mi ha dato sollievo. Fatevi due conti attorno al mio stato d’animo.
E ora sono qui, al calduccio di un sole che Dio ha voluto far uscire dopo un periodo di piogge incessanti, a scappellarmi e rincappellarmi il cazzo mentre vi scrivo, pensando ad alcune necessità fondamentali della Uoma Tazioa che vive nel suo luogo col suo tempo e la performàns: una epilazione totale che mi renda un liscio giocattolo sessuale irresistibile ambosessi, una ricongiunzione con gli Amici della Sega sulle ripe odorose del fiume sozzone, con i quali godere nudi del primo sole sfregandoci i maschi sessi duri, grugnendo osceni sino a ricoprirci reciprocamente di delizioso sperma, contattare la Maggie per arpionarla con un invito a cena che vada aprendo (o chiudendo) il protocollo d’intesa, verificare l’avanzamento del trasloco, chiamare la Emy che è giovedì e lei non è più a Zena, rivedere la Lidia per affari personali e (perché no?) per violentarla come necessita, o forse anche qualcosina in più.
Tante cose, tutte belle, tutte entusiasmanti, tutte di elevata matrice culturale, tutte mature e traccianti il profilo di elevata ed affidabile serietà che è la mia cifra distintiva di stupendo maschio pansessuale dagli appetiti voraci ed insaziabili, oscillante tra le necessità di donna intime nella erotica Tazia a quelle del maschio alfa Taziosaurus Cazzis, in un turbine ormonale piacevolmente tumultuoso che mi fa svettare la Minchia Randazza da sotto il tavolo, Minchia che mi parla attraverso le goccioline limpide che trasudano dal sensuale foro uretrale, implorandomi un masochistico “strozzami fino a farmi vomitare” ed io credo che sì, amisgi, credo che la accontenterò con furore belluino, non tanto per sedare la necessità istintiva, ma piuttosto per alimentarla a dismisura raffinandola lungo profili parossistici e sofisticatamente depravati, divenendo nuovamente il Gran Pezzo di Porco Duro e Crudo che la cupa Praga, debbo ammetterlo, ha temporaneamente depresso.
E ora, grandissima sega.
martedì 5 maggio 2015
Vita che va e vita che viene
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Ebbene sì. |
Sabato Taziale all’insegna dell’Amarcord, seduto centralmente al bar Centrale a tessere scene mentali lesbo butch aventi come protagonista l’affascinante, tendinea, elegante, mascolina ed altissima proprietaria Raffaella detta Raffa, tessitura interrotta a più riprese dalla comparsa di figure del passato che si sono susseguite come attori nell’atto finale di una commedia in scena per l’ennesima serata: la Giulia trafelata di male esistenziale che perfettamente si ricolloca in quella nicchia in cui è la lana che copre, ma è la penna che svela, tristemente affettuosa come se ci fossimo visti il dì prima, la Emy così bella così gambestupende e così pulita che mi bacia facendo aderire le sue morbide labbra buccali alle mie, fresca d’allegria, sgravata da zavorre dell’assurdo (il Loca, per sempre), generosa del suo nuovo numero di telefono e disponibile alla pizza ignorante che tante ve n’è da raccontarsi, la Schizza turbinante ed annoiatamente seria che, abrogando il ciao iniziale in maniera molto kewl, ma anche molto giracollions da parte mia, esordisce con un “Ma tu non eri a Praga?” e poi diviene vortice d’azione mentre ancora stavo formulando la battuta di risposta, poiché la attendevano in- seconda-fila-scappo-ciao, la Betta lontana che sgrana sorridente occhi segreti tra sacchetti di sedani e marmocchio e marito e amici e tra di noi gli sguardi e i sorrisi e la malinconia che mi morde il cuore e mi fa scolare altri due Campari a suggello dell’imperituro impegno a ricontattarla assolutamente, non per fini sessuali, ma per il piacere di un abbraccio di cui sento di avere bisogno. Specie da lei.
E segue poi il pranzo maschiale del sabato alla Solita, col Sa-aaarti, Zack, Umbe, Virus-Ceccherini ad esclusione di Max, assente per motivi giustificati dal turbinio di fioristi e tulle e banchi, posti, menu, vestiti, sarto e ogni cazzo di diavoleria asciuga quattrini consumata a sacrificio del viaggio di nozze che alle ore tredici e diciassette, mentre il Sa-aaarti mi aggiorna sui puttanali di tale “Lanapoletana” esercitante nelle PEEP di Sguazzalara dopo il ponte sul fiume sulla destra, prendo l’irrevocabile decisione di regalare il volo nuziale a titolo personale a Max e Mammelluta Signora, individuando quella soluzione di viaggio a Los Roques confacente alle attese di due che si sposano per l’unica volta della loro vita (mi auguro con calore) o per tutte le mattine della medesima (e me lo auguro con calore ancor superiore ed una piccola morte di dentro, da qualche parte).
In alto a sinistra nella piazza, simbolo della mia sgangherata vita, mi salutano scrostate le finestre a gelosia dell’appartamento della defunta signora Reguzzoni che ho strappato agli eredi dopo interminabili trattative condotte anche dall’estero tramite il mio agente immobiliare preferito (i più attenti si ricorderanno un accenno in tale senso, qualche tempo fa) e che ora è formalmente mio, mio e solo mio e che attende alcuni piccoli lavori di sistemazione e l’entrata del mio misero mobilio attualmente parcheggiato nell’umido e disonesto garage del Costa, con il Divindivano in cerca di autore, la libreria di design smaniosa di librare, più una lampada Arco Flos che, cazzomerda, oggi posso permettermi nella versione originale con blocchetto di cemento e vaffanculo tutto, che sono i dettagli che rendono la vita meritevole d’essere vissuta.
E segue poi il Convivio del Sabato Serale lungo il fiume a mangiar del pesce, con la Maggie molto casgiual in ballerine nere decalzate e jeans di morbido twill cinese nella nuance del turquoise che così bene definisce le forme della corposa cula a pecorinabile chiappa lunga da femmina MILF, e nelle mie nari si materializza l’afrore delle navi della compagnia delle Indie che trasportano distillato di sudore erotico di piedi di femmina sessuale e carne e pelle e dita odorose da leccare e, con stratagemmi linguistici di facilità deliziosa, che suscitano l’ilarità del gruppone, strappo, sgarbisco e rapino a volto scoperto un numero di cellulare che sancisce il taglio del nastro della Grande Opera di traforo della sua sorca bisognosa di trivella intarsiata di vene cazzee, il cui progetto è già pronto ed attende solo il cartello di cantiere recante il nome del committente e del direttore dei lavori.
Vita che va e vita che viene, con in tasca un biglietto aereo che a tardo pomeriggio mi ricondurrà a Praga per una capatina brevissima che tornerà a materializzarmi ai tavolini del Centrale non più tardi di giovedì a metà pomeriggio e, a ben vedere, questa soluzione di up and down like a yoyo è la più intelligente e furba e utile e sana e rinfrancante e basta.
Vita che va e vita che viene e il Mattinale della Domenica Taziale vede la Lidia davanti a me separata solo da un bicchiere di Campari tra i festosi tavolini lesbici e poi, non chiedetemi come e non chiedetemi soprattutto il perché, nella scena successiva che doveva essere fatta di due innocue “fette di prosciutto da me” mi ritrovo nudo e durissimo, aggrovigliato al suo violento corpicino nudo e liscissimo ad assaggiare, godendo da bestia, il succo acidulo della sua fica perfettamente depilata e gonfia di sozze voglie depravate a trascorrere ore, interminabili ore a chiavare e a ficcare come non ficcavo e chiavavo da tempo, senza lesinare la componente accesamente violenta a quel corpo a corpo interminabile in cui persino polsiere sadomaso e manette sono comparse a sostenere il malato livello e a generare bave ringhianti che hanno reso la demoniaca monta belluina un pezzo di particolare identità espressiva che non rimpiango né rinnego, ma non per questo ritengo ve ne sarà una ripetizione prossima nel tempo.
Vita che va e vita che viene e il culo generoso della Barbarella, giovanissima camerierina new entry della Solita, fuso in quelle leggins color antracite riaccende i miei motori a turboelicacazzea e mi spinge, senza alcuna prova sostenibile da qualunque barlume di logica, ad interpretare in quel bagliore dei suoi nerissimi occhi l’invito ad osare, ad avanzare guerriero verso il processo di fusione del mio volto nel suo spacco culeo paradisiaco e questo essere arrapato selvaggiamente, sempre e costantemente, mi induce a pensare che sarà l’aria, o forse l’acqua, o forse il circolo spiralato della vita a riportarmi ad essere ciò che sono, con le malinconie, le gioie, le soddisfazioni e le delusioni di una vita adesiva che va e che viene e che quando si stacca fa male, ma quando si riposiziona più aderente di prima assume il senso compiuto di ciò che senso non ha e, proprio per questo, va chiamata vita.
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